martedì 15 aprile 2014

Ernesto Laclau, una via d'uscita dal marxismo



Laclau, le cui proposte sono certamente molto interessanti, non intendeva innovare il marxismo ma superarlo. Ha esplicitamente affermato l'obsolescenza della contraddizione capitale-lavoro. La sua parabola è un momento della crisi del materialismo storico alla fine del Novecento, uno dei tanti percorsi di fuga [SGA].



In nome del popolo

Ernesto Laclau. La scomparsa del filosofo argentino. Autore di saggi tesi ad innovare il marxismo, si è confrontato con i temi proposti dai movimenti sociali, diventando uno dei maggiori e più lucidi studiosi del populismo contemporaneo

Roberto Ciccarelli, il Manifesto 15.4.2014 

C’era ancora il Muro di Ber­lino quando Erne­sto Laclau, scom­parso ieri a 78 anni a Sivi­glia per un infarto, ini­ziò a par­lare di «post-marxismo». Nato nella tem­pe­rie cul­tu­rale del post-strutturalismo, que­sta nuova decli­na­zione del mar­xi­smo entrò in riso­nanza con un pano­rama cul­tu­rale dov’era esploso il neo­li­be­ri­smo della That­cher e l’edonismo rea­ga­niano. Laclau rigettò il ritor­nello melan­co­nico della sini­stra che cele­brava la «morte delle ideo­lo­gie», e nulla con­cesse ai libe­ri­sti che si appli­ca­vano alla «morte della società» in nome dell’individualismo assoluto. 
Argen­tino di nascita, cosmo­po­lita per voca­zione, Laclau ha vis­suto a Lon­dra dal 1969 dopo il golpe di Juan Car­los Onga­nìa e ha inse­gnato nell’università di Essex. La sua ipo­tesi ha per­messo di recu­pe­rare l’idea di un plu­ra­li­smo demo­cra­tico e di rilan­ciare l’immagine di Machia­velli teo­rico del con­flitto. Laclau si con­frontò con il fem­mi­ni­smo, l’ambientalismo, gli studi cul­tu­rali e post­co­lo­niali, e quanto di meglio emer­geva sulla scena inglese dove la sini­stra e i sin­da­cati ave­vano perso la bat­ta­glia con­tro il neoliberismo. 


La dia­let­tica della contingenza 

Laclau ha rico­no­sciuto nelle scienze sociali con­tem­po­ra­nee un ruolo fon­da­men­tale nell’analisi delle iden­tità sociali, inter­pre­tate come il risul­tato di un rap­porto di forza e non della distin­zione clas­si­ca­mente mar­xiana tra strut­tura (eco­no­mica) e sovra­strut­tura (ideo­lo­gica). In tale rap­porto emerge una dimen­sione imma­nente, e costi­tuente, che Laclau recu­pera in Gram­sci, il teo­rico di que­sta imma­nenza che il filo­sofo e poli­tico ita­liano aveva visto nel cuore della poli­tica comu­ni­sta e della sua cri­tica al mate­ria­li­smo dialettico. 
Nel 1985 Laclau scrisse con Chan­tal Mouffe, la sua com­pa­gna, il libro Ege­mo­nia e stra­te­gia socia­li­sta, (Il Melan­golo), dove riprese una let­tura cri­tica del con­cetto gram­sciano di ege­mo­nia, aggior­nan­dolo con un certo spi­rito anti-autoritario e liber­ta­rio. La sua inter­pre­ta­zione della poli­tica come con­flitto e ago­ni­smo ha fatto scuola all’interno di quella che, forse in maniera impro­pria, è stata defi­nita la «sini­stra laca­niana» ana­lo­gia della «sini­stra hege­liana». Oltre a Laclau e Mouffe, in que­sto par­tito che con­ti­nua a domi­nare lo sce­na­rio glo­bale del pen­siero radi­cale ci sareb­bero anche Sla­voj Zizek o Judith Butler. 
Que­sta clas­si­fi­ca­zione, è stata auto­riz­zata dallo stesso Laclau in un’intervista del 1993 dove rico­nobbe l’influenza della psi­coa­na­lisi laca­niana nel suo per­corso teo­rico. Un’eredità pole­mi­ca­mente discussa nel 2000 con Zizek e Butler nel libro Dia­lo­ghi sulla sini­stra (Laterza). In que­sta cor­nice Laclau non ha pen­sato la sog­get­ti­vità poli­tica come l’espressione di una classe omo­ge­nea, la classe ope­raia, ma come «posi­zione sog­get­tiva» che riven­dica una «man­canza» o «signi­fi­cante vuoto». Così intesa la sog­get­ti­vità poli­tica è il risul­tato di una con­tin­genza. Non si trova in natura, cioè nei rap­porti sociali pro­dotti dal capi­tale, ma si pro­duce nelle pra­ti­che sociali discor­sive, lin­gui­sti­che e reto­ri­che, in par­ti­co­lare quelle che per­met­tono la ripro­du­zione sociale e la costru­zione di un immaginario. 


