lunedì 28 aprile 2014

Una nuova biografia intellettuale di Brecht


Stephen Parker: Bertolt Brecht: A Literary Life, Bloomsbury, London, pagg. 704, £ 30,00

Risvolto

This first English language biography of Bertolt Brecht (1898–1956) in two decades paints a strikingly new picture of one of the twentieth century’s most controversial cultural icons.

Drawing on letters, diaries and unpublished material, including Brecht’s medical records, Parker offers a rich and enthralling account of Brecht’s life and work, viewed through the prism of the artist. Tracing his extraordinary life, from his formative years in Augsburg, through the First World War, his politicisation during the Weimar Republic and his years of exile, up to the Berliner Ensemble’s dazzling productions in Paris and London, Parker shows how Brecht achieved his transformative effect upon world theatre and poetry.

Bertolt Brecht: A Literary Life is a powerful portrait of a great, compulsively contradictory personality, whose artistry left its lasting imprint on modern culture. - See more at: http://www.bloomsbury.com/uk/bertolt-brecht-a-literary-life-9781408155622/#sthash.SLO0By9E.dpuf

I drammi del drammaturgo

La straordinaria biografia dell'autore di «Madre coraggio» scritta da Stephen Parker con competenza e comprensione dei fatti e delle circostanze 

di Donald Sassoon il Sole24ore domenica 27.04.14


Un bel guaio essere artisti o scrittori, non hai mai il controllo della tua creazione. Ma chi sta peggio di tutti è il drammaturgo: scrive un testo con qualche nota al massimo su scenografia e attori (uscite, entrate) e il suo prodotto gli viene tolto di mano da attori, scenografi e soprattutto registi. Diventa la loro opera. E lui se ne sta seduto in un angolo col broncio, o più sovente, si rigira nella tomba. Povero Bertolt Brecht che si considerava, a buon diritto, il grande drammaturgo della sua epoca, condannato ad avere così poco controllo delle sue opere e della sua vita. Di salute era cagionevole. I suoi vecchi compagni comunisti non avevano la sua stessa idea di teatro politico. Fu costretto all'esilio: Danimarca, Finlandia, Svezia e Stati Uniti, tutti Paesi dov'era difficile mettere in scena le sue opere. Diventò come scrisse lui stesso «quello che nessuno ascolta», «parla troppo forte / si ripete / dice cose sbagliate / non viene corretto».
C'era soltanto un aspetto della sua vita che riusciva a gestire: le donne con le quali si comportava malissimo, le tradiva tutte ma si infuriava al solo sospetto che loro tradissero lui. E non sopportava di rompere con nessuno, con le donne, con gli amici o con il comunismo e l'Unione Sovietica.
Eppure, in qualche modo, nonostante tutto, Brecht rivoluzionò il teatro e ci lasciò alcuni dei più grandi capolavori drammatici del Ventesimo secolo: Vita di Galileo, Madre Courage e i suoi figli, L'anima buona del Sezuan, Il cerchio di gesso del Caucaso e molte altre. La tentazione di ricorrere al cliché è forte: un genio imperfetto. O meglio un genio con delle imperfezioni. O ancora meglio, un uomo che è riuscito a mettere i suoi difetti al servizio del proprio genio.
Questo e molto altro emerge dalla biografia di Stephen Parker su Brecht, la prima in vent'anni, uno stupefacente tour de force fondato su una competenza straordinaria.
Se avessimo conosciuto Brecht nel 1920, lo avremmo trovato un giovanotto borioso, uno che sfrutta la propria eloquenza come strumento di conquista sessuale, così come tanti uomini fanno colpo sulle donne mostrando i muscoli o il portafoglio.
Il momento in cui si avvicinò di più alla rivoluzione fu durante i disordini politici dopo la sconfitta della Germania nel 1918, ma mentre i rivoluzionari venivano portati via e assassinati, lui era in giro per nightclub a caccia di donne. Della teoria gli importava poco a meno che non riguardasse il teatro. Il suo marxismo era sempre un po' all'acqua di rose. Come scriveva «con una teoria sola si è perduti… ha bisogno di più teorie, quattro, se non di più! Dovrebbe mettersele in tasca come fossero giornali freschi di stampa…».
Il suo impegno socialista veniva dal desiderio di rompere con le convenzioni borghesi. Sfortunatamente per lui, i comunisti nell'Urss o dopo nella Ddr, erano molto legati a una concezione borghese dell'arte. Volevano che il loro teatro fosse comprensibile, edificante, con buoni e cattivi chiaramente delineati. A proposito del teatro "comunista" dei tempi di Weimar, Brecht ironizzava scrivendo: «Per 3.000 marchi al mese / è pronto / a impersonare la sofferenza delle masse. / Per 100 marchi al giorno / ti fa vedere l'ingiustizia del mondo».
Parker ci guida attraverso le diverse fasi dell'evoluzione del metodo brechtiano (il Verfremdungseffekt, l'effetto di alienazione o straniamento), ma la premessa di base era costante. Se Stanislavskij (e il suo epigono americano Lee Strasberg) insistevano che gli attori dovessero "essere" il personaggio che stavano impersonando e che il pubblico dovesse identificarsi con quello che stava succedendo sul palcoscenico, Brecht voleva mantenere intatto lo «splendido isolamento» dello spettatore, senza che si fondesse con l'eroe. Naturalmente Brecht non era il solo a promuovere queste idee. Anche Piscator aveva sperimentato l'uso di proiezioni e scritte come parte di quell'effetto di "alienazione". Lo stesso Brecht attribuiva le origini di quella distanza a un teatro passato, alle opere medievali e soprattutto al teatro cinese (l'interpretazione di Mei Lanfang dell'Opera di Pechino che vide a Mosca, nel 1935, fu decisiva). «Sono stufo del nuovo. Sto cominciando a lavorare con materiale molto vecchio che è stato saggiato mille volte. Io sono un materialista e uno zoticone e un proletario e un anarchico conservatore», spiegava Brecht.
Dovette lottare per avere successo. La prima a New York di quella che sarebbe diventata la sua opera più famosa, L'opera da tre soldi, fu un vero e proprio fiasco. La prima berlinese di Ascesa e caduta della città di Mahagonny (sempre con le musiche di Kurt Weill) venne interrotta dai nazisti. Santa Giovanna dei Macelli (probabilmente la sua opera più "marxista") fu messa in scena una sola volta quando Brecht era in vita, nel 1932. A parte L'opera da tre soldi, nessuna delle sue opere fu rappresentata in Unione Sovietica quando il suo autore era vivo.
I tipici "eroi" brechtiani sono sfasati rispetto al periodo in cui vivono, che si tratti di Jim Mahoney in Mahagonny, che cerca il piacere sotto il capitalismo, sistema in cui il piacere è mercificato, o Schweyk e Madre Courage che cercano di sopravvivere durante la guerra, mai del tutto consapevoli del prezzo che devono pagare, o Galileo che cerca di salvare la propria scienza in un'epoca che la scienza la condannava. I fortunati che hanno avuto modo di vedere Tino Buazelli che interpretava Galileo negli anni Sessanta, con la regia di Strehler, non se lo dimenticheranno mai.
Brecht tacque durante le purghe di Stalin, anche se intercedette per i suoi amici. Lui voleva credere nell'Urss nonostante tutto, persuaso che qualsiasi parola sbandierata contro Stalin avrebbe fatto gioco a Hitler, per quanto si fosse reso conto che in Russia «una dittatura governava il proletariato». Scriveva: «Anche nei tempi bui / si canterà? / Anche si canterà. / Dei tempi bui.» (ndt, da Canto tedesco, Bertolt Brecht Poesie 1933-1956, traduzione di F. Fortini, Einaudi). E nel suo famoso A coloro che verranno chiedeva ai posteri: «pensate a noi con indulgenza» (ndt, da Poesie e canzoni, a cura di R. Leiser e F. Fortini, Einaudi). 
Negli Stati Uniti, dove fuggì nel 1941, Brecht era infelice. Cercò lavoro come sceneggiatore a cottimo: «Ogni mattino, per guadagnarmi il pane / vo al mercato dove si comprano menzogne. / Pieno di speranza / mi metto in fila fra i venditori,» (Ndt, da Hollywood, Bertolt Brecht, Poesie 1918-1933, traduzione di R. Leiser e F. Fortini, Einaudi). E non era felice nel claustrofobico mondo emigrato degli esuli tedeschi a Hollywood e a New York. «Nemmeno nei boschi della Finlandia mi sono sentito così fuori dal mondo come mi sento qui», scriveva.
Alla fine della guerra non sa dove andare. Gli svizzeri non lo vogliono. È bandito dalla zona americana della Germania. Nemmeno i tedeschi dell'Est ci tengono molto ad averlo, però non si possono permettere di mandare via un drammaturgo antinazista ormai famoso. Alla fine ebbe il suo teatro e la sua compagnia, il Berliner Ensemble. Si era preparato al compromesso, sostenuto da una genuina popolarità che spaventava la gerarchia comunista. E a ragione: alla prima del Cerchio di gesso del Caucaso ci furono 57 chiamate e seguirono 175 repliche, per quanto l'opera venne attaccata o ignorata dalla stampa di partito. Cautamente Brecht non pubblicò la famosa poesia che aveva scritto in risposta alla rivolta operaia del 17 giugno 1953 nella quale dichiarava con ironia che avendo perso la fiducia del governo, il popolo «doveva essere sciolto» per eleggerne uno nuovo. (Traduzione di Francesca Novajra) 

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