mercoledì 23 aprile 2014

Per non ridurre la filosofia a filosofia analitica va corso il rischio del gergo e del postmodernismo

C'è da tempo questo desiderio strisciante - sul Domenicale del Sole 24, su Repubblica e sul Corriere ma più o meno su tutte le testate - di annientare la filosofia italiana appiattendola sulla noia analitica degli anglosassoni, o dandole una missione epistemologica. Soprattutto per gli sciacalli pennivendoli, che parlano delle cose più diverse ignorandole per lo più tutte allo stesso modo, bisogna essere analitici oppure esporsi allo scherno. Quando si parla di pensiero critico, poi, mettono mano alla pistola.
Non è una novità e chi conosce la storia della filosofia contemporanea lo sa. Per costoro la filosofia è ancella delle scienze, soprattutto della scienza economica monetarista. Per il resto, bastano Severino e papa Francesco, che soddisfano il bisogno di consolazione religiosa.
Certo, la filosofia italiana e in generale la filosofia contemporanea ha molto da farsi perdonare, e di pensiero critico se ne è visto poco. Ma anche il più ottuso heideggeriano di provincia è comunque meno soporifero di un analitico. Almeno fa ridere [SGA].

Winnie the Pooh dai filosofi salvaci tu
Diego Marconi si interroga su eccessi e confusioni del «Mestiere di pensare» (Einaudi) Manca in Italia una tradizione satirica che metta in discussione la presunzione di utilitàGuido Vitiello La Lettura

Andrea Lavazza Avvenire 22 aprile 2014

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