sabato 25 ottobre 2014

La fantasia al potere: i servizi segreti inglesi sospettavano Hobsbawm di spionaggio a favore dell'Urss




Ma non bastava leggersi qualche libro per capire che né lui l'avrebbe mai fatto, né ai sovietici sarebbe mai passato per la testa di reclutarlo? [SGA]

“Una spia comunista” Così gli 007 inglesi pedinarono per decenni lo storico HobsbawmL’Mi5 seguì ossessivamente l’autore del “Secolo breve”. Pensava lavorasse per Mosca, ma si sbagliava

di Enrico Franceschini Repubblica 25.10.14
LONDRA GLI mettevano i microfoni al telefono e nello studio. Gli leggevano la posta, che allora non era elettronica, ma di carta. Lo pedinavano per scoprire chi incontrava. Per decenni l’-Mi5, il controspionaggio del Regno Unito, spiò ossessivamente Eric Hobsbawm, forse il più noto storico britannico e un marxista convinto. Convinti che fosse o potesse essere al servizio di Mosca, i servizi segreti di Sua Maestà frugarono in ogni ripostiglio della sua vita privata, ma non trovarono mai prove che passasse informazioni all’Urss o tramasse per conto dell’internazionale comunista. Il “secolo breve”, titolo del famoso saggio di Hobsbawm sul Novecento, dovette sembrare molto più lungo agli 007 inglesi che cercavano di incastrarlo: una caccia meticolosa ma, oltre che infruttuosa, maledettamente noiosa. Gli unici “segreti” che vennero alla luce furono le difficoltà matrimoniali con la prima moglie, che non lo riteneva un compagno (in senso ideologico) abbastanza «fervente», e l’ospitalità data per una notte a un misterioso personaggio «dal naso adunco e in apparenza ebreo», annotò la spia di turno sul taccuino con spirito d’osservazione antisemita, rivelatosi in seguito un parente del tutto innocuo, lo “zio Harry”, che quella sera si era fermato da lui perché aveva bevuto un po’ troppo.

Ha dunque più i tratti della commedia che del thriller la montagna di rivelazioni ottenute dal Guardian e da altri quotidiani londinesi sull’attività di spionaggio ai danni dell’eminente storico scomparso nel 2012. Commedia sì, ma tuttavia degli orrori, rivelando a che punto arrivassero le paranoie occidentali al tempo della guerra fredda, uno specchio fedele — fortunatamente senza arrivare ai campi di prigionia del Gulag — di quello che sentiva e faceva sul versante opposto la superpotenza rossa. I documenti, otto cartelle piene zeppe di rapporti “top secret”, non soltanto su Hobswam ma pure su altri scrittori, artisti e intellettuali di sinistra dell’epoca, come Iris Murdoch, Christopher Hill e Mary Warnock, sono stati resi noti dai National Archives quasi senza censure: solo qualche riga è oscurata qui e là e un’unica cartella su di lui è stata “temporaneamente” trattenuta per motivi non meglio specificati. Il professore era diventato un numero per il controspionaggio: 211764. Gli agenti erano riusciti a nascondere cimici nei suoi telefoni e nelle sue stanze, gli aprivano tutta la corrispondenza privata (confiscando fino a 10 lettere al giorno e fotocopiandole prima di riconsegnargliele), seguivano i suoi movimenti.
Nato in Egitto e fuggito in Inghilterra dalla Germania nazista nel 1933 per non diventare vittima dell’Olocausto, Hobsbawm era iscritto al Cpgb, il partito comunista britannico, un’adesione che non rinnegò mai, fino alla morte, anche dopo il crollo del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica. Era la sua militanza comunista a suscitare sospetti nell’Mi5, eppure l’unica scoperta “storica” dello spionaggio nei suoi confronti è che contestò così duramente la leadership del Cpgb da rischiare di essere espulso. A cominciare dal 1956, quando il controspionaggio venne a sapere che il professore, insieme alla scrittrice (in seguito premio Nobel per la letteratura) Doris Lessing, scrisse una lettera attaccando i leader del partito comunista britannico per il loro «acritico sostegno alle azioni sovietiche in Ungheria», ovvero alla sanguinosa invasione di Budapest che aprì la prima crepa nel fronte comunista in Europa. Quel sostegno, affermò Hobsbawm in un’assemblea del partito a King street, vicino a Covent Garden, era «il culmine di anni di distorsione di fatti», secondo quanto riferisce la registrazione del controspionaggio.
Le intercettazioni confermarono che Hobsbawm era amico di Alan Nunn May, un fisico britannico che aveva confessato di avere fatto la spia per la Russia, condannato per questo e rilasciato nel 1952. Ma tra lo storico e il fisico non saltarono mai fuori accordi per arruolare anche Hobsbawm al servizio di Mosca; né la Russia dimostrò mai alcun interesse a Hobsbawm. Insomma, l’Mi5 fece tanta fatica per niente. Due anni prima di morire, consapevole che esisteva un dossier su di lui negli archivi di stato, il professore chiese di poterlo vedere. Glielo negarono. Diventa di dominio pubblico soltanto ora, che il “secolo breve” è finito da un pezzo.

