Risvolto
Dove collocarlo, verso l'alto o verso il basso, nella «vasta fascia di coscienze grigie che sta fra i grandi del male e le vittime pure»? «È difficile dire: lui solo lo potrebbe chiarire se potesse parlare davanti a noi, magari mentendo, come forse sempre mentiva; ci aiuterebbe a comprenderlo, come ogni imputato aiuta il suo giudice, e lo aiuta anche se non vuole, anche se mente, perché la capacità dell'uomo di recitare una parte non è illimitata».
Murmelstein, che camminò a fianco del male Giornata della Memoria. Il nuovo film di Claude Lanzman - Le dernier des injustes, es in doppia veste editoriale e con un'edizione in dvd— Fabio Francione, Alias Il Manifesto 24.1.2015
Un nuovo film di Claude Lanzmann è da salutare sempre come un evento. Per come l’irascibile regista, giornalista e scrittore francese sa suscitare polemiche e discussioni da sessant’anni a questa parte con la sua ininterrotta ricerca sulle cause e ragioni della Shoah (il suo eponimo capolavoro cinematografico ha rivoluzionato la storiografia sulle deportazioni e lo sterminio ebraico nazista). Non fa eccezione, Le dernier des injustes (L’ultimo degli ingiusti), che oggi esce, in doppia veste editoriale italiana e in contemporanea all’approssimarsi del «Giorno della memoria», con un’edizione in dvd (Fil Rouge Media/ CG Entertaintment) e un libro della Skira che ne raccoglie la sceneggiatura e che avrà proprio il 27 gennaio alle ore 21 una proiezione in streaming gratuito sulla piattaforma digitale di MyMoviesLive (www.mymovies.it/film/2013/thelastoftheunju st/live/).
Il film passato fuori concorso a Cannes nel 2013 e fuggevolmente all’inizio dello scorso anno in alcuni cinema italiani alla presenza dello stesso regista sempre in concomitanza con i giorni dedicati alla memoria dell’Olocausto ebraico, nasce, al pari di Un vivant qui passe (1997) e Sobibor, 14 octobre 1943, 16 heurs (2001) da costole e escrescenze del suo capolavoro. Anzi, Le dernier des injustes, sembra penetrare più a fondo nelle tematiche di Un vivant qui passe che in certo qual modo, vedendolo in prospettiva rovesciata, potrebbe esserne una prova generale nella testimonianza della vita quotidiana del dottor Maurice Russell a Theresienstadt, la città-fortezza situata a poco più di cinquanta chilometri da Praga che, negli intendimenti di Eichmann, doveva essere lo specchietto per le allodole dell’opinione pubblica ostile al regime nazista. Ma per capire «L’ultimo degli ingiusti», il rabbino viennese Benjamin Murmelstein, bisogna capire anche come si è mosso e si muove ancora Lanzmann in un discorso, come quello sull’antisemitismo e l’Olocausto, che offre il destro a non pochi equivoci e fraintendimenti. Anche nell’impossibilità di stargli se non alla pari nemmeno dietro. Giovanissimo partecipante alla resistenza francese, genitori bizzarri e anticonformisti, in particolare la madre fiancheggiatrice del Surrealismo, educato alla scuola de L’Être et le néante della rivista Les temps modernes di Jean-Paul Sartre e di Simone de Beauvior, di cui fu per un lasso di tempo abbastanza lungo compagno di vita — a proposito del periodico ne prenderà dopo di lei la direzione mantenendola ancor oggi — Lanzmann, alla soglia dei novant’anni, non sembra aver messo da parte né l’intransigenza caratteriale, scambiata spesso per boria trombonesca, né il desiderio di essere ancora una volta interprete del suo tempo. E lo fa liberando dai suoi archivi l’intervista a Murmelstein una delle prime realizzate per Shoah, poi non utilizzate. Lanzmann racconta: «Lo intervistai a Roma, per un’intera settimana, nel 1975. A mio avviso Theresienstadt è stata il fulcro, in tutti i sensi, della genesi e dell’attuazione della Soluzione Finale. Tutte quelle ore di conversazione, piene di rivelazioni inedite, continuavano a ronzarmi in testa e a tormentarmi. Sapevo di essere il depositario di qualcosa di unico, ma indietreggiavo di fronte alle difficoltà di realizzare un film.
