venerdì 31 gennaio 2014
Una raccolta di lettere e schizzi di van Gogh
Risvolto
Le lettere di Vincent van Gogh sono la più intensa e commovente
testimonianza di un artista nella storia della letteratura mondiale.
Oltre a essere uno dei più grandi pittori di tutti i tempi, Van Gogh era
infatti uno scrittore dal talento straordinario. Le centinaia di
lettere scritte al fratello Theo, agli amici artisti – come Paul
Gauguin, Georges Seurat, Paul Signac o Emile Bernard – compongono un
sorprendente racconto della sua vita, e insieme rappresentano uno
strumento indispensabile per penetrare il suo universo artistico. La
lettura di queste pagine – una generosa selezione dall’immenso corpus
del carteggio, che per il rigore e l’autorevolezza che la ispirano può
ritenersi definitiva –mette profondamente in discussione l’immagine del
genio capriccioso e irrequieto che siamo abituati a collegare alla
figura dell’artista. Van Gogh non era un depresso e un ubriacone, capace
poi istintivamente di trasferire sulla tela il mondo che lo circondava.
Le sue lettere non sono un insieme di esternazioni irrazionali, prive
di coerenza, ma la testimonianza di un genio, di un sottile pensatore,
con una precisa visione del mondo, alla costante ricerca del senso
dell’esistenza. Le lettere rappresentano per l’artista un vero e proprio
laboratorio, di cui egli si serve per sviluppare idee sull’arte, sulla
vita, sulla pittura e sulle sue tecniche, sulla letteratura – di cui era
un appassionato frequentatore – e sulla condizione umana in genere. Van
Gogh scrive incessantemente del suo essere in lotta, dei suoi scarsi
successi, della disperazione e della malattia. La sua prosa è
affascinante, libera da qualsiasi sensazionalismo, e capace di arrivare
dritta al cuore, «nel più puro degli stili» come ha scritto Charles
Bukowski. Nelle lettere, la parola scritta e l’immagine spesso si
fondono, l’una dà forza all’altra. Van Gogh scriveva e disegnava,
componendo schizzi e bozzetti che avrebbero poi dato vita ai suoi
capolavori. Il volume contiene, infatti, 110 schizzi originali, per la
prima volta qui pubblicati a colori e contestualmente ai testi delle
lettere. Lo struggente document humain rappresentato dal corpus di
queste lettere di Van Gogh ha lo stesso fervore della sua arte, e sembra
dirci con Van Gogh: «Voglio andare avanti a ogni costo – voglio essere
me stesso».
Un volume pubblicato da Donzelli raccoglie 265 lettere e 110 schizzi originali del grande pittore che si rivela anche scrittore di talento
Gian Domenico Iachini Europa 31 gennaio 2014 STAMPA
giovedì 30 gennaio 2014
Bella, ciao.
Lo spettacolo osceno dei parlamentari del PD e di Siderurgia & Aperitivo che evirano la democrazia parlamentare cantando Bella Ciao
conferma che abbiamo perso
definitivamente un’altra casamatta. E ci dice che l’uso della retorica
dell’antifascismo non è più che il canto funebre dell’antifascismo
stesso, un’esperienza storica di emancipazione che nel nostro Paese va
oggi morendo assieme alla Costituzione repubblicana e alla democrazia
nella sua accezione moderna.
Negli anni Venti e Trenta del XX secolo, intrecciata al conflitto
politico-sociale, si è svolta una lotta egemonica furibonda per il
significato delle parole. Volk, Arbeiter, Sozialismus…: ancora forte
della fame, della spinta ascendente dei propri miti rivoluzionari e alla
testa di un processo storico impetuoso che abbracciava tutta la Terra,
il movimento operaio e democratico è riuscito a respingere l’ultimo
colpo di coda del vecchio ordine e – pur avendo subito in Europa delle
gravi sconfitte - a difendere il significato che queste parole avevano
assunto dal 1848 in avanti.
