lunedì 13 ottobre 2014

La deemancipazione maggioritaria avanza. La sinistra complementare spera di lucrarne qualcosa

Sel prepara la nuova sinistra Ma i fuoriusciti guardano al Pd
di Francesca Schianchi La Stampa 13.10.14


Nel nome ci dovrà essere la parola «lavoro». Accanto a sinistra, naturalmente. Ma anche un richiamo di qualche tipo alla «possibilità», a quello che è possibile fare ed essere: la suggestione è quella di Podemos, neonato e subito in ascesa partito spagnolo. Dentro Sel c’è chi già ci sta riflettendo: l’ora X per lanciare il progetto di una nuova formazione di sinistra è la fiducia alla Camera sul Jobs act, considerata altamente probabile, quando il malessere della minoranza Pd potrebbe superare il livello di guardia e cercare uno sfogo fuori dal partito. Ma per qualcuno che sta riflettendo se andarsene dal Partito democratico di Renzi, altri stanno facendo la riflessione opposta: Led, la componente parlamentare nata dalla scissione di Sel e capitanata da Gennaro Migliore, ha una direzione di marcia chiara, verso il Pd. E potrebbe essere domenica prossima il momento buono, quando si terrà l’assemblea nazionale: «In occasione dell’Assemblea potrebbero esserci novità», anticipa Migliore.
Ci sono movimenti in corso, nell’area a sinistra del Partito democratico. Sel è attenta a tutto quello che sta succedendo nell’ex alleato a trazione renziana. «Siamo a disposizione della costruzione di un processo politico più largo», usa un giro di parole il coordinatore Nicola Fratoianni per dire che sì, il partito di Vendola aspetta solo il momento giusto per poter dare vita a una nuova formazione di sinistra più ampia. «Dovremo farlo nella maniera meno tradizionale possibile», mette in guardia però il capogruppo Arturo Scotto. 
Qualcosa di nuovo, dunque, con un leader nuovo da contrapporre a Renzi: e il pensiero di tutti, dentro Sel, va a Maurizio Landini, il segretario della Fiom che sabato scorso ha partecipato alla loro manifestazione. «Un leader nei fatti, perché è principale punto di riferimento sociale di un’area», spiegano, «ha carisma, e sarebbe un federatore» di quell’arcipelago di sigle e associazioni che stanno a sinistra. Ma, al momento, non sembra volersi buttare nell’avventura. E infatti si stanno facendo altre ipotesi, ad esempio Civati. Qualcuno fa anche il nome dell’ex viceministro Fassina. Ma, per loro, resta innanzitutto da decidere se abbandonare il Pd. «A sinistra, la parola scissione, quando comincia a girare, non è facile da esorcizzare», predica Scotto. 
Civati resta sulle barricate, ma non dice la parola definitiva: «La scissione non dipende da me, ho un sacco di motivi per pensare che dipenda da altri». L’ora X, appunto, il voto sul Jobs act alla Camera.



Renzi vuole il super-partito
Cresce il pressing su Fi “Silvio, cambiamo l’Italicum”

di Francesco Bei Repubblica 13.10.14


ROMA L’esca è stata lanciata tre settimane fa. Quando Renzi, nell’ultimo incontro a palazzo Chigi con Berlusconi e Verdini, ha gettato sul tavolo una proposta dirompente: «E se il premio di maggioranza, invece che alla coalizione che arriva prima, lo dessimo alla migliore lista? Pensateci bene, potrebbe convenire anche a voi». Berlusconi, che di legge elettorale non ne mastica molta, ha replicato con un «fammici pensare su», mentre Verdini allarmatissimo lo trascinava via per un braccio. L’ingranaggio comunque si è messo in moto. L’idea sta facendo proseliti nella maggioranza. Angelino Alfano ne ha discusso con i suoi e l’Ncd è pronto a rilanciarla. Il disegno di Renzi, coerente con l’aspirazione a consolidare il 40,8% in un partito a «vocazione maggioritaria», è quella di rompere gli indugi e puntare tutto su uno schema tendenzialmente bipartitico. Lo ha rivelato lui stesso, intervistato da Paolo Del Debbio: «Bisogna arrivare a due partiti: un centrodestra e un centrosinistra».
Essendo la legge elettorale il prodotto delle convenienze dei partiti, quale interesse avrebbe un peso leggero come l’Ncd a stravolgere in senso bipartitico l’Italicum? Lo spiega Gaetano Quagliariello: «Per noi si aprirebbero due scenari. Si potrebbe costruire un partito-coalizione, un soggetto unico del centrodestra con Forza Italia. Oppure potremmo presentarci da soli al primo turno e negoziare la nostra partecipazione al governo come junior-partner. È quello che è successo in Germania ai liberali o in Inghilterra ai lib-dem». Inoltre passare da un Italicum con le coalizioni a una legge che premia i singoli partiti, avrebbe per Alfano l’indubbio vantaggio di una semplificazione delle soglie, con l’introduzione di uno sbarramento unico al 3 o al 4 per cento. Un’opportunità a cui potrebbe guardare con favore anche una eventuale forza di sinistra che metta insieme Vendola, Landini e Civati. E anche Lega e Fratelli d’Italia, entrambi sempre più connotati come forze antieuro, anti-immigrazione, anti-Ue, potrebbero presentarsi da soli senza la camicia di forza di un’alleanza con Berlusconi.
Dunque il vero ostacolo alla proposta di Renzi resta Forza Italia. Permane imponderabile il pensiero del Cavaliere sull’argomento, l’unica cosa certa è la decisa opposizione di Verdini. Che ha messo in guardia il leader dal pericolo reale della proposta: «Se al ballottaggio ci vanno i partiti e non le coalizioni noi siamo morti. Al doppio turno accedono solo Renzi e Grillo». Eppure non è detto che il ragionamento di Verdini sia quello che farà breccia in Berlusconi. Perché, se la legislatura dovesse andare avanti con Forza Italia sulla soglia del governo, nel 2018 le aziende di famiglia potrebbe essere messe al sicuro, forse anche la questione della riabilitazione politica sarebbe un problema in via di soluzione grazie all’elezione di un capo dello Stato figlio del patto del Nazareno. Per Berlusconi insomma il futuro di Forza Italia è un problema secondario visto in uno scenario più ampio.
In ogni caso, in attesa di capire le mosse del leader forzista, la riforma elettorale langue dimenticata nei cassetti di palazzo Madama. Tanto che Roberto Giachetti ha minacciato di ricominciare lo sciopero della fame se non verrà tirata fuori dalla palude. Renzi in privato lo ha rassicurato: «Entro dicembre lo approviamo in Senato». Ma ormai, tra ferie e sessione di bilancio, i giorni effettivi di lavoro sono si e no una trentina. E nel Pd ancora si litiga dietro le quinte su chi dovrà fare il relatore. Intanto il Cavaliere sta preparando il suo piano d’emergenza. Se tutto dovesse precipitare verso le elezioni anticipate, meglio tenersi il Consultellum (proporzionale puro sia alla Camera che al Senato) e lanciarsi alla riconquista dei voti perduti. I toni da campagna elettorale usati ieri contro Renzi e Alfano sono la spia che il vecchio leader si tiene pronto a tutto.

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