giovedì 29 gennaio 2015
Una fenomenologia della percezione visiva
Lambert Wiesing: Il Me della percezione. Un’autopsia, Marinotti
Risvolto
Chi percepisce sa perfettamente che cosa
significa percepire. Ma se ne dimentica non appena cerca di spiegarsi
come la percezione sia possibile, finendo così per dubitare del proprio
effettivo accesso al mondo. Ma l'uomo non accede al mondo. E non perché
questo gli sia estraneo, ma perché non ha bisogno di accedervi, visto
che è già comunque nel mondo, coinvolto e implicato da quanto vi si
manifesta. Non dubita della presenza di ciò che percepisce, né può
sottrarsi a sua volta alla percepibilità. Eppure larghe sezioni della
filosofia, della psicologia e delle neuroscienze ignorano colpevolmente
questa evidenza, preferendo spiegare la percezione con dei miti: quello
del dato (l'uomo è un riflesso del mondo) e oggi soprattutto quello del
mediato (si accede al mondo solo attraverso media). Questo testo - il
primo disponibile in italiano di Lambert Wiesing, professore di teoria
dell'immagine e fenomenologia nell'Università di Jena - ci guida a
riscoprire, attraverso una meditazione approfondita senza essere
strettamente accademica, una verità elementare: il soggetto non produce
la percezione, ma ne è piuttosto il prodotto.
Devi fidarti della percezione se vuoi davvero capire te stesso
Il saggio del filosofo Lambert Wiesing edito da Marinotti sulla fenomenologia della visione Il rapporto tra l’io e il mondo viene prima dei meccanismi di comprensione e interpretazione
di Gillo Dorfles Corriere 29.1.15
L’interpretazione dei modi del cogliere la realtà, in tutte le fasi del loro sviluppo, costituisce un’illuminazione folgorante del nostro rapporto con l’universo Se tutto il nostro modo di essere al mondo e di comunicare col prossimo è
legato indissolubilmente al nostro modo di percepire, ciò non toglie
che la qualità dei nostri percetti rimane quasi sempre oscura e comunque
ambigua. Se non disponessimo degli occhi, delle orecchie, del tatto,
non ci sarebbe possibile avere coscienza della nostra stessa esistenza,
né di quella degli esseri che ci circondano; ma l’esatta entità dei
nostri percetti è molto spesso incerta e persino incomprensibile; ed è
per questo che soltanto uno studio approfondito dei meccanismi
percettivi ci permette di renderci conto della facoltà delle nostre
possibilità conoscitive e dei nostri rapporti col prossimo. Quello
tuttavia che è fondamentale nel processo della percezione è soprattutto
il fatto di esserne coscienti e di renderci conto fino a che punto
possiamo «fidarci della stessa». Giacché è proprio questo elemento della
capacità conoscitiva dell’uomo, che continua a essere alla base di ogni
constatazione della sua stessa personalità.
Ecco allora come lo studio della percezione, in tutte le fasi della loro
presenza, costituisce una folgorante illuminazione del nostro modo di
essere nel mondo. È ovvio che buona parte di uno studio della percezione
sarà rivolto alla constatazione della autonomia della stessa; ma è solo
in un secondo tempo che appare chiaro quello della trasformazione di un
semplice dato sensoriale in una immagine cosciente e trasmettibile al
prossimo. Quello che rimane il punto dolente della percezione, a
prescindere da ogni sottile discorso «fisiopsicologico» sulla
strutturazione dei nostri organi di senso, è l’effettiva entità
dell’elemento trasmettitivo al prossimo della nostra percezione e di
quella di tutte le altre persone.
Il problema della percezione mi ha sempre affascinato e non è un caso,
se negli anni Cinquanta, ebbi la buona volontà di tradurre il grosso
trattato di Rudolf Arnheim ( Art and Visual Perception ) che venne a
costituire una vera e propria bibbia della percezione, per tutti coloro
che ne erano alla ricerca; per molti anni, rappresentò il manuale più
completo per comprendere i meccanismi percettivi, non solo riguardo
all’Arte, ma in genere al mondo che ci circonda. Questa capacità
percettiva sottostà a dei meccanismi che molto spesso vengono ignorati o
trascurati.
Uno studio molto accurato e sottile dei problemi percettivi viene oggi a
perfezionare le nostre conoscenze su questo fondamentale quesito: Il Me
della percezione. Un’autopsia (Christian Marinotti edizioni) di Lambert
Wiesing, professore dell’Università di Jena che ha compiuto un’analisi
illuminata sui problemi fondamentali della nostra percezione, prendendo
in considerazione i vari aspetti della stessa, soprattutto dal punto di
vista soggettivo e fenomenologico. Lo stesso non ha trascurato il
problema delle diverse forme percettive, come quella iconica ad esempio,
soprattutto analizzando le condizioni della possibilità e della
conseguenza del rapporto tra noi e la realtà che ci circonda.
A questo proposito, la fenomenologia dell’autocoscienza diventa un
elemento fondante per comprendere fino a che punto la percezione
costituisca la base della nostra coscienza e della nostra possibilità di
trasmetterne al prossimo l’esistenza. È ovvio che buona parte di uno
studio della percezione sarà rivolto all’analisi dei nostri organi di
senso da un punto di vista fisiologico per la comprensione dei
meccanismi che ne sono alla base. Ma una volta assolta la fase
elementare della percezione, tutto quanto riguarda il meccanismo auto
rappresentativo e fenomenologico delle nostre immagini sensoriali, non
potrà che essere devoluto allo studio accurato del percetto. Tuttavia,
quello che rimane il punto fondamentale della percezione, a prescindere
da ogni sottile disquisizione sensoriale e immaginative, è quello di
fare un taglio netto tra il semplice atto sensoriale, legato al relativo
organo di senso, e la sovrapposizione e sopracostruzione immaginifica
dovuta alla nostra sensorialità e alla nostra facoltà imaginativa.
Nel suo trattato, Lambert Wiesing fa un’ampia escursione sulle varie
tappe del fenomeno percettivo, tenendo conto soprattutto
dell’interpretazionismo come elemento fondamentale della percezione
umana, che permette di accrescere il semplice fatto sensoriale con un
elemento sovrastrutturale che aggiunge e spesso trasforma radicalmente
quello che era la primitiva immagine sensoriale.
Per questo possiamo affermare che la corporeità del percipiente
costituisce una conseguenza della stessa percezione e che quindi lo
stesso fattore può trasformarsi a seconda della corporeità del singolo
soggetto. In definitiva, potremmo concludere con le parole dell’autore,
affermando che «la percezione ci costringe a essere coscienti della sua
presenza in un mondo la cui esistenza non è frutto della nostra
immaginazione, ma di una effettiva presa di coscienza dovuta
all’elemento rappresentativo».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento