lunedì 1 settembre 2014

Americanismo ieri e oggi

National Identity and the Agrarian RepublicManuela Albertone: National Identity and the Agrarian Republic. The Transatlantic Commerce of Ideas Between America and France (1750-1830, Ashgate

Risvolto
With a few exceptions, historiography has paid little attention to the impact of French economic thought during the American Revolution, focusing instead on the Revolution’s links with Britain. This book outlines how, from the mid-eighteenth to the early nineteenth century, the political and social dimension of French economic thought, and particularly of Physiocracy, spurred American Republicans to a radical shaping of American agrarian ideology. Such a perspective allows for a reconsideration of several questions that lie at the heart of contemporary historiographic debate: the connection between politics and economics; the meaning of republicanism; the foundations of representation; the role of Europe in the Atlantic world; and the interaction between national histories and global context. In particular, the research methodology adopted here makes it possible to reconstruct how American national identity, conceived as an expression of society in economic terms, emerged through a cosmopolitan way of thinking focused on the uniqueness of the new state.



Wendell Berry: Jayber Crow, Lindau, pp. 520, euro 24

Risvolto
Per oltre trent’anni Jayber Crow è stato il barbiere di Port William, un piccolo centro agricolo del Kentucky. Tutti sono passati dal suo negozio, affidandogli, insieme ai capelli e alla barba, pensieri e speranze, sogni e delusioni. Ormai anziano, ci racconta le loro vicende, e attraverso di esse la propria stessa vita. Mentre sullo sfondo scorrono gli avvenimenti della Storia – dalla crisi del ’29 alla seconda guerra mondiale, al Vietnam, agli anni ’80 – le piccole storie degli abitanti di Port William si intrecciano costruendo una trama
di forte verità umana. Evocando persone e fatti con il suo tono piano ed equilibrato, Jayber Crow ci parla di amicizia e amore, di gioia e dolore, della fede in Dio e delle trasformazioni che hanno profondamente modificato il rapporto dell’uomo con se stesso e con il mondo. In una realtà scandita dall’avvicendarsi delle stagioni e dal lento scorrere del fiume, la comunità di Port William ha infatti visto minacciati da guerre, avidità e consumo dissennato i suoi delicati equilibri ecologici, economici e umani. Lo sguardo di Jayber è sempre penetrante e sensibile, è quello di chi vuole comprendere più che giudicare e partecipa intimamente a ciò che le persone intorno a lui vivono e soffrono. In questo grande romanzo corale, che è una delle sue opere più alte, pur nell’attenzione verso il mondo tradizionale, Berry non tesse lodi nostalgiche del passato, ma piuttosto ripropone temi cruciali per definire l’identità della nostra società: l’effetto disgregante dell’industrializzazione agricola e la distruzione della natura, l’elogio della lentezza e della parsimonia, il rispetto per la Terra, il senso di solidarietà delle piccole comunità e l’amore per il prossimo.


Difendere la tradizione americana con una fattoria e una biblioteca
Il contadino-scrittore, antimoderno e antistatalista, dipinge in «Jayber Crow» il piccolo mondo antico del Kentucky. Sulle orme di Chaucer e Faulkner
29 ago 2014 Libero MARCO RESPINTI

Erano le idi di giugno del 46 a.C. e Cicerone scrisse a Varrone: «Se possiedi un giardino e una biblioteca, hai tutto ciò che ti serve». La civiltà occidentale è praticamente tutta qui: coltivatori e coloni. Per questo i suoi guardiani al tramonto hanno sempre difeso dai molti Hyksos sia i campi sia i libri. Oggi gli splendidi perdenti, gli irregolari e i briganti che formano l’ultima legione a custodia del limes hanno un alfiere d’eccezione in un tale che da mezzo secolo raccoglie il frumento in una piccola farm del Kentucky, il 5 agosto ha compiuto 80 anni e in 11 lustri ha pubblicato 15 libri di romanzi e novelle, 31 di saggistica, 27 di poesia e un gran numero di articoli e introduzioni a testi altrui.

Il suo nome è Wendell Berry, paladino del giardino e della biblioteca occidentali, e resistere al suo il fascino è impossibile. In italiano il poco che c’è lo si deve a un ambientalista sui generis come Giannozzo Pucci, ma ora arriva finalmente Jayber Crow ( Lindau, pp. 520, euro 24), uscito originariamente nel 2000.

Per tre decenni il barbiere di Port William, borgo rurale ovviamente nel Kentucky, vede sfilare un campionario di varia umanità. Sembra che da lui, Jayber Crow, la gente ci vada per confessarsi più che per tosarsi. E lui ascolta, ricorda, racconta. La Grande Storia del mondo di fuori incornicia le mille vicende di una comunità umana diversa e uguale alla nostra, ripetendo il topos dei Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer. Ma la vicenda-quadro che contiene le vite degli altri, in Chaucer come in Berry, non è una scusa: è il senso dato al cammino dalla meta. Nei Canterbury Tales un pellegrinaggio sulla tomba di san Tommaso Becket, in Jayber Crow il viaggio in fondo all’uomo (e forse è la stessa cosa). Le vite sono così solo apparentemente quelle degli altri. Nel palcoscenico neoshakespeariano di questo Kentucky ai confini del mondo e al centro del cuore, Jayber parla di uomini e di cose affinché Berry possa parlare di sé. E così, noi lettori della «società aperta» possiamo provare a riscoprirci confrontandoci con il «piccolo mondo antico».

Berry è irritante. Nessuna critica riesce a schedarlo. Abituata a etichettare solo per consumare, non sa spiegarne l’anti-industrialismo radicale, la lotta alla «economia totale» e l’anarchismo antistatalista fatto di «Dio, patria e famiglia», natura non negoziabile delle cose e uomini impastati (come nella Genesi) della terra che dissodano.

Berry è antipatico. La sua religiosità non istituzionale ma cristiana, la sua fede contadina che preferisce l’orto alle chiese e la sua teologia pseudo-panteista che distingue il Creatore dalle creature spaesano quelli che leggono i libri di preghiere come il bugiardino degli antibiotici. Però sono i cristiani conservatori, cattolici e protestanti, ad amarlo di più. Un po’ amish e un po’ «Omo Selvatico» di Giovanni Papini, Berry riecheggia William Faulkner, ricorda il filosofo-contadino Gustave Thibon, da noi potrebbe musicarlo Davide Van De Sfroos e gli «agrari sudisti» amici di Ezra Pound e T. S. Eliot ne sono lo specchio. Per questi ultimi è stata creata l’espressione «modernismo reazionario»: Berry è un «progressista tradizionalista». Stesso destino di un altro beniamino della sinistra solo perché la sinistra di lui non ha mai capito nulla: Christopher Lasch.

È il dramma della modernità in cerca d’autore la chiave per comprendere i guastatori così: la quadruplice rottura che l’uomo soffre verso Dio, verso sé, verso gli altri e verso l’ambiente, inseguendo una riconciliazione che è anzitutto penitenza per ritrovare il legame autentico ( religio) che arresta la deriva. In Berry compagnia, matrimonio e sessualità sono costanti. Unione. In inglese l’agricoltura di Berry si dice husbandry, le nozze fra l’uomo fecondatore ( husband, marito) e la terra generatrice. Siamo abituati a pensare che è di destra contare i dividendi alla Scrooge e di sinistra suonare la chitarra alla luna, ma Wendell Berry spaia tutto. «Lavoro i campi per gli dèi immortali», scriveva Cicerone nel De senectute.

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