C’è voluto molto tempo prima di arrendermi all’evidenza che non avevo il diritto di tenere per me quelle informazioni». Quindi la Shoah per Lanzmann, ieri come oggi, è sì l’azione di un indicibile sopruso all’umanità (e nel caso specifico Theresienstadt come inizio dell’orrore), ma è anche storia, stratificazioni di poteri, incomprensioni, furbizie e rivolte. Qui, non ci sono considerazioni di carattere filosofico: c’è la realtà, crudele quanto si vuole. Ma pur sempre realtà. Ed è una realtà che brucia ancora, che non smette di ardere, incenerendo – nemmeno chiedendo scusa all’ambiguità delle parole – tutte le passioni umane. Ma un nemico più subdolo, tragedia nella tragedia, è la burocrazia. Solo così si può capire l’azione pubblica di Benjamin Murmelstein, l’ultimo dei decani del «ghetto modello», stazione di transito verso la morte, e protagonista indiscusso – fu lui a suggerire il titolo a Lanzmann – di Le dernier de les injustes. La brillantezza delle risposte, la nettezza dei suoi giudizi su accadimenti e persone come la filosofa Hannah Arendt o l’ex-amico Gerhard Scholem, grande studioso della Kabbalah, che lo voleva impiccato, il suo ricordare episodi persi nella memoria come le urla di Eichmann (uomo mai banale ma male assoluto) pistola in mano nell’ufficio per l’emigrazione istituito dai nazisti a Vienna o quelle dei bambini arrivati a Theresienstadt che alla vista delle docce pronunciavano inspiegabilmente gas, lo mostrano come un uomo consapevole di ciò che è stato: «io non sono un tipo avventuroso. Non mi sono mai tirato indietro, specialmente per tutto ciò che riguardava il mio ruolo pubblico, di fronte al pericolo». Insomma, s’interroga il regista (e con lui il pubblico): all’ultimo degli ingiusti cosa si può imputare? Un eccesso di ordine, una durezza nei comandi, l’aver camminato a fianco del male per ben otto anni o semplicemente di essere l’unico sopravvissuto alla strage dei decani del Consiglio Ebraico di Theresienstadt? Ciò gli costò l’ostracismo dei suoi correligionari, l’esilio a Roma, e l’impossibilità di vivere in Israele. Le parole come le cose sono diverse tra loro per sottili sfumature, ma anche le immagini come gli uomini.
Shoah, in un libro Lanzman svela l’altra faccia del rabbino capo di Vienna Murmelstein
L’intellettuale francese in un film documentario e in un romanzo descrive la personalità controversa del decano dello Judenrat del campo di concentramento di Theresienstadtdi Francesco Sforza La Stampa 24.1.15
Il rabbino scampato a Terezin In un libro-intervista Lanzm ann riabilita M urm elstein, il decano considerato a lungo un traditore dagli ebrei27 gen 2015 Libero PAOLO BIANCHI
Tra l’incudine e il martello. Un conflitto spaventoso. Fu quello che attraversarono i componenti dei Consigli Ebraici, istituzioni volute dai nazisti per controllare i ghetti, specie in Polonia. Un Consiglio in genere si componeva di 12 membri e di un decano, chiamato Judenalteste, «il più vecchio degli ebrei». Quest’ultimo era una persona influente della comunità, per esempio un autorevole rabbino. Il decano e il consiglio avevano la responsabilità orribile di fare da intermediario tra i nazisti e la popolazione ebraica dei ghetti o dei lager. Dovevano, insomma, collaborare con i loro sterminatori, spesso organizzando le deportazioni di massa.
Il loro operato si svolse all’inizio nella speranza che la ghettizzazione servisse solo a separarli dalla popolazione ariana, in modo che potessero vivere tranquillamente tra loro. Prima della Soluzione Finale, Hitler aveva vagheggiato varie ipotesi, di cui una fra le più strampalate, ma appoggiata dal governo polacco nel 1936, prevedeva l’emigrazione forzata di tutti gli ebrei tedeschi e degli altri Paesi occupati in Madagascar...
Un’idea irrealizzabile, tanto che venne accantonata con l’inizio della guerra, quando gli inglesi cominciarono ad assicurarsi il controllo dei mari. Da quel momento la parola Madagascar veniva pronunciata a significare un ben altro progetto, quello dell’eliminazione fisica.
L’ultimo dei decani si chiamava Benjamin Murmelstein, era nato nel 1905 ed è morto nel 1989 a Roma. Era il rabbino di Vienna fin dagli anni Trenta e si trovò a gestire, dopo l’Anschluss del 13 marzo 1938, l’emigrazione egli ebrei, coordinata dal Adolf Eichmann. Murmelstein è stato una figura controversa, accusato di collaborazionismo dal suo stesso popolo, tanto che non gli fu mai permesso di stabilirsi in Israele. Visse a Roma. Nel 1975 fu intervistato a lungo dal regista francese Claude Lanzmann, che nel 2013 ha pubblicato il documentario L’ultimo degli ingiusti, presentato a Cannes. La trascrizione in volume del film è appena uscita in Italia prima altrove per Skira ( pp. 144, euro 15).
Il momento clou dell’attività di Murmelstein fu essere nominato decano del ghetto di Theresienstadt dal dicembre 1944 al 9 maggio 1945. Chiamato anche Terezin, questo piccolo centro della Boemia, 60 km a nord di Praga, fu costruito come un ghetto modello, una sinistra città di facciata per dimostrare al mondo che gli ebrei erano trattati con umanità. Di fatto, fu il crocevia per lo smistamento verso i campi di sterminio di BirkenauAuschwitz.
Terezin era un macabro paese dei balocchi dove i nazisti allestirono una messinscena fatta di laboratori artigianali, teatri, atelier, orchestre, giornali, sport. Tutto a favore di documentari. In realtà, era un inferno. Vi furono tre decani. Il primo, Jakob Edelstein, praghese, era speranzoso. Volle credere che Terezin fosse l’anticamera per l’insediamento in Palestina. Nel 1943 fu portato ad Auschwitz e ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Il secondo, Paul Eppstein, berlinese, era consapevole. Anche lui venne fucilato. E allora toccò a Murmelstein. Che fu pratico.
Nel libro, le sue parole sono misurate, i ricordi dettagliati, le ricostruzioni scrupolose. Conosceva benissimo la verità: «Io sapevo che Theresienstadt era una vetrina. Se l’avessimo resa piacevole da vedere, l’avremmo salvata». In altre parole si trattava di «raccontare una storia» come quella di Sheherazade nelle Mille e una notte. Prendere tempo finché la guerra finisse.
La figura pubblica di Murmelstein ne uscì frantumata. Lui, che pure aveva “abbellito” la città facendo lavorare gli uomini 70 ore alla settimana, perché la farsa reggesse, lui che si rifiutò di compilare le liste dei deportati verso le camere a gas, fu additato come traditore. La domanda che più spesso gli fu rivolta era: «Perché ti sei salvato?». Dev’essere una domanda che lui stesso si è posta molte volte. E alla quale dà anche una risposta al suo intervistatore: «Io ero l’ultimo. L’ultimo dei guardiani. Li avevano eliminati tutti. Se avessero eliminato anche me non avrebbero neanche saputo da dove cominciare con il ghetto. Hanno dovuto farselo andare bene...». Ed è così, con amaro sarcasmo, che Murmelstein ha definito se stesso «L’ultimo degli Ingiusti».
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