giovedì 24 aprile 2014

Franz Kafka critico dell'organizzazione capitalistica del lavoro?


Luigi Ferrari: Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka, pre­fa­zione di Gior­gio Galli, post­fa­zione di Renato Rozzi, edi­trice Vicolo del Pavone, pp. 312, euro 21

Risvolto

Kafka, a dispetto di quanto si crede e di quanto egli stesso ci ha indotto a credere, aveva una posizione di rilievo nell’Istituto di prevenzione e assicurazione degli infortuni sul lavoro dove era impiegato. Per questa importante esperienza (è stato definito un “direttore generale virtuale”), il tema scientifico e umano del lavoro è sempre stato centrale nella sua narrazione. Attraverso i suoi moderni apologhi, Kafka parla del funzionamento e delle patologie delle organizzazioni, anticipando riflessioni molto successive e con interpretazioni del tutto originali che solo oggi l’evoluzione del lavoro e delle organizzazioni ha reso del tutto attuali. Più in generale, lo scrittore ha vissuto, nel conflitto col padre, lo scontro di portata storica tra il mondo, anche mentale, paternalista-agrario e quello borghese-imprenditoriale. Molti degli intellettuali del tempo hanno testimoniato l’irriducibile profondità di quel conflitto, ma solo Kafka ne ha mostrato alcuni lati profondi con tanta “disarmata” onestà intellettuale. Così le intuizioni di Kafka hanno acutamente riguardato anche l’economicizzazione della vita di relazione e la diffusione dell’individualismo economico, non solo nei luoghi di lavoro. Questo libro, più che un omaggio a Kafka, è la proposta della sua narrazione come una chiave di lettura - assolutamente unica per efficacia - di un’ampia serie di fenomeni psico-sociali 
storici e soprattutto di stretta attualità.


La fatica di vivere dell’impiegato 
Saggi. «Alle fonti del kafkiano. Lavoro e individualismo in Franz Kafka»: Luigi Ferrari rileva le capacità di analisi del sistema economico dello scrittore praghese 

Sergio Finardi, il Manifesto 24.4.2014 

«Da tempo ormai il nuovo modo di lavo­rare, di orga­niz­zare il lavoro, la pro­du­zione e l’economia sta­vano cam­biando l’uomo, il suo ambiente e le sue rela­zioni, ma man­ca­vano alcuni indi­spen­sa­bili modi di discu­terne. Certo, gran parte delle parole e dei con­cetti che noi oggi usiamo per par­lare della grande fab­brica, dell’impresa, del pri­mato dell’economia nella vita asso­ciata e di argo­menti con­nessi erano dispo­ni­bili da tempo — da Tay­lor a Marx -, ma chi aveva par­lato dell’inconsistenza del sog­getto, del vuoto men­tale, chi aveva mostrato, o solo nomi­nato, il legame psi­co­lo­gico del sog­getto all’evanescenza per­se­cu­to­ria delle grandi costru­zioni orga­niz­za­tive? Chi, pur par­teg­giando per i lavo­ra­tori, ne aveva nar­rato così bene la cecità, il vuoto inte­riore e le vuote illu­sioni e chi aveva altret­tanto bene intra­vi­sto i con­te­nuti pro­fondi della pro­gres­siva e radi­cale ato­miz­za­zione degli individui?». 

Così, Luigi Fer­rari, nel suo recente Alle fonti del kaf­kiano. Lavoro e indi­vi­dua­li­smo in Franz Kafka (pre­fa­zione di Gior­gio Galli, post­fa­zione di Renato Rozzi, edi­trice Vicolo del Pavone, pp. 312, euro 21) ci intro­duce ad ana­liz­zare con una lente non let­te­ra­ria e non tra­di­zio­nale l’opera di Kafka (1883–1924). Ideale con­ti­nua­zione del suo monu­men­tale L’ascesa dell’individualismo eco­no­mico, pub­bli­cato dalla stessa casa edi­trice nel 2010, il lavoro di Fer­rari è uno straor­di­na­rio viag­gio den­tro il pen­siero di Kafka «scrit­tore del lavoro, dell’economia e della realtà» e apre una pro­spet­tiva ine­dita nella com­pren­sione della sua opera — resti­tuita nella sua estrema varietà e com­ples­sità — e dei mean­dri di senso che sono all’origine dell’uso quasi uni­ver­sale del ter­mine «kafkiano». 

Il libro si com­pone di una intro­du­zione gene­rale e di cin­que capi­toli che fanno perno su altret­tanti nodi dell’interpretazione delle opere e delle let­tere pri­vate dello scrit­tore pra­ghese. Ne accen­ne­remo qui per tratti fon­da­men­tali nella descri­zione dei vari capi­toli, certo non esau­stiva del qua­dro ben più arti­co­lato che il let­tore tro­verà nel volume. 

L’analisi del primo capi­tolo (Il Lavoro) è inno­va­ti­va­mente cen­trata sulla rela­zione tra i temi di alcune opere fon­da­men­tali di Kafka (Le Meta­mor­fosi, Il Digiu­na­tore e Il Castello) e le appro­fon­dite cono­scenze sull’organizzazione del lavoro — riflesse in varie « rela­zioni tec­ni­che» ripor­tate alla luce da Fer­rari — che lo scrit­tore aveva acqui­sito come ana­li­sta dell’Isti­tuto di assi­cu­ra­zione con­tro gli infor­tuni dei lavo­ra­tori del Regno di Boe­mia, a Praga, dove lavo­rerà tra il 1908 e il 1918. 

