mercoledì 6 novembre 2013

Storia della mentalità: una nuova edizione per "Il grande massacro dei gatti" di Robert Darnton


Robert Darnton: Il grande massacro dei gatti, Adelphi, pp. 428, euro 28

Risvolto
«Robert Darnton possiede la curiosità investigativa del reporter di razza, la scrupolosità dello studioso e la sensibilità del romanziere». Così un illustre critico, Stanley Hoffmann, presentò questo libro quando apparve in America nel 1984. Di fatto, il progetto di Darnton è estremamente ambizioso: si tratta, nelle parole dell’autore, «di mostrare non solo che cosa pensava la gente, ma come pensava – come interpretava il mondo, gli dava un senso e gli conferiva un significato emotivo». Così Darnton ha scelto la via di illuminare la sensibilità e i modi di vita del Settecento francese, in ambienti disparati, attraverso sei storie, in gran parte basate su inediti documenti di archivio, che qui balzano sulla pagina come altrettanti racconti. Si passa dal «grande massacro dei gatti», feroce vicenda che si svolge nell’ambiente artigiano di Parigi, alle indagini di un ispettore di polizia che sorveglia le attività di scrittori considerati pericolosi per il regime; dalle strategie di Diderot e d’Alembert nel corso dell’immenso lavoro per l’Encyclopédie alle singolari reazioni dei lettori allo scrittore che scosse radicalmente la sensibilità dell’epoca: Rousseau. E il saggio iniziale illumina il truculento folklore contadino che fa da sfondo alle grandi fiabe di Perrault e Madame d’Aulnoy. Magistrale nell’uso e nella scoperta delle fonti, Darnton unisce alla solidità della dottrina un gusto delizioso per l’avventurosità del reale. Seguendolo per le vie poco battute che qui ci rivela, ci troveremo ad avere, alla fine, un’immagine molto più precisa, molto più concreta di una grande epoca, che spesso si presenterà con aspetti diversi e contrastanti rispetto a quelli troppo levigati che la memoria storica ci ha trasmesso. Con questo libro variegato, Darnton ci dà l’esempio più efficace della sua maniera (se non vogliamo usare parole ingombranti come «metodo»).

Quei gatti massacrati nell’angolo buio dei Lumi 
6 nov 2013 Libero ROBERTO COALOA
Lo storico Darnton indaga la mentalità dei francesi del ’700 attraverso episodi minori ma emblematici scovati negli archivi: dalla versione horror di «Cappuccetto rosso» alla feroce vendetta di due tipografi
Il volume Il grande massacro dei gatti di Robert Darnton, apparso per la prima volta nel 1984, viene riproposto da Adelphi ( pp. 428, euro 28). Un’opera tuttora suggestiva e importante: da leggere per chi si accosta agli studi d’archivio per la prima volta, da gustare per il grande pubblico appassionato di storia. Darnton è fautore di un passato fatto rivivere in maniera brillante, grazie a una bella scrittura e soprattutto alla costante ricerca negli archivi; il suo motto, parafrasando una nota pubblicità, potrebbe essere: «No Documents, no History».      
Per Darnton, infatti, è possibile «intervistare» la Francia del Settecento attraverso l’analisi degli archivi. In questo, lo storico si avvicina all’opera recente di Arlette Farge, Le goût de l’archive, che ha il merito di lasciar spazio all’emozione, a una sorta di trepidazione che consente a Darnton di fare «interviste», ponendo domandenuove amateriale vecchio. Per capire ilmodo di pensare di un uomo del ’700 dobbiamo partire dall’idea di catturare l’alterità, scampando dal pericolo dell’anacronismo, poiché nulla è più facile che adottare inavvertitamente la comoda idea che gli europei pensassero e sentissero tre secoli fa esattamente come noi oggi, a parte le parrucche e le scarpe di legno. Darnton afferma che abbiamo continuamente bisogno di qualcosa che ci scuota da un falso senso di familiarità col passato, di ricevere dosi di shockculturale. E per farlo, ci avvisa, non c’è miglior modo che andare a zonzo per gli archivi.
Quella di Darnton è una concreta proposta storiografica, in cui lo studioso delle idee traccia la linea di filiazione tra le diverse forme del pensiero, lo storicoetnografo studia la cosmologia della gente comune, il modo in cui le persone davano senso al loro universo. Come prima di lui Claude Lévi-Strauss, si domanda: «Quali cose servono a pensare?». Non si tratta semplicisticamente di scoprire cosa la gente pensasse, ma individuare quale orizzonte simbolico fosse sotteso al comportamento sociale. Se ciò vale per chi si interessa di totem e tatuaggi dell’Amazzonia, perché non tentare di fare lo stesso per la Francia del Settecento?
A riprova di questo, Darnton si misura con sei «panorami inconsueti», per usare un'espressione a lui cara, frutto di un capillare lavoro di scoperta nelle zone d’ombra della tarda età dei Lumi. Il primo capitolo è un lavoro di ricerca sulle fonti di Cappuccetto rosso, recuperando una versione primitiva e davvero orrorifica della fiaba (che tra l’altro rende obsolete e abbastanza inutili le interpretazioni di Fromm e Bettelheim, che seguendo i fratelliGrimme Perrault non accennano al cannibalismo di cui è vittima la nonna, né allo spogliarello cui la ragazza deve sottoporsi prima di essere divorata). Altre investigazioni dello studioso sono sul resoconto di un massacro di gatti, la bizzarra descrizione di una città, un curioso archivio tenuto da un ispettore di polizia.
I documenti analizzati non possono essere presi come espressioni tipiche del pensiero del Settecento, ma come delle chiavi, utili per svelare alcuni segreti. Emblematica a questo proposito è la strana vicenda che offre il titolo al volume, ambientata a Parigi con l’epilogo dell’atroce mattanza dei gatti.
Due apprendisti tipografi, esasperati dalle dure condizioni di lavoro e dalla scarsa considerazione in cui erano tenuti dai padroni, inscenano, secondo i moduli di uno sperimentato cerimoniale, uno spettacolare massacro di gatti. Due sono le domande a cui Darnton cerca anzitutto di offrire unarisposta: perché i gattieche tipo di messaggio questa provocazione intendeva comunicare? L'analisi si articola su diversi livelli: quello dell’evento, all’interno del quale i gatti, amati dai padroni della tipografia più degli operai, divengono l’oggettotransfert su cui riversare tutto l'odio accumulato dagli artigiani nei confronti dei padroni stessi; e quello dell’attivazione di un archetipo secondo cui i gatti rappresentano, in omaggio alla tradizione, l’incarnazione del demonio.
Il gioco crudele posto in atto dai lavoratori, il finto processo degli animali tra riso e sberleffo, conclude Darnton, ci insegna che agli operai non occorreva un codice segreto per manipolare i simboli nel loro linguaggio non meno efficacemente degli scrittori, da Rabelais a Rousseau. La loro è una violenta beffa, teatrale, che scatenava anche il riso, un ingrediente vitale nell’antica cultura degli artigiani, un ingrediente che poi è andato perduto nella storia del lavoro.

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