«Le vite degli altri» in Inghilterra 
Archivi aperti. Escono i dossier degli 007 inglesi sugli intellettuali di sinistra, da Hobsbawm a Doris Lessing. Ore e ore di telefonate e di lettere spiate, fra strategie politiche e momenti privatissimi
Leonardo Clausi, il Manifesto LONDRA, 28.10.2014 

Da sem­pre cele­brato modello di demo­cra­zia libe­rale, la Gran Bre­ta­gna gode di una fama con­so­li­data, quella di essere un luogo tol­le­rante, una nazione che ha sem­pre accolto rifu­giati poli­tici dis­si­denti e anche rivo­lu­zio­nari: Marx, Her­zen, Baku­nin, tanto per citarne tre. Vero, soprat­tutto per­ché costoro ave­vano di solito l’attenuante di rivol­gere altrove le loro peri­co­lose mire insur­re­zio­nali. Quando si tratta però del «nemico interno» (The enemy within, come Mar­ga­ret That­cher apo­strofò i mina­tori gal­lesi in scio­pero nel 1984) allora la tol­le­ranza tanto cele­brata dai Mill e dei Ben­tham è momen­ta­nea­mente sospesa.
Per que­sto sor­prende poco o nulla la noti­zia che dalla fine della seconda guerra mon­diale e per tutta la guerra fredda l’MI5, i ser­vizi segreti nazio­nali, aves­sero spiato alcuni fra i mas­simi intel­let­tuali comu­ni­sti del paese: gli sto­rici Eric Hob­sbawm e Chri­sto­pher Hill, rego­lar­mente iscritti al poco più che lar­vale par­tito comu­ni­sta bri­tan­nico (Cpgb) soprat­tutto, ma anche le scrit­trici Doris Les­sing e Iris Mur­doch.
I dos­sier sono dive­nuti con­sul­ta­bili lo scorso venerdì presso l’archivio di stato di Kew, estremo ovest di Lon­dra. Le spie del governo ascol­ta­rono ore di tele­fo­nate, les­sero chi­lo­me­tri di let­tere, ori­glia­rono su vicende pri­vate e pro­fes­sio­nali: come la Stasi insomma, ma nel nome della libertà. Iro­nia volle non solo che né Hob­sbawm né Hill aves­sero inten­zione alcuna di defe­zio­nare per Mosca o tan­to­meno di fun­gere da spie: come gli agenti segreti poi avreb­bero sco­perto a pro­prie spese, le spie di Mosca – quelle vere – erano i «Cam­bridge five» (Philby, Bur­gess, Maclean, Blunt; il quinto è ancora da iden­ti­fi­care) una rete di stu­diosi, dou­ble agents e diplo­ma­tici che per anni ave­vano pas­sato segreti e infor­ma­zioni al nemico sovie­tico. Pre­ve­di­bil­mente, il mate­riale nelle mani dell’MI5 abbonda di fram­menti di insi­gni­fi­cante vis­suto pri­vato o di vicende ine­renti alla linea poli­tica del par­tito: i dis­sidi coniu­gali di Hill e le dia­tribe tattico-strategiche che Hob­sbawm aveva con la diri­genza del Cpgb.