Sog­get­ti­vità immanenti 

In que­sta intui­zione si riflette un movi­mento ricor­rente in tutto il pen­siero poli­tico del Nove­cento. Laclau ha teo­riz­zato l’esistenza di una dimen­sione, non meta­fi­sica o eco­no­mica, ma imma­nente dove la sog­get­ti­vità si costi­tui­sce attra­verso catene di signi­fi­canti e di equi­va­lenze. In que­sto spa­zio si afferma il carat­tere aperto e poli­ti­ca­mente nego­zia­bile di ogni iden­tità, oltre che l’impossibilità di fis­sare un pro­cesso sim­bo­lico in un’identità fissa e gerarchica. 
Fu que­sta la sua rispo­sta al that­che­ri­smo e al motto tri­ste­mente famoso: «la società non esi­ste», esi­ste solo l’individuo sul mer­cato. Laclau for­mulò una rispo­sta all’altezza di que­sta sfida. È vero, nella società non esi­ste un’essenza fon­da­men­tale. In com­penso una società si pro­duce nel con­flitto, l’ordine che il neo­li­be­ri­smo affida alle gerar­chie sta­bi­lite dal mer­cato, in realtà è sem­pre insta­bile, mai ridu­ci­bile a leggi eco­no­mi­che o natu­rali. Ne con­se­gue una defi­ni­zione della poli­tica: non è una tec­nica, o ammi­ni­stra­zione, bensì «ege­mo­nia» e stra­te­gia della forza. 
Su que­ste basi, Laclau intese costruire una logica della poli­tica a par­tire dalla con­tin­genza e della prassi. Un approc­cio matu­rato sul campo in Argen­tina, dalla sua fre­quen­ta­zione del sin­da­cato e dei movi­menti, poi l’incontro con il comu­ni­smo ita­liano e lo stu­dio di Gram­sci. L’Argentina è stata anche la culla del popu­li­smo con­tem­po­ra­neo con Peron, non a caso stu­diato a lungo e in maniera osses­siva ne La ragione popu­li­sta (Laterza), sull’onda dei popu­li­smi anche di sini­stra nati in Ame­rica Latina dagli anni Novanta ad oggi. Per Laclau non esi­ste un’oggettività del «popolo», anche per­ché quello a cui ricor­rono coloro che hanno costruito anche in Ita­lia come Le Pen, Ber­lu­sconi o Grillo risulta essere una costru­zione arti­fi­ciale e non orga­nica, un’«invenzione» direbbe Hob­sbawn con il quale lavorò a lungo a Oxford. 
Per Laclau il popu­li­smo è una «logica sociale» ed è il modo con il quale si è costruito il «poli­tico» durante la moder­nità. Il gruppo sociale che s’impossessa del «popolo» inteso come signi­fi­cante rie­sce a tra­durre la pro­pria ege­mo­nia nella società. Esi­ste un popu­li­smo di «destra» che esprime posi­zioni cor­po­ra­tive o nazio­na­li­sti­che. E un popu­li­smo di «sini­stra» fon­dato su un’immagine capace di uni­fi­care le espe­rienze di sfrut­ta­mento con lo scopo di rove­sciare i rap­porti di forza esistenti. 
Il «popolo» resta per Laclau un «uni­ver­sale vuoto» che viene occu­pato e risi­gni­fi­cato nella lotta per l’egemonia tra i diversi «popu­li­smi». Que­sta visione della con­tin­genza poli­tica esprime tutta la forza, e i limiti, del pen­siero di Laclau e Mouffe. Forza per­ché rico­no­sce nella dif­fe­renza, nel mol­te­plice, nell’eterogeneo gli ele­menti fon­danti di una poli­tica «post-moderna». Per Laclau (e Mouffe) que­sto signi­fica che la demo­cra­zia è una nozione «vuota» e i suoi con­te­nuti ven­gono decisi dal «plu­ra­li­smo ago­ni­stico» tra i sog­getti in lotta. Limiti per­ché Laclau attri­bui­sce al «popolo» (sino­nimo di «poli­tico») la fun­zione tra­scen­den­tale che porta a sin­tesi l’antagonismo per­ma­nente che è l’elemento costi­tu­tivo delle demo­cra­zie moderne. Dopo avere escluso la pos­si­bi­lità di un «sog­getto gene­rale», tale sog­getto ritorna nella sua forma spettrale. 