Non è stato così nel dopoguerra, quando proprio l’attenuazione del
conflitto, la presenza di rapporti di forza più favorevoli e lo sviluppo
delle forze produttive hanno favorito una progressiva identificazione
dell’antifascismo con il ben diverso concetto di “antitotalitarismo”
proprio del Mondo Libero.
Non a caso, oggi la potenza antifascista per definizione - che è anche
quella potenza che per definizione è in grado di imporre i nomi - sono
gli Stati Uniti e il pericolo principale viene da questi indicato nel
“fascismo” islamico come nel “fascismo” dei nuovi Hitler di volta in
volta costruiti dall’industria mediatica del consenso.
L’esito della Guerra Fredda ha fatto il resto. E nel costume di casa di
questa semicolonia, quel termine, che ha prevalentemente una funzione
simbolica compensativa (allevia il dolore e la vergogna per dover votare
qualunque porcheria), è oggi anche lo strumento politico-morale che
fornisce il titolo di legittimità per la manipolazione assoluta della
verità. E per l’espulsione dell’avversario dallo spazio sacro della
civiltà e del politicamente corretto nel mare barbaro dell’abiezione,
della volgarità, praticamente del terrorismo.
Siamo costretti a obiettare e faremo perciò di tutto per difendere il
significato delle parole. Ma non riconquisteremo mai più il concetto di
antifascismo. Facciamocene una ragione [SGA].
La guerra delle monete: analisi di scenari o Protocolli dei Savi di Pechino?
Hongbing Song: La guerre des monnaies. La Chine et le nouvel ordre mondial, Editions Le retour aux sources, pp. 446, euro 23
Risvolto
Voici enfin disponible en français le célèbre livre qui a
fait bouger les lignes économiques officielles de l' Empire du Milieu.
Vendu à plus de 2 millions d exemplaires en Chine, traduit en japonais,
en coréen et en polonais, le best-seller chinois de Hongbing Song, «
Currency Wars », déroule l'histoire de la grande cabale monétaire qui a
façonné le monde depuis plus de deux cents ans, de la constitution de la
dynastie des Rothschild à la fin du 18e siècle jusqu'à la crise de
2008. Livre de chevet des membres du Comité Central du Parti Communiste
et des banquiers chinois, La Guerre des Monnaies a fait comprendre aux
dirigeants de la future première économie mondiale qu'une guerre
redoutable livrée dans les coulisses du pouvoir, suivant un axe
Londres/Wall Street, tentait d'établir coûte que coûte un nouvel ordre
mondial au profit d une oligarchie financière sans foi ni loi. En mars
2013, la Chine s'annonçait prête à riposter en cas de... guerre des
monnaies !
Arriva in Francia «La guerre des monnaies», il Bignami della strategia monetaria del Celeste Impero Ha spiegato a 3 milioni di lettori come colonizzare economicamente l’umanità. A partire dall’oro...
Il «libretto rosso» per prendere il mondo
30 gen 2014 Libero SIMONE PALIAGA
Un bestseller cinese. A scalare le classifiche del Celeste Impero non è il romanzo di un dissidente. E neppure un’inchiesta contro i soprusi del governo.
Stiamo invece parlando di un volume che dalla sua pubblicazione nel 2007 ha suscitato notevole interesse nei dintorni di Pechino. Si parla di 2 milioni di copie che, vista la popolazione cinese, da noi sembrano poche. Ma, considerando che si è piazzato alle spalle del settimo capitolo della saga di Harry Potter, il suo peso tra i lettori cinesi è evidente. Ora questo libro è stato tradotto in francese e meriterebbe una versione italiana per comprendere come le classi dirigenti dell’Estremo Oriente pensano e ragionano. Si tratta di La guerre des monnaies. La Chine et le nouvel ordre mondial scritta da Hongbing Song ( Editions Le retour aux sources, pp. 446, euro 23). La guerra delle monete dunque è l’argomento che oggi sta a cuore all’erede attuale del Celeste Impero e costituisce l’architrave per la partita che dovrebbe assicurarle l’egemonia del XXI secolo.
