LONDRA GLI mettevano i microfoni al telefono e nello studio. Gli leggevano la posta, che allora non era elettronica, ma di carta. Lo pedinavano per scoprire chi incontrava. Per decenni l’-Mi5, il controspionaggio del Regno Unito, spiò ossessivamente Eric Hobsbawm, forse il più noto storico britannico e un marxista convinto. Convinti che fosse o potesse essere al servizio di Mosca, i servizi segreti di Sua Maestà frugarono in ogni ripostiglio della sua vita privata, ma non trovarono mai prove che passasse informazioni all’Urss o tramasse per conto dell’internazionale comunista. Il “secolo breve”, titolo del famoso saggio di Hobsbawm sul Novecento, dovette sembrare molto più lungo agli 007 inglesi che cercavano di incastrarlo: una caccia meticolosa ma, oltre che infruttuosa, maledettamente noiosa. Gli unici “segreti” che vennero alla luce furono le difficoltà matrimoniali con la prima moglie, che non lo riteneva un compagno (in senso ideologico) abbastanza «fervente», e l’ospitalità data per una notte a un misterioso personaggio «dal naso adunco e in apparenza ebreo», annotò la spia di turno sul taccuino con spirito d’osservazione antisemita, rivelatosi in seguito un parente del tutto innocuo, lo “zio Harry”, che quella sera si era fermato da lui perché aveva bevuto un po’ troppo.
sabato 25 ottobre 2014
La fantasia al potere: i servizi segreti inglesi sospettavano Hobsbawm di spionaggio a favore dell'Urss
Ma non bastava leggersi qualche libro per capire che né lui l'avrebbe mai fatto, né ai sovietici sarebbe mai passato per la testa di reclutarlo? [SGA]
“Una spia comunista” Così gli 007 inglesi pedinarono per decenni lo storico HobsbawmL’Mi5 seguì ossessivamente l’autore del “Secolo breve”. Pensava lavorasse per Mosca, ma si sbagliava
di Enrico Franceschini Repubblica 25.10.14
LONDRA GLI mettevano i microfoni al telefono e nello studio. Gli leggevano la posta, che allora non era elettronica, ma di carta. Lo pedinavano per scoprire chi incontrava. Per decenni l’-Mi5, il controspionaggio del Regno Unito, spiò ossessivamente Eric Hobsbawm, forse il più noto storico britannico e un marxista convinto. Convinti che fosse o potesse essere al servizio di Mosca, i servizi segreti di Sua Maestà frugarono in ogni ripostiglio della sua vita privata, ma non trovarono mai prove che passasse informazioni all’Urss o tramasse per conto dell’internazionale comunista. Il “secolo breve”, titolo del famoso saggio di Hobsbawm sul Novecento, dovette sembrare molto più lungo agli 007 inglesi che cercavano di incastrarlo: una caccia meticolosa ma, oltre che infruttuosa, maledettamente noiosa. Gli unici “segreti” che vennero alla luce furono le difficoltà matrimoniali con la prima moglie, che non lo riteneva un compagno (in senso ideologico) abbastanza «fervente», e l’ospitalità data per una notte a un misterioso personaggio «dal naso adunco e in apparenza ebreo», annotò la spia di turno sul taccuino con spirito d’osservazione antisemita, rivelatosi in seguito un parente del tutto innocuo, lo “zio Harry”, che quella sera si era fermato da lui perché aveva bevuto un po’ troppo.
LONDRA GLI mettevano i microfoni al telefono e nello studio. Gli leggevano la posta, che allora non era elettronica, ma di carta. Lo pedinavano per scoprire chi incontrava. Per decenni l’-Mi5, il controspionaggio del Regno Unito, spiò ossessivamente Eric Hobsbawm, forse il più noto storico britannico e un marxista convinto. Convinti che fosse o potesse essere al servizio di Mosca, i servizi segreti di Sua Maestà frugarono in ogni ripostiglio della sua vita privata, ma non trovarono mai prove che passasse informazioni all’Urss o tramasse per conto dell’internazionale comunista. Il “secolo breve”, titolo del famoso saggio di Hobsbawm sul Novecento, dovette sembrare molto più lungo agli 007 inglesi che cercavano di incastrarlo: una caccia meticolosa ma, oltre che infruttuosa, maledettamente noiosa. Gli unici “segreti” che vennero alla luce furono le difficoltà matrimoniali con la prima moglie, che non lo riteneva un compagno (in senso ideologico) abbastanza «fervente», e l’ospitalità data per una notte a un misterioso personaggio «dal naso adunco e in apparenza ebreo», annotò la spia di turno sul taccuino con spirito d’osservazione antisemita, rivelatosi in seguito un parente del tutto innocuo, lo “zio Harry”, che quella sera si era fermato da lui perché aveva bevuto un po’ troppo.
Ha dunque più i
tratti della commedia che del thriller la montagna di rivelazioni
ottenute dal Guardian e da altri quotidiani londinesi sull’attività di
spionaggio ai danni dell’eminente storico scomparso nel 2012. Commedia
sì, ma tuttavia degli orrori, rivelando a che punto arrivassero le
paranoie occidentali al tempo della guerra fredda, uno specchio fedele —
fortunatamente senza arrivare ai campi di prigionia del Gulag — di
quello che sentiva e faceva sul versante opposto la superpotenza rossa. I
documenti, otto cartelle piene zeppe di rapporti “top secret”, non
soltanto su Hobswam ma pure su altri scrittori, artisti e intellettuali
di sinistra dell’epoca, come Iris Murdoch, Christopher Hill e Mary
Warnock, sono stati resi noti dai National Archives quasi senza censure:
solo qualche riga è oscurata qui e là e un’unica cartella su di lui è
stata “temporaneamente” trattenuta per motivi non meglio specificati. Il
professore era diventato un numero per il controspionaggio: 211764. Gli
agenti erano riusciti a nascondere cimici nei suoi telefoni e nelle sue
stanze, gli aprivano tutta la corrispondenza privata (confiscando fino a
10 lettere al giorno e fotocopiandole prima di riconsegnargliele),
seguivano i suoi movimenti.
Nato in Egitto e fuggito in Inghilterra
dalla Germania nazista nel 1933 per non diventare vittima
dell’Olocausto, Hobsbawm era iscritto al Cpgb, il partito comunista
britannico, un’adesione che non rinnegò mai, fino alla morte, anche dopo
il crollo del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica. Era la sua
militanza comunista a suscitare sospetti nell’Mi5, eppure l’unica
scoperta “storica” dello spionaggio nei suoi confronti è che contestò
così duramente la leadership del Cpgb da rischiare di essere espulso. A
cominciare dal 1956, quando il controspionaggio venne a sapere che il
professore, insieme alla scrittrice (in seguito premio Nobel per la
letteratura) Doris Lessing, scrisse una lettera attaccando i leader del
partito comunista britannico per il loro «acritico sostegno alle azioni
sovietiche in Ungheria», ovvero alla sanguinosa invasione di Budapest
che aprì la prima crepa nel fronte comunista in Europa. Quel sostegno,
affermò Hobsbawm in un’assemblea del partito a King street, vicino a
Covent Garden, era «il culmine di anni di distorsione di fatti», secondo
quanto riferisce la registrazione del controspionaggio.
Le
intercettazioni confermarono che Hobsbawm era amico di Alan Nunn May, un
fisico britannico che aveva confessato di avere fatto la spia per la
Russia, condannato per questo e rilasciato nel 1952. Ma tra lo storico e
il fisico non saltarono mai fuori accordi per arruolare anche Hobsbawm
al servizio di Mosca; né la Russia dimostrò mai alcun interesse a
Hobsbawm. Insomma, l’Mi5 fece tanta fatica per niente. Due anni prima di
morire, consapevole che esisteva un dossier su di lui negli archivi di
stato, il professore chiese di poterlo vedere. Glielo negarono. Diventa
di dominio pubblico soltanto ora, che il “secolo breve” è finito da un
pezzo.
«Le vite degli altri» in Inghilterra
Archivi aperti. Escono i dossier degli 007 inglesi sugli intellettuali di sinistra, da Hobsbawm a Doris Lessing. Ore e ore di telefonate e di lettere spiate, fra strategie politiche e momenti privatissimi
Leonardo Clausi, il Manifesto LONDRA, 28.10.2014
Da sempre celebrato modello di democrazia liberale, la Gran Bretagna gode di una fama consolidata, quella di essere un luogo tollerante, una nazione che ha sempre accolto rifugiati politici dissidenti e anche rivoluzionari: Marx, Herzen, Bakunin, tanto per citarne tre. Vero, soprattutto perché costoro avevano di solito l’attenuante di rivolgere altrove le loro pericolose mire insurrezionali. Quando si tratta però del «nemico interno» (The enemy within, come Margaret Thatcher apostrofò i minatori gallesi in sciopero nel 1984) allora la tolleranza tanto celebrata dai Mill e dei Bentham è momentaneamente sospesa.
Per questo sorprende poco o nulla la notizia che dalla fine della seconda guerra mondiale e per tutta la guerra fredda l’MI5, i servizi segreti nazionali, avessero spiato alcuni fra i massimi intellettuali comunisti del paese: gli storici Eric Hobsbawm e Christopher Hill, regolarmente iscritti al poco più che larvale partito comunista britannico (Cpgb) soprattutto, ma anche le scrittrici Doris Lessing e Iris Murdoch.
I dossier sono divenuti consultabili lo scorso venerdì presso l’archivio di stato di Kew, estremo ovest di Londra. Le spie del governo ascoltarono ore di telefonate, lessero chilometri di lettere, origliarono su vicende private e professionali: come la Stasi insomma, ma nel nome della libertà. Ironia volle non solo che né Hobsbawm né Hill avessero intenzione alcuna di defezionare per Mosca o tantomeno di fungere da spie: come gli agenti segreti poi avrebbero scoperto a proprie spese, le spie di Mosca – quelle vere – erano i «Cambridge five» (Philby, Burgess, Maclean, Blunt; il quinto è ancora da identificare) una rete di studiosi, double agents e diplomatici che per anni avevano passato segreti e informazioni al nemico sovietico. Prevedibilmente, il materiale nelle mani dell’MI5 abbonda di frammenti di insignificante vissuto privato o di vicende inerenti alla linea politica del partito: i dissidi coniugali di Hill e le diatribe tattico-strategiche che Hobsbawm aveva con la dirigenza del Cpgb.
Pur senza assumere i toni trucidi del coevo maccartismo americano, in Gran Bretagna l’anestesia del conflitto avrebbe fatto sì che Hobsbawm, una della figure torreggianti della storiografia novecentesca, non ottenesse la tanto agognata cattedra di Cambridge, da sempre culla del dissenso accademico britannico. Non altrettanto per Hill, autore di studi fondamentali di storia inglese del XVIII secolo, Cromwell e la guerra civile, che per dodici anni ebbe una posizione di rilievo all’oxfordiano Balliol College.
Nel dopoguerra, il partito comunista britannico vantava l’iscrizione di alcune delle menti più illustri dell’accademia nazionale. Oltre a Hill e Hobsbawm, il famoso «Gruppo degli storici del partito comunista» comprendeva tra gli altri E. P. Thompson, Raphael Samuel, John Saville, Dana Torr, Dorothy Thompson e George Rudé.
Tra le cose più rilevanti emerse dalle carte, la conferma di quanto già Hobsbawm – che non lasciò mai il partito — aveva raccontato nella sua autobiografia, Anni interessanti: dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, che trasmise un’ondata di travaglio ideologico culminata con una diaspora d’intellettuali dai partiti europei — in Italia, tra gli altri, Italo Calvino, Natalino Sapegno, Elio Vittorini — durante un’animata riunione presso la sede del partito lui, Hill e Lessing decisero di scrivere una lettera di critica indirizzata alla direzione del partito che ne stigmatizzava l’obbedienza supina alla linea ufficiale, lettera che l’allora quotidiano del partito, il Daily Worker si guardò bene dal pubblicare.
La lettera, che peraltro non conteneva un’aperta condanna dell’invasione, si limitava a dichiarare che «pur approvando, a malincuore, quanto sta accadendo in Ungheria, dovremmo francamente aggiungere che riteniamo che l’Urss dovrebbe ritirare le proprie truppe dal paese il più presto possibile». Era la linea del «My Party, Right or Wrong, My Party» (Il mio partito, giusto o sbagliato che sia), che Hobsbawm non rinnegò mai.
Il ricorso a mezzi non esattamente democratici da parte delle democrazie liberali occidentali per controllare il dissenso stona parecchio con la narrativa dominante di un sistema che della tolleranza del dissenso fa una sua bandiera. Passata l’epoca delle lettere aperte col vapore, delle cimici dietro ai quadri e delle microspie nelle cornette telefoniche, si apre quella di una collettività schedata politicamente ed emotivamente attraverso il commercio dei big data.
Hobsbawm, che è scomparso nel 2012, all’età di 95 anni, tre anni prima di Cristopher Hill, aveva chiesto già cinque anni fa di poter vedere il proprio faldone. Invano.
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