Lo storico Darnton indaga la mentalità dei francesi del ’700 attraverso episodi minori ma emblematici scovati negli archivi: dalla versione horror di «Cappuccetto rosso» alla feroce vendetta di due tipografi
mercoledì 6 novembre 2013
Storia della mentalità: una nuova edizione per "Il grande massacro dei gatti" di Robert Darnton
Risvolto
«Robert Darnton possiede la curiosità investigativa del reporter di
razza, la scrupolosità dello studioso e la sensibilità del romanziere».
Così un illustre critico, Stanley Hoffmann, presentò questo libro quando
apparve in America nel 1984. Di fatto, il progetto di Darnton è
estremamente ambizioso: si tratta, nelle parole dell’autore, «di
mostrare non solo che cosa pensava la gente, ma come pensava – come
interpretava il mondo, gli dava un senso e gli conferiva un significato
emotivo». Così Darnton ha scelto la via di illuminare la sensibilità e i
modi di vita del Settecento francese, in ambienti disparati, attraverso
sei storie, in gran parte basate su inediti documenti di
archivio, che qui balzano sulla pagina come altrettanti racconti. Si
passa dal «grande massacro dei gatti», feroce vicenda che si svolge
nell’ambiente artigiano di Parigi, alle indagini di un ispettore di
polizia che sorveglia le attività di scrittori considerati pericolosi
per il regime; dalle strategie di Diderot e d’Alembert nel corso
dell’immenso lavoro per l’Encyclopédie alle singolari reazioni
dei lettori allo scrittore che scosse radicalmente la sensibilità
dell’epoca: Rousseau. E il saggio iniziale illumina il truculento
folklore contadino che fa da sfondo alle grandi fiabe di Perrault e
Madame d’Aulnoy. Magistrale nell’uso e nella scoperta delle fonti,
Darnton unisce alla solidità della dottrina un gusto delizioso per
l’avventurosità del reale. Seguendolo per le vie poco battute che qui ci
rivela, ci troveremo ad avere, alla fine, un’immagine molto più
precisa, molto più concreta di una grande epoca, che spesso si
presenterà con aspetti diversi e contrastanti rispetto a quelli troppo
levigati che la memoria storica ci ha trasmesso. Con questo libro
variegato, Darnton ci dà l’esempio più efficace della sua maniera (se non vogliamo usare parole ingombranti come «metodo»).
6 nov 2013 Libero ROBERTO COALOA
Lo storico Darnton indaga la mentalità dei francesi del ’700 attraverso episodi minori ma emblematici scovati negli archivi: dalla versione horror di «Cappuccetto rosso» alla feroce vendetta di due tipografi
Lo storico Darnton indaga la mentalità dei francesi del ’700 attraverso episodi minori ma emblematici scovati negli archivi: dalla versione horror di «Cappuccetto rosso» alla feroce vendetta di due tipografi
Il volume Il grande massacro dei gatti di Robert Darnton,
apparso per la prima volta nel 1984, viene riproposto da Adelphi ( pp.
428, euro 28). Un’opera tuttora suggestiva e importante: da leggere per
chi si accosta agli studi d’archivio per la prima volta, da gustare per
il grande pubblico appassionato di storia. Darnton è fautore di un
passato fatto rivivere in maniera brillante, grazie a una bella
scrittura e soprattutto alla costante ricerca negli archivi; il suo
motto, parafrasando una nota pubblicità, potrebbe essere: «No Documents,
no History».
Per Darnton, infatti, è possibile «intervistare» la Francia del
Settecento attraverso l’analisi degli archivi. In questo, lo storico si
avvicina all’opera recente di Arlette Farge, Le goût de l’archive, che
ha il merito di lasciar spazio all’emozione, a una sorta di trepidazione
che consente a Darnton di fare «interviste», ponendo domandenuove
amateriale vecchio. Per capire ilmodo di pensare di un uomo del ’700
dobbiamo partire dall’idea di catturare l’alterità, scampando dal
pericolo dell’anacronismo, poiché nulla è più facile che adottare
inavvertitamente la comoda idea che gli europei pensassero e sentissero
tre secoli fa esattamente come noi oggi, a parte le parrucche e le
scarpe di legno. Darnton afferma che abbiamo continuamente bisogno di
qualcosa che ci scuota da un falso senso di familiarità col passato, di
ricevere dosi di shockculturale. E per farlo, ci avvisa, non c’è miglior
modo che andare a zonzo per gli archivi.
Quella di Darnton è una concreta proposta storiografica, in cui lo
studioso delle idee traccia la linea di filiazione tra le diverse forme
del pensiero, lo storicoetnografo studia la cosmologia della gente
comune, il modo in cui le persone davano senso al loro universo. Come
prima di lui Claude Lévi-Strauss, si domanda: «Quali cose servono a
pensare?». Non si tratta semplicisticamente di scoprire cosa la gente
pensasse, ma individuare quale orizzonte simbolico fosse sotteso al
comportamento sociale. Se ciò vale per chi si interessa di totem e
tatuaggi dell’Amazzonia, perché non tentare di fare lo stesso per la
Francia del Settecento?
A riprova di questo, Darnton si misura con sei «panorami
inconsueti», per usare un'espressione a lui cara, frutto di un capillare
lavoro di scoperta nelle zone d’ombra della tarda età dei Lumi. Il
primo capitolo è un lavoro di ricerca sulle fonti di Cappuccetto rosso,
recuperando una versione primitiva e davvero orrorifica della fiaba (che
tra l’altro rende obsolete e abbastanza inutili le interpretazioni di
Fromm e Bettelheim, che seguendo i fratelliGrimme Perrault non accennano
al cannibalismo di cui è vittima la nonna, né allo spogliarello cui la
ragazza deve sottoporsi prima di essere divorata). Altre investigazioni
dello studioso sono sul resoconto di un massacro di gatti, la bizzarra
descrizione di una città, un curioso archivio tenuto da un ispettore di
polizia.
I documenti analizzati non possono essere presi come espressioni
tipiche del pensiero del Settecento, ma come delle chiavi, utili per
svelare alcuni segreti. Emblematica a questo proposito è la strana
vicenda che offre il titolo al volume, ambientata a Parigi con l’epilogo
dell’atroce mattanza dei gatti.
Due apprendisti tipografi, esasperati dalle dure condizioni di
lavoro e dalla scarsa considerazione in cui erano tenuti dai padroni,
inscenano, secondo i moduli di uno sperimentato cerimoniale, uno
spettacolare massacro di gatti. Due sono le domande a cui Darnton cerca
anzitutto di offrire unarisposta: perché i gattieche tipo di messaggio
questa provocazione intendeva comunicare? L'analisi si articola su
diversi livelli: quello dell’evento, all’interno del quale i gatti,
amati dai padroni della tipografia più degli operai, divengono
l’oggettotransfert su cui riversare tutto l'odio accumulato dagli
artigiani nei confronti dei padroni stessi; e quello dell’attivazione di
un archetipo secondo cui i gatti rappresentano, in omaggio alla
tradizione, l’incarnazione del demonio.
Il gioco crudele posto in atto dai lavoratori, il finto processo
degli animali tra riso e sberleffo, conclude Darnton, ci insegna che
agli operai non occorreva un codice segreto per manipolare i simboli nel
loro linguaggio non meno efficacemente degli scrittori, da Rabelais a
Rousseau. La loro è una violenta beffa, teatrale, che scatenava anche il
riso, un ingrediente vitale nell’antica cultura degli artigiani, un
ingrediente che poi è andato perduto nella storia del lavoro.
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