Carlo Ossola: Erasmo nel notturno d’Europa, Vita e Pensiero, pp. 136, e 13
Risvolto
Un olandese formatosi a Venezia, che ha come modello e amico un cancelliere inglese, diviene il legatus dell’imperatore
spagnolo, e decide di morire a Basilea, cercando invano un luogo di
pace religiosa: anche solo questo minimo richiamo biografico evidenzia
la singolare personalità di Erasmo da Rotterdam (1466/69-1536) e illustra la ricchezza del suo percorso umano e culturale all’insegna di un autentico spirito europeo. Ci introduce alla sua lezione il critico letterario Carlo Ossola,
ricostruendo i caratteri storici che configurano «il vero
Rinascimento», quello che «non si lascia irretire dalle contese
religiose», che fu capace di «togliere all’eredità classica i
paludamenti aulici e alla tradizione patristica i tratti apologetici»,
per andare all’essenziale della condizione umana. Sodale di Thomas More,
e nutrendo poi Rabelais e Montaigne, e non meno Spinoza, Leibniz,
Condorcet, Voltaire, e divenendo infine, nel Novecento, l’emblema e il
conforto di una piccola schiera di uomini colti, da Zweig a Huizinga a
Bataillon, che hanno resistito alle barbarie dei totalitarismi, l’umanista
Erasmo, ironico e sapienziale, paradossale e libero, può rivelarsi,
come conclude Ossola, un «prezioso faro per il viaggio e le tempeste che
l’umanità incontra e suscita nel secolo ferito che si è aperto», in
questo ‘notