venerdì 21 novembre 2014

Togliattigrad: un documentario


locandina di "Togliatti(grad)"Federico Schiavi e Gian Piero Palombini: Togliatti(grad)

Risvolto
Togliattigrad, città simbolo dell’incontro tra due visioni del mondo in totale contrasto; da una parte la Fiat di Torino, simbolo del capitalismo e del blocco anticomunista e dall’altra l’Unione Sovietica, icona dell’opposizione socialista al modello economico occidentale. Grazie al racconto dei testimoni diretti, partecipiamo ad un’epopea in cui il sogno di un’industrializzazione controllata e l’inquadramento e la gestione attenta delle vite dei lavoratori, rendono queste due visioni sorprendentemente coincidenti. Nel cuore ghiacciato della steppa russa riviviamo i 36 mesi della costruzione di una città da 400.000 abitanti attorno ad una fabbrica da 600.000 auto l’anno. Italiani, russi, francesi e tedeschi si ritrovano accomunati in un unico intento tra amicizie, dissapori, amori riusciti ed altri falliti. Generazioni di creativi e tecnici disegnavano, progettavano e realizzavano automobili diventate, attraverso gli anni, veri e propri gioielli di design e tecnologia. Oggi, con la fine dell’impero sovietico e l’affermarsi dell’economia globale, essi sono stati irrimediabilmente soppiantati da un sistema più efficace e più deciso nell’affrontare un nuovo modello di sviluppo e di organizzazione del lavoro. La LADA e lo stabilimento AUTOVAZ, un tempo vettori di un’impresa epica unica nella storia italiana, oggi issano bandiera francese. Sono ormai controllate della Renault e quel sogno italiano sembra essersi dissolto per sempre.


Togliattigrad, l’epopea dell’auto nella steppa
Un film documentario racconta la costruzione dello stabilimento, frutto dell’accordo Fiat-Urss, che avviò la storia russa delle quattro ruote

di Alberto Papuzzi La Stampa 21.11.14

Il più grande affare del secolo. Così venne definito l’accordo Fiat-Russia che il 4 maggio 1966 firmarono a Torino il ministro sovietico per l’Industria automobilistica e Vittorio Valletta, che proprio quell’anno lasciava la presidenza dell’azienda a Giovanni Agnelli.
L’accordo prevedeva la costruzione chiavi in mano di uno stabilimento per la produzione di duemila automobili al giorno, sul modello della «124», entro tre anni. Per l’insediamento del nuovo complesso si scelse la località di Stavropol sul corso del Volga, che venne ribattezzata Togliattigrad, in memoria del leader del Pci. La prima vettura uscì dalle officine il 19 aprile 1970. Si trattava del più grande progetto che vedeva protagonista l’industria italiana nel secondo dopoguerra. Una manifestazione sia di potenza sia di sapienza tattica. L’azienda italiana ottenne carta bianca in materia di tecnologie produttive e di rete distributiva, destreggiandosi al meglio nella competizione con marchi che avevano medesimi interessi e ambizioni, più di tutti Volkswagen e Renault. 
Quasi mezzo secolo dopo, la gigantesca opera rivive in un film documentario che si presenta al Torino Film Festival: Togliatti(grad) di Federico Schiavi e Gian Piero Palombini, con una raffinata fotografia di soggetto industriale, prodotto da Nacne Sas in collaborazione con Rai Cinema. Cinquantasei minuti, che offrono una visione articolata e suggestiva, sorprendente e brillante, ricca di spunti storiografici e carica di annotazioni di costume, per un episodio che allora scosse il mondo. I punti chiave attorno ai quali ruota il racconto sono due: il lampante confronto tra comunismo sovietico e capitalismo occidentale, largamente a favore di quest’ultimo, quasi una appendice della guerra fredda, e il conflitto più generale che venne messo a nudo, innanzi tutto in campo sovietico, tra due culture, che interessavano e coinvolgevano ideologie, fedi, tradizioni, provocazioni, per una generazione di uomini e donne vissuti con o per il lavoro. Per girare il documentario ci sono voluti quasi quattro anni, e si sono incontrate centinaia di persone.
Per i sovietici Togliattigrad fu una sfida senza esitazioni. «Eravamo sicuri che, come i nostri padri e madri avevano vinto la guerra, così noi avremmo potuto vincere anche questa competizione», dichiara Vladimir Mirisakov, allora caposquadra dell’Officina Motori. Con Togliattigrad comincia la storia russa dell’automobile. Prima si producevano soprattutto se non esclusivamente automezzi pesanti: i camion e gli autobus prodotti nel 1938 erano, per esempio, 185 mila su un totale di 200 mila autoveicoli; nel 1960 passano a 344 mila su 500 mila. Nel maggio del 1966, quando si firma l’accordo, circolava un’automobile privata ogni 240 persone. 
«Era un programma semplicemente terrificante - dice nel film Carlo Mangiarino, che era stato ingegnere capo nell’edificazione della fabbrica -. Dove c’era soltanto la steppa, senza traccia di tessuto industriale, ma freddo a trenta gradi sotto zero d’inverno, e caldo rovente al sole d’estate, dovevamo far sorgere uno stabilimento che aveva in sé un know how globale». Le immagini proposte dal documentario sono sbalorditive: prima la steppa verde e arida, poi fuoco e fumi degli impianti, infine le automobili immerse nel traffico. Come una stregoneria, dal deserto stepposo dovevano prendere vita le officine che avrebbero sfornato duemila vetture.
Se sul piano macroscopico c‘era da restare a bocca aperta, un’avventura straordinaria fu corsa al livello delle microstorie che interessarono i rapporti sociali, tra la comunità dei lavoratori italiani tutti dipendenti dalla Fiat e la collettività che stava nascendo e organizzandosi sulle rive del Volga (anche con la presenza di volontari, soprattutto donne e studenti, affascinati dal progetto). Notevole scalpore, ascoltando gli ex, venne creato naturalmente dall’incontro tra maschi italiani capaci di esercitare l’arte del corteggiamento e bionde ragazze russe di cui si magnificavano le lunghe cosce. Il problema era che gli uomini italiani andavano in caccia di un tradizionale divertimento, mentre le russe puntavano a stabilire relazioni stabili. Nel 1972 si contavano già trenta matrimoni di russe con italiani. 
Ma non era solo una questione di rapporti personali. Era la scoperta della realtà italiana, allora non molto conosciuta dai sovietici. «Cosa sapevamo noi dell’Italia? - si domanda Nelly Sumina, una delle numerose interpreti -. Io conoscevo soltanto Marcello Mastroianni, Sofia Loren e Adriano Celentanto». Spesso si organizzavano feste negli alberghi e le russe facevano la fila per andarci: «Guardate, sono arrivati gli italiani! Infatti erano come una apparizione». Le diciottenni di allora (e non solo le diciottenni!) ricordano anche belle macchine e vestiti formidabili. Una vita fatta di sogni e entusiasmi, «mentre da noi era molto, molto più grigia», dice ancora Nelly Sumina. I russi non vedevano di buon occhio quei rapporti e sottoponevano le loro ragazze a insistenti interrogatori.
Nel nostro paese non mancarono le polemiche, come sempre di fronte a una novità. A Tribuna sindacale, programma televisivo, si chiese conto a Agnelli di dubbi finanziamenti collegati all’impresa che la sua azienda portava a termine. L’Avvocato diede una risposta delle sue: «Per fare la sua domanda - disse al suo interlocutore - lei ha impiegato due minuti. Per la mia risposta mi basta un secondo: non è vero».

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