Para­dossi democratici 
Per il cri­tico ame­ri­cano Fre­dric Jame­son que­sto è il lascito dell’eredità laca­niana nel pen­siero di Laclau. Prima negato, e poi affer­mato, il sog­getto della sua poli­tica si pre­senta scisso e mai uni­fi­ca­bile. Allo stesso tempo, però, si iden­ti­fica nei pro­grammi rivo­lu­zio­nari che offrono imma­gini allet­tanti di uni­fi­ca­zione e tota­lità agli indi­vi­dui e ali­menta il con­flitto con­tro il neo­li­be­ri­smo. Que­sto «para­dosso demo­cra­tico» impe­di­sce una sin­tesi per­ché nega al prin­ci­pio l’esistenza di un sog­getto gene­rale: il popolo, appunto. Per Jame­son que­sta pro­po­sta è com­pro­messa da un errore fon­da­men­tale: l’omologia tra sog­getto indi­vi­duale e tota­lità sociale. Il sog­getto «post-marxista», come quello «laca­niano», ragio­nano su un indi­vi­duo o, tutt’al più, sui «movi­menti sociali» che com­pe­tono tra loro sven­to­lando i ves­silli della loro iden­tità, una realtà che ben cono­sciamo sin dagli anni Ottanta. 
Erne­sto Laclau resta uno dei più sen­si­bili, e com­plessi, cri­tici della visione aber­rante di un pre­sente eterno in cui nulla cam­bia mai e l’infelicità resta sem­pre con noi. In que­sto pre­sente egli ha visto una società espres­sione di mol­te­plici punti di vista a cui biso­gna dare una rispo­sta, anche quando le loro domande ven­gono rifiu­tate o del tutto rimosse.




L’invenzione populista dell’universale 
Ernesto Laclau. Marxista atipico, usò il concetto di egemonia di Gramsci per studiare i fenomeni populisti contemporanei 

