domenica 19 ottobre 2014

Breve storia sociale del duello


La via della spada . E del fioretto

Giudizio di Dio o imperfetta giustizia degli uomini L’epopea del duello, nato cruento e finito all’Olimpiade 

Domenica 19 Ottobre, 2014 LA LETTURA © RIPRODUZIONE RISERVATA


Vangelo di Matteo, capitolo XXVI. La scena si svolge nell’orto del Getsemani. Il Figlio dell’Uomo sta per essere catturato, alcuni individui gli mettono le mani addosso. I versetti 51 e 52 narrano la scena e riportano una sentenza: «Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada”». La frase diverrà celeberrima in latino, quale monito: Qui gladio ferit gladio perit ; noi ci siamo limitati a riportare l’ultima traduzione della Cei del 2008. 
Chissà perché questa locuzione, che si fissa ostinatamente nella memoria, si evoca vedendo una spada: sia essa intesa come un nobile strumento sportivo o un’arma dimenticata in qualche poema cavalleresco o in romanzi ottocenteschi. Ronzava nella memoria allorché ci siamo recati a Busto Arsizio, all’Agorà della Scherma, il museo che ha come nucleo principale la «Donazione Longhi». È ricco di pezzi: fioretti, sciabole e spade sportive, da duello e di uso militare; accessori per l’addestramento dello schermitore, come maschere, piastroni e guanti, nonché una vasta iconografia e una biblioteca. Originali, rari, un patrimonio che si può visitare il mercoledì e il sabato gratuitamente, previa prenotazione. 
Senonché dopo la visita all’Agorà della Scherma ci si trova con le idee confuse. Vengono in mente scene e personaggi de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, da Padre Cristoforo, che con la spada ci sapeva fare prima di indossare l’abito («gli ha fatto un occhiello nel ventre»: ecco il risultato del duello al capitolo IV), al Conte Attilio. Il quale, a proposito di una sfida fatta recapitare da un cavaliere spagnolo a un suo pari milanese, approva il fatto che il povero ambasciatore sia stato preso a legnate. Al capitolo V ecco le sue parole «Ben date, ben applicate»; le quali, va da sé, forse non rispettavano le norme della cavalleria. 
Già, la cavalleria. Viene alla mente l’attacco che le mosse un fine letterato e un uomo d’armi come il veronese Scipione Maffei nel suo libro — citiamo dall’edizione di Venezia 1712, la seconda — Della scienza chiamata cavalleresca . Al capo VI del I libro tratta Come son false le dottrine di questa Scienza intorno al Duello scrivendo contro la concezione che vedeva, nel risultato, una sorta di giudizio divino; o meglio, per ritornare alle parole del Maffei, se «vale a far conoscere qual di due contendenti ha causa giusta». «Onde si decanta — scrive il letterato veronese — che la spada giudica le cose occulte, la giustizia rivela, la verità difende, ed insegnasi, che quando i duellanti son già sul campo non debbano più dalla pugna ritrarsi, perché importa al publico, che si manifestino i delitti de’ rei». 
Al Maffei risponderà Giovanni Bellincioni, un modenese che stampa a Parma nel 1713 Giunte all’opera intitolata della Scienza chiamata cavalleresca . In essa si difende il duello ricorrendo anche a citazioni di Tommaso d’Aquino; comunque la via scelta è quella del guerrafondaio di buon senso: «Ma perché manca al Mondo la perfezione, e tutto dì vien perturbato da gli Uomini ingiuriosi il quieto viver Civile, quindi è molto necessario l’abito della Fortezza, per difendere, e coltivare la Pace, e la Tranquillità». Insomma, girare armati era utile per chetare qualche testa calda. Per tale motivo il gentiluomo sino alla Rivoluzione francese portava una spada alla sua sinistra: per praticità offriva il braccio sinistro alla dama, in modo da sguainare l’arma con la destra e difenderla (o difendersi); per la medesima ragione i bottoni delle camicie e degli abiti maschili si aprono con la sinistra. 
Che aggiungere? Poemi cavallereschi quali la Gerusalemme Liberata o l’ Orlando Furioso hanno cantato magistralmente l’intelligenza e la mimica dell’assalto. Versi che sembrano delle immagini con lame incrociate. La prima opera, di Torquato Tasso, al canto VI,42 offre questa descrizione: «Cautamente ciascuno a i colpi move/ la destra, a i guardi l’occhio, a i passi il piede;/ si reca in atti vari, in guardie nove:/ or gira intorno, or cresce inanzi, or cede,/ or qui ferire accenna e poscia altrove,/ dove non minacciò ferir si vede,/ or di sé discoprire alcuna parte/ e tentar di schernir l’arte con l’arte». E Ludovico Ariosto delinea lo scontro con versi unici: «Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi/ colpi veder che mastri son del giuoco:/ or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,/ ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,/ ora crescer inanzi, ora ritrarsi,/ ribatter colpi e spesso lor dar loco,/ girarsi intorno; e donde l’uno cede,/ l’altro aver posto immantinente il piede» (II, 9). 
Impossibile dimenticare la spada. Il suo esercizio porta con sé qualità che il tempo e gli abusi non sono riusciti a cancellare. Antonio Spallino nel libro Una frase d’armi (La Vita Felice, 1997) rammenta le parole del suo maestro Giuseppe Pisani di Castagneto: «Ricordati che in pedana, a differenza di ciò che può accadere nella vita quotidiana, non potrai dissimulare nulla; sarai soltanto te stesso». D’altra parte, sempre nel Vangelo di Matteo, Gesù utilizza questo simbolo: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (10,34). E L’Apocalisse la descrive come qualcosa che spunta dal Verbo stesso: «Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti» (19,15); d’altro canto, il paradiso, dopo la cacciata di Adamo ed Eva, è custodito da cherubini con «la fiamma della spada folgorante» (Genesi 3,24). Tutto questo anche se la Chiesa negava agli uccisi in duello la sepoltura in terra consacrata; e per gli spettatori c’era la scomunica. 
La cosiddetta «Spada dei filosofi» è nel linguaggio alchemico il fuoco del crogiolo. Nelle tradizioni assume un nome: Durlinadana nel ciclo carolingio è l’arma di Orlando, paladino di Carlo Magno; il Re, invece, possiede Gioiosa (« Le nom de Joyeuse fut donné à l’épée »: Chanson de Roland CLXXXIII). Il medesimo nome figura nei racconti della Tavola Rotonda per quella di Lancillotto. 
Nei Paesi germanici, ancora nel secolo scorso, era praticato il duello con la Mensur . Per essere ammesso alle associazioni, uno studente doveva provare il suo coraggio battendosi almeno una volta: si mirava solo al volto, si colpiva di taglio per provocare la cicatrice che faceva tendenza. Gli occhi erano protetti. E quello sfregio piaceva alle donne. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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