Ad accorgersi tra i primi di questo campo di battaglia è un giovane cinese che per quattordici anni, prima di rientrare in Asia, ha lavorato negli Usa presso gli alti livelli di Fannie Mae e Freddie Mac, le società che acquistavano mutui dalle banche e che sono all’origine della crisi dei subprime. Le public company dovevano farsi carico dei debiti insolvibili degli istituti di credito e assicurare il sistema economico americano per evitarne il crollo. Insieme alla Federal Reserve, che intanto inondava il mondo di biglietti verdi, avrebbero dovuto garantire la supremazia mondiale del dollaro. Hongbing Song, esperto dei meccanismi della finanza internazionale, ha così voluto allertare le autorità cinesi dell’operazione che avrebbe messo in pericolo la forza della Cina. I suoi avvertimenti sono stati subito accolto dai vertici del Comitato Centrale del Partito Comunista tanto che l’allora vicepresidente del Consiglio di Stato con delega agli affari economici avrebbe ordinato ai suoi funzionari di leggerlo per stabilire la strategia e far fronte a La guerra economica che avrebbe messo a repentaglio la scalata cinese.
Passo dopo passo l’autore conduce il lettore nella storia economica dell’Occidente. Dalla nascita della Banca di Inghilterra nel XVIII secolo ai tentativi di privatizzare la Federal Reserve statunitense fino ad arrivare alla recente crisi. Non si tratta di una ricostruzione accademica perché si prefigge di «mettere a nudo i burattinai che tirano le fila dell’economia mondiale in modo da pronosticare la direzione da cui proverranno i futuri attacchi alla Cina e individuare le possibili contromisure».
«Che la Cina diventi una potenza sullo scacchiere mondiale verso la metà del XXI secolo è prevedibile e tutti lo condividono. Ma questa considerazione non prende in esame» scrive Hongbing Song «gli ostacoli che si si sistemeranno lungo il suo cammino» per minarne la forza commerciale. Per fronteggiare la speculazione finanziaria che vorrebbe piegare la forza dello yuan (o renminbi, moneta del popolo) occorre sottrarsi il più possibile alle bizze dei mercati valutari. Per rendere stabile la propria forza commerciale e salvaguardare il potere d’acquisto della propria moneta la Cina, secondo l’autore, invece di stoccare le divise straniere dovrebbe accumulare oro. «Esso» scrive «rende sicuro il capitale del popolo. L’inflazione, frutto della speculazione, non può erodere il suo potere d’acquisto. L’oro è la pietra angolare indispensabile della libertà economica per la costruzione di una società armoniosa e equa. Aumentando le riserve auree il popolo può resistere a ogni ostacolo, lo yuan rimanere saldo sulle rovine finanziarie internazionali causate dall’indebitamento e dalla cupidigia eccessiva e la civiltà cinese conoscere la sua ora di gloria». E a distanza di sette anni dalla sua pubblicazione non sia può dire che non sia stato ascoltato. La Cina dal 2008 non ha cessato di ingigantire le sue riserve auree classificandosi così al quinto posto dietro Stati Uniti, Italia ma già davanti alla Svizzera.
Come tu lo vuoi: Tachipirinas piace alla sinistra caviale ma è anche zizekiano. E anche post-operaista...
Slavoj Zizek, Srecko Horvat: Cosa vuole l'Europa?, Ombre Corte
Risvolto
"Le società europee devono proteggersi contro
la speculazione del capitale finanziario, l'economia reale deve
emanciparsi dall'imperativo del profitto, il monetarismo e la politica
fiscale autoritaria debbono finire, la crescita deve essere ripensata
secondo il criterio dall'interesse sociale, va inventato un nuovo
modello di produzione basato su un lavoro dignitoso, sull'espansione dei
beni pubblici e sulla protezione dell'ambiente. Questa prospettiva,
ovviamente, non è all'ordine del giorno delle discussioni dei leader
europei. Spetta ai popoli, ai lavoratori europei, ai movimenti degli
"indignati" imprimere il loro marchio al corso della storia, e impedire
il saccheggio e la distruzione su larga scala." (Alexis Tsipras).
Arte come ideologia e propaganda: una prospettiva formalistica nel solco della teoria del totalitarismo
Approccio inutile. E' come voler scrivere un libro sul fatto che tutti dicono "buongiorno". Il Mao in copertina svela in anticipo le intenzioni dell'autore [SGA].
Demetrio Paparoni: Il bello, il buono e il cattivo. Come la politica ha influenzato l'arte negli ultimi cento anni, Ponte alle Grazie
Risvolto
In questo tour de force, Demetrio Paparoni,
fra i più attenti osservatori dell'arte contemporanea, ricostruisce i
profondi e spesso gravi condizionamenti che la politica ha esercitato
sulle arti visive dell'ultimo secolo. Critica d'arte, analisi sociale,
cronaca e storia vi convivono. Leni Riefenstahl è stata realmente una
grande artista? In che modo l'arte di Picasso è stata funzionale ai
disegni del partito comunista? Perché la CIA era interessata
all'affermarsi dell'espressionismo astratto sulla scena mondiale e di
New York come nuova capitale dell'arte? Cosa differenzia la politica
culturale di Peggy Guggenheim da quella di François Pinault? Come
funziona la censura sull'arte oggi in Cina? Questi sono solo alcuni
degli interrogativi ai quali l'autore fornisce risposte.
Gianluigi Colin 176 30-01-2014 corriere della sera 32
"L'arte è sempre politica Anche a sua insaputa..."
Un libro indaga il rapporto tra creatività e potere: "Non esistono opere disimpegnate. Ma vanno giudicate per il talento e la forza che hanno"
"L'arte è sempre politica Anche a sua insaputa..."
Un libro indaga il rapporto tra creatività e potere: "Non esistono opere disimpegnate. Ma vanno giudicate per il talento e la forza che hanno"
Francesca Amé
- il Giornale Sab, 01/02/2014
Putin - con Stalin e Kim Jong Un - responsabile anche dello sterminio dei Circassi del 1863
IL TERRORE DEI RUSSI
Buttafuoco 168 18-02-2014 la repubblica 47
Se Sochi rievoca il genocidio nascosto del popolo circassoCosì l’impero russo attuò la pulizia etnicadi Paolo Valentino
Se Sochi rievoca il genocidio nascosto del popolo circassoCosì l’impero russo attuò la pulizia etnicadi Paolo Valentino
Chi sono
I
circassi (detti anche adighé o adighi) sono uno dei più antichi popoli
autoctoni del Caucaso. Oggi oscillano tra i quattro e i cinque milioni,
quasi la metà vive in Turchia
Pulizia etnica
A metà del XIX
secolo gli abitanti della Circassia, nel Nordovest del Caucaso al
confine con l’impero Ottomano, furono costretti a lasciare la loro terra
dai russi vittoriosi in quello che viene definito il primo moderno caso
di pulizia etnica
I numeri
Tra il 1863 e il 1864 più di 700 mila circassi furono uccisi, 480 mila furono deportati e 80 mila rimasero nella propria terra
«La
guerra fu condotta con severità implacabile e senza pietà. Avanzammo
passo dopo passo, ripulendo irrevocabilmente fino all’ultimo uomo ogni
pezzo di terra su cui i nostri soldati mettevano piede. I villaggi dei
montanari vennero bruciati a centinaia, non appena la neve si scioglieva
ma prima che le foglie tornassero sugli alberi. Calpestammo e
distruggemmo i loro raccolti con i nostri cavalli. Spesso le atrocità
sconfinarono nella barbarie, tra le fiamme delle izba, le urla dei
bambini, i lamenti delle donne» (Mikhail Venyukov, ufficiale dello Zar).
Quando la prossima settimana Vladimir Putin aprirà con sfarzo e
solennità le Olimpiadi di Sochi, uno spettro aleggerà sulla più costosa
manifestazione sportiva della Storia. La scelta della località sul Mar
Nero, nell’immaginario russo la cosa più simile alla Costa Azzurra
dentro i confini della Federazione, evoca infatti un genius loci
ignorato e volutamente rimosso per un secolo e mezzo. Zarista, sovietica
o post-comunista, la narrativa ufficiale del Cremlino non ha mai
trovato spazio alcuno per uno dei massacri etnici più terribili ma meno
conosciuti dall’opinione pubblica mondiale.
Il genocidio dei
circassi si consumò tra l’ottobre 1863 e l’estate del 1864. Ed ebbe i
suoi momenti fatali, toccando le punte più estreme dell’efferatezza e
dell’aberrazione, proprio tra le montagne e le valli intorno a Sochi,
quelle che vedranno le imprese dei campioni dello sport. I sopravvissuti
di una delle più antiche etnie autoctone del bulbo caucasico parlano di
1 milione e mezzo di morti, ma recenti studi storici pongono la barra a
un minimo di 700 mila persone, cioè quasi la metà dell’intera
popolazione circassa dell’epoca, uccise, morte di stenti o decimate dal
tifo e dal morbillo.
Fu un genocidio deliberato e sistematico.
Decisi a chiudere per sempre la partita del Caucaso, la guerra coloniale
di conquista della regione che si protraeva da quasi cento anni, i
comandanti zaristi scelsero la strada delle deportazioni forzate di
massa delle popolazioni locali: gli abkazi, gli ubykh e gli adighi o
circassi, com’erano stati ribattezzati secoli prima dai mercanti
genovesi. Fu il comandante in capo in persona, il principe Mikhail
Nikolaevich, fratello dello Zar Alessandro II, a ordinare la pulizia
etnica.
«Il mito a lungo alimentato, che i comandanti russi diedero
ai circassi la scelta di insediarsi a nord del fiume Kuban, è smentito
dalle loro stesse testimonianze», spiega Walter Richmond, lo storico
dell’Occidental College di Los Angeles che ha scritto il primo lavoro
scientifico sul massacro. Come racconta nel passaggio in apertura
l’ufficiale Venyukov, la tragedia ebbe un copione bestiale e
sanguinario. E continuò anche sulla costa, dove i sopravvissuti furono
lasciati a morire di fame e di malattie. Dopo alcuni casi di contagio a
bordo delle loro navi, i russi smisero anche di trasportarli via mare in
territorio ottomano e lasciarono ai turchi il resto della deportazione.
Secondo Richmond, il principe Mikhail mentì anche allo Zar, che gli
aveva ordinato un’indagine per mettere a tacere le voci sul quanto stava
accadendo: «Rispose che non c’erano né epidemie, ne morti per fame,
nascondendo deliberatamente il crimine».
Né il processo genocida si
fermò dopo la mattanza del 1864: «Chi rimase nel Caucaso, forse il 5%
della popolazione circassa, fu sottoposto all’assimilazione forzata o
perseguitato dai cosacchi, cui fu permesso di insediarsi nella zona.
Dopo la rivoluzione bolscevica, il regime sovietico ha fatto di tutto
per impedire loro ogni possibilità di sviluppare una cultura unica: a
nessuno fu permesso di tornare dai territori dell’ex impero ottomano
dove si era diretta la diaspora».
Oggi la popolazione circassa
sparsa nel mondo oscilla tra i 4 e i 5 milioni di persone, di cui 2
milioni vivono in Turchia e neppure 700 mila nella Federazioni Russa,
dove agli occhi del potere rimangono invisibili. Quando Vladimir Putin
fece il discorso di accettazione della sede olimpica, disse che gli
abitanti originari della regione erano greci, come se dopo Giasone e gli
argonauti non fosse successo più nulla. E tace il moderno Zar anche di
fronte alla richiesta di asilo, che viene da migliaia di circassi in
fuga dalla Siria: solo in pochi sono stati accolti dal Cremlino, senza
facilitazioni per il transito e assistenza.