Pur senza assu­mere i toni tru­cidi del coevo mac­car­ti­smo ame­ri­cano, in Gran Bre­ta­gna l’anestesia del con­flitto avrebbe fatto sì che Hob­sbawm, una della figure tor­reg­gianti della sto­rio­gra­fia nove­cen­te­sca, non otte­nesse la tanto ago­gnata cat­te­dra di Cam­bridge, da sem­pre culla del dis­senso acca­de­mico bri­tan­nico. Non altret­tanto per Hill, autore di studi fon­da­men­tali di sto­ria inglese del XVIII secolo, Crom­well e la guerra civile, che per dodici anni ebbe una posi­zione di rilievo all’oxfordiano Bal­liol Col­lege.
Nel dopo­guerra, il par­tito comu­ni­sta bri­tan­nico van­tava l’iscrizione di alcune delle menti più illu­stri dell’accademia nazio­nale. Oltre a Hill e Hob­sbawm, il famoso «Gruppo degli sto­rici del par­tito comu­ni­sta» com­pren­deva tra gli altri E. P. Thomp­son, Raphael Samuel, John Saville, Dana Torr, Doro­thy Thomp­son e George Rudé.
Tra le cose più rile­vanti emerse dalle carte, la con­ferma di quanto già Hob­sbawm – che non lasciò mai il par­tito — aveva rac­con­tato nella sua auto­bio­gra­fia, Anni inte­res­santi: dopo l’invasione sovie­tica dell’Ungheria, che tra­smise un’ondata di tra­va­glio ideo­lo­gico cul­mi­nata con una dia­spora d’intellettuali dai par­titi euro­pei — in Ita­lia, tra gli altri, Italo Cal­vino, Nata­lino Sape­gno, Elio Vit­to­rini — durante un’animata riu­nione presso la sede del par­tito lui, Hill e Les­sing deci­sero di scri­vere una let­tera di cri­tica indi­riz­zata alla dire­zione del par­tito che ne stig­ma­tiz­zava l’obbedienza supina alla linea uffi­ciale, let­tera che l’allora quo­ti­diano del par­tito, il Daily Wor­ker si guardò bene dal pub­bli­care.
La let­tera, che peral­tro non con­te­neva un’aperta con­danna dell’invasione, si limi­tava a dichia­rare che «pur appro­vando, a malin­cuore, quanto sta acca­dendo in Unghe­ria, dovremmo fran­ca­mente aggiun­gere che rite­niamo che l’Urss dovrebbe riti­rare le pro­prie truppe dal paese il più pre­sto pos­si­bile». Era la linea del «My Party, Right or Wrong, My Party» (Il mio par­tito, giu­sto o sba­gliato che sia), che Hob­sbawm non rin­negò mai.
Il ricorso a mezzi non esat­ta­mente demo­cra­tici da parte delle demo­cra­zie libe­rali occi­den­tali per con­trol­lare il dis­senso stona parec­chio con la nar­ra­tiva domi­nante di un sistema che della tol­le­ranza del dis­senso fa una sua ban­diera. Pas­sata l’epoca delle let­tere aperte col vapore, delle cimici die­tro ai qua­dri e delle micro­spie nelle cor­nette tele­fo­ni­che, si apre quella di una col­let­ti­vità sche­data poli­ti­ca­mente ed emo­ti­va­mente attra­verso il com­mer­cio dei big data.
Hob­sbawm, che è scom­parso nel 2012, all’età di 95 anni, tre anni prima di Cri­sto­pher Hill, aveva chie­sto già cin­que anni fa di poter vedere il pro­prio fal­done. Invano.

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