 Benedetto Vecchi, il Manifesto 15.4.2014


La pro­du­zione teo­rica di Erne­sto Laclau non può essere com­presa omet­tendo la sua espe­rienza gio­va­nile nell’Argentina degli anni Set­tanta. Mili­tante poli­tico vicino al par­tito argen­tino di ispi­ra­zione trotz­ki­sta, inter­venne più volte su un nodo dif­fi­cile da sbro­gliare. Nell’America latina la classe ope­raia era una com­po­nente social­mente mino­ri­ta­ria della sini­stra poli­tica. Ma nep­pure i con­ta­dini pote­vano essere indi­cati come il «sog­getto cen­trale» di una auspi­ca­bile rivo­lu­zione. Di fronte alla dif­fi­coltà di fare leva su una let­tura «tra­di­zio­nale» del mar­xi­smo, tanto nella sua ver­sione «euro­pea» che «ter­zo­mon­di­sta», Erne­sto Laclau invi­tava a rileg­gere cri­ti­ca­mente alcuni teo­rici «ete­ro­dossi» come Anto­nio Gram­sci e a con­fron­tarsi, senza timore di per­dere in fedeltà ai sacri prin­cipi, con le espe­rienze poli­ti­che varia­mente qua­li­fi­cate come «populiste». 
Era l’inizio di un per­corso teo­rico che allora Laclau dovette abban­do­nare per cause di forza mag­giore, visto che lasciò pre­ci­pi­to­sa­mente l’Argentina, quando — dopo il golpe — i mili­tari comin­cia­rono quella pra­tica di annien­ta­mento della gene­ra­zione poli­tica a cui appar­te­neva il filo­sofo argen­tino. Dall’Europa, anzi dall’Inghilterra Laclau ha osser­vato a distanza la débâ­cle della sini­stra lati­noa­me­ri­cana. È quindi tor­nato a stu­diare Gram­sci e Lacan, autore già letto in Argen­tina. È in que­sto cri­nale, oltre che per­so­nale anche poli­tico, che prende avvio il soda­li­zio — pure qui: sia per­so­nale che poli­tico — con Chan­tal Mouffe. Entrambi hanno soste­nuto una neces­sa­ria presa di con­gedo dal mar­xi­smo, senza però cedere al canto delle sirene neo­li­be­ri­ste, che ave­vano scelto l’Inghilterra di Mar­ga­ret That­cher come uno dei siti privilegiati. 
Anto­nio Gram­sci viene allora usato come un teo­rico del poli­tico, anche se dal con­cetto di ege­mo­nia viene espunto ogni rife­ri­mento sociale. Tanto Laclau che Mouffe con­si­de­rano infatti il con­cetto di classe come uno stru­mento da togliere dalla cas­setta degli attrezzi di un pen­siero cri­tico. Lo stesso vale per la costel­la­zione ana­li­tica della cri­tica all’economia poli­tica. Il poli­tico è con­si­de­rato lo spa­zio «ricom­po­si­tivo» di una pro­li­fe­rante ete­ro­ge­neità sociale. Detto in altri ter­mini, tanto Laclau che Mouffe vedono nella dia­let­tica tra demo­cra­zia diretta e potere costi­tuito il fat­tore qua­li­fi­cante di un Poli­tico che assume come oriz­zonte la crisi della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva; un Poli­tico con­si­de­rato non luogo della deci­sione, bensì spa­zio per l’elaborazione di un uni­ver­sale che ingloba la mol­te­pli­cità del sociale. 
È a par­tire da que­ste rifles­sioni che Laclau ha ana­liz­zato il popu­li­smo con­tem­po­ra­neo. Il filo­sofo argen­tino non con­si­dera il popu­li­smo come un resi­duo di un’attitudine pre­mo­derna. Il popu­li­smo, infatti, è con­si­de­rato un’espressione moderna del Poli­tico. Di fronte l’esplosione di «par­ti­co­la­ri­smi» che non tro­vano acco­glienza nello Stato, la «ragione popu­li­stica» ha per il filo­sofo argen­tino la forza di ope­rare una sin­tesi, che non can­cella però il «par­ti­co­lare»: sem­mai lo col­loca, lo ingloba, in una dimen­sione «uni­ver­sale» supe­riore. Tra par­ti­co­lare e uni­ver­sale, c’è un pro­blema di vasi comu­ni­canti: il popu­li­smo svolge que­sta fun­zione. Non è un caso che Laclau guardi con inte­resse ad alcune espe­rienze poli­ti­che lati­noa­me­ri­cane, espres­sioni di movi­menti sociali e cul­ture «pro­gres­sive» che hanno fatto tesoro della «ragione populista». 
Ana­lisi deci­sa­mente con­tro­cor­rente, la sua. Che ha il pre­gio di con­fron­tarsi con feno­meni sem­pre più dif­fusi. Il suo limite sta nella ridu­zione del sociale a una somma indi­stinta di particolarismi.

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