Resta l’Olimpiade, che
punterà le luci della ribalta internazionale sugli stessi luoghi dove
centinaia di migliaia di innocenti morirono senza ragione: dapprima
considerata uno sfregio dalle comunità circasse, la scelta di Sochi
viene ora invece vista come l’occasione per far conoscere al mondo il
genocidio di un popolo dimenticato.
25 gennaio 2014
Un'altra vittima di Stalin che i cani di Kim Jong Un non hanno potuto mangiare
Ben due recensioni sul Corrierone! [SGA].
Carlo Ghezzi: Francesco Ghezzi, un anarchico nella nebbia. Dalla Milano del teatro Diana al lager in Siberia, Zero in condotta
Risvolto
Francesco Ghezzi è un operaio milanese, un anarchico, fuggito dall'Italia per sottrarsi alla "giustizia" fascista e approdato, dopo lunghe peregrinazioni in vari paesi europei, nell'Unione Sovietica, sicuro di trovarvi condizioni di una vita migliore, e di poter contribuire a quel grande processo di emancipazione sociale che aveva entusiasmato il proletariato di tutti i paesi. Una storia comune, la sua, a quella di altri rivoluzionari che, pur partendo da esperienze diverse, ripararono, col cuore gonfio di speranza, nel "paradiso socialista".
Francesco Ghezzi è un operaio milanese, un anarchico, fuggito dall'Italia per sottrarsi alla "giustizia" fascista e approdato, dopo lunghe peregrinazioni in vari paesi europei, nell'Unione Sovietica, sicuro di trovarvi condizioni di una vita migliore, e di poter contribuire a quel grande processo di emancipazione sociale che aveva entusiasmato il proletariato di tutti i paesi. Una storia comune, la sua, a quella di altri rivoluzionari che, pur partendo da esperienze diverse, ripararono, col cuore gonfio di speranza, nel "paradiso socialista".
Si sa che per loro le cose non andarono affatto così,
perché, nonostante alcuni innegabili miglioramenti nelle
condizioni di vita del miserabile proletariato russo, una pesantissima
cappa di oppressione si sarebbe abbattuta sulla nuova società,
finendo con l'annullare il significato stesso di quella grandiosa
esperienza in una paranoica paura verso qualsiasi forma di dissenso se
non, addirittura, di critica. Francesco Ghezzi fu una delle tante
vittime di questa mostruosa degenerazione, ma fu una vittima indomita e
mai rassegnata, una vittima esemplare. Questo libro ne ripercorre la
vicenda umana.
178 30-01-2014 corriere della sera 33
L’anarchico Ghezzi nella morsa tra due tirannie
La tragica vicenda di un rivoluzionario italiano vittima del regime sovietico
Carioti sul Corriere
W la Fca
LA
NUOVA Fiat Chrysler Automobiles avrà la sede sociale in Olanda. Quella
fiscale nel Regno Unito, ma il gruppo continuerà a pagare le tasse nei
paesi in cui gli utili saranno prodotti. La società sarà quotata alla
borsa di New York, dove i titoli trattati sono migliaia e il loro valore
si misura in trilioni di dollari, e in quella di Milano, dove i titoli e
il loro valore totale sono grosso modo otto o dieci volte di meno.
Ricerca, sviluppo, progettazione e adattamento evolutivo dei vari
modelli saranno concentrati in Usa, poiché essi vanno per forza dove si
realizza il grosso della produzione, ma forse un pezzo resterà a Torino
per sostenere il cosiddetto polo del lusso. Gli stabilimenti principali
sono sparsi tra Usa, Canada e Messico (Chrysler), ovvero tra Brasile,
Polonia, Turchia e Italia (Fiat). La rete dei fornitori dei tre
principali livelli (sistemi, sottosistemi e componenti minori) sarà
distribuita ingran parte del mondo.