Lon­tano dall’immagine di «povero tra­vet ’sca­dente’ e svo­gliato, con il solo esclu­sivo inte­resse per la let­te­ra­tura» che l’autore pra­ghese, ancora prima dei suoi ese­geti, ha voluto tra­smet­terci, Kafka aveva, in realtà, sem­pre rive­stito un ruolo for­male e soprat­tutto infor­male di pri­mis­simo piano nello stu­dio tec­nico, psi­co­lo­gico, legale e gestio­nale della pre­ven­zione degli infor­tuni e, in senso lato, dell’organizzazione del lavoro. 

Così — sostiene Fer­rari — i pro­ta­go­ni­sti delle opere di Kafka sono inve­stiti — pur nei ter­mini oni­rici che ne carat­te­riz­zano l’esperienza — dai pro­cessi e dalle con­di­zioni che Kafka cono­sceva bene: l’interscambiabilità e fun­gi­bi­lità dei lavo­ra­tori nella pro­du­zione capi­ta­li­stica; la per­dita di senso dell’attività lavo­ra­tiva del sin­golo; la sem­pre pos­si­bile e incom­bente sua «super­fluità» e irri­le­vanza; l’immiserimento della vita inte­riore del lavo­ra­tore, il «vuoto men­tale» che si pro­duce in chi subisce. 

Nel secondo capi­tolo (Inter­mezzo meto­do­lo­gico) tro­viamo il tema degli stru­menti meto­do­lo­gici — in par­ti­co­lare in atti­nenza alla scuola delle Anna­les — che per­met­tono di com­pren­dere il nesso tra sto­ria ogget­tiva e sog­get­tiva nell’opera kaf­kiana, con ampio rife­ri­mento ai pro­cessi descritti da Fer­rari ne L’ascesa dell’individualismo eco­no­mico e la discus­sione di merito riguardo il senso della scelta della forma nell’apologo oni­rico, «ovvero di una nar­ra­zione al con­tempo sfre­nata e imper­tur­ba­bile e per­ciò adatta a riflet­tere il caos del nuovo nelle società», in com­pa­ra­zione con Freud dell’Inter­pre­ta­zione dei sogni. 

Di note­vole impor­tanza appare, poi, l’insieme delle con­si­de­ra­zioni con­dotte nel terzo capi­tolo (Le Orga­niz­za­zioni), che verte sull’analisi kaf­kiana delle forme del potere orga­niz­za­tivo, così come si mostra in opere quali Il Pro­cesso, Il Castello, La Colo­nia Penale. In que­sto capi­tolo, Fer­rari capo­volge l’interpretazione di Kafka come ese­geta delle strut­ture orga­niz­za­tive tota­li­ta­rie, mono­li­ti­che e impe­ne­tra­bili nelle loro logi­che occulte, mostrando come in realtà egli parli delle grandi orga­niz­za­zioni come strut­ture deboli o meglio, inde­bo­lite, dal «bru­li­care», al loro interno, di inte­ressi indi­vi­duali e pri­vati, da pro­ce­dure vaghe e impre­cise, da disor­dine orga­ni­za­tivo e resi­stenza al cam­bia­mento — anti­ci­pando rifles­sioni che solo oggi l’evoluzione del lavoro e delle orga­niz­za­zioni ha reso del tutto attuali. 

Il nodo della visione che Kafka mostra di avere dell’economia che si andava affer­mando e del lavoro dipen­dente in cui si iden­ti­fica con­tra­ria­mente al «destino» che la fami­glia vor­rebbe per lui, viene affron­tato nel quarto capi­tolo (Affetti e denaro), con una disa­mina del gro­vi­glio intri­ca­tis­simo di affetti e inte­ressi eco­no­mici che hanno riguar­dato la rela­zione tra Kafka e la sua fami­glia, in par­ti­co­lare con la figura paterna (Let­tera al padre), nel con­te­sto gene­rale del pre­ci­pi­tare, nel periodo, di quella «ribel­lione al padre» che andava matu­rando da molto tempo con il disgre­garsi pro­gres­sivo della società agrario-feudale. 

Oltre l’individualismo, verso l’individualismo eco­no­mico, tema del capi­tolo finale, si svolge sullo sfondo dei pro­cessi sto­rici che sono alla base della rifles­sione di Fer­rari. Vediamo così, attra­verso le parole delle let­tere, dipa­narsi il pen­siero di Kafka su se stesso, sul pro­prio indi­vi­dua­li­smo e ten­denza all’isolamento, sul suo rifiuto della fami­glia e del matri­mo­nio, sul «nucleo più interno dell’incipiente ato­miz­za­zione degli indi­vi­dui e dell’eclisse gene­ra­liz­zata della socia­lità», arri­vando infine — tra altre opere — alla cupa visione che si esprime nella Tana (1923–24), scritto sei mesi prima della morte e rima­sto incompiuto. 

In quel rac­conto, come vor­rebbe oggi il libe­ri­smo eco­no­mico, «il mondo è popo­lato solo da pre­da­tori e ogni forma di rela­zione con l’altro è un duello: non ci può essere coo­pe­ra­zione e dun­que total­mente assente è la fidu­cia». Quindi, «il mondo è ato­miz­zato: quella che ini­zial­mente era la difesa dell’individuo dal col­let­tivo si è poi tra­sfor­mata nel pri­mato dell’individuo e, infine, nel culto tota­li­ta­rio del singolo».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie di aver ripreso questa recensione per il bel libro di Ferrari.


Sergio