Devono veramente amare molto le
grandi scacchiere e le partite complicate Sergio Marchionne e John
Elkann, per avere aperto quasi contemporaneamente tanti fronti di gioco,
ed essere riusciti finora a condurre la partita piuttosto che farsela
imporre dall’avversario. Essi sanno bene che dall’altra parte vi sono
molti altri attori a progettare ed eseguire le prossime mosse, e alcuni
di essi, oltre ad essere abili, non hanno accolto troppo bene
l’acquisizione di Chrysler. In Usa, molti investitori e analisti hanno
patito la mossa del cavallo consistente nell’acquisire la Chrysler in
parte con i soldi del governo americano, e in maggior parte con i soldi
della Chrysler e dei fondi dei suoi sindacati. Ma più di questa
operazione, che ha costituito senza dubbio un successo strategico da
parte del Lingotto sul piano finanziario, essi hanno scarsamente gradito
che il rilancio della società americana sia avvenuto soprattutto
mediante il rilancio di modelli stagionati e non proprio ecologicamente
corretti come la Jeep Grand Cherokee, piuttosto che investire gli utili
in nuovi modelli idonei a rinfrescare gli allori di Chrysler. Per tacere
dei loro giudizi sulla difficile situazione dell’auto Fiat nel nostro
paese, che ha portato molti a parlare di salvataggio del Lingotto da
parte della casa di Auburn Hills. Non ci siamo solo noi a chiederci
quanti nuovi posti di lavoro si creeranno in Italia grazie
all’operazione Chrysler; ci sono anche tanti americani che si chiedono
quanti posti saranno creati nel loro paese grazie all’operazioneFiat.
Dall’altra parte della scacchiera ci sono ovviamente anche le agenzie di
rating. Sono attori che non giocano in proprio, ma sono consiglieri
assai ascoltati dagli investitori, in specie fondi di investimento e
fondi pensione; proprietari, va ricordato, di metà dell’economia
mondiale. Li ha resi potenti e influenti la finanziarizzazione delle
imprese industriali, a partire proprio dal settore auto. Quando
qualcuno, anni fa, definì le corporation del settore «istituti
finanziari che producono anche auto», aveva sott’occhio la situazione
della General Motors, la cui divisione finanziaria che contava forse
trentamila persone produceva il 40 percento degli utili della società,
che aveva allora 300.000 dipendenti.
Da allora, il peso della finanza
sulle corporation industriali è ancora cresciuto, donde segue che
produrre buone automobili in giro per il mondo non basta per assicurare
un successo duraturo al costruttore. Il fatto che Moody’s abbia messo
sotto osservazione Fiat per una possibile riduzione del rating, che già
non è alto (Ba3), a causa della sua situazione finanziaria, può essere
soltanto una mossa intermedia in una partita particolarmente complessa.
Ma Marchionne ed Elkann sono in due, mentre dall’altra gli attori che si
assiepano attorno alla scacchiera suggerendosi a vicenda le mosse sono
dozzine.
Manca, ai lati della scacchiera, il governo italiano, che
non solo non ha la minima idea o intenzione di entrare in partita, ma
non si è nemmeno degnato di rivolgere alla ferrata coppia del Lingotto
la madre di tutte le domande: mentre auguriamo al lieto evento le
migliori fortune, in concreto, cifra su cifra, documento su documento,
qui e ora e non nel decennio prossimo, che cosa ne viene al nostro
paese, ai lavoratori italiani, al pubblico bilancio, dalla nascita della
Fiat Chrysler Automobiles?
La mostra sul futurismo italiano a New York
a cura di Vivien Green, Guggenheim
Eventi Al Guggenheim un’esposizione senza precedenti permetterà di valutare appieno i debiti creativi dell’America rispetto a Marinetti, Boccioni & C. E a noi ha suggerito un gioco...
Pop art, tutti figliocci del Futurismo New York celebra il movimento che la mitizzò (da lontano)
Vincenzo Trione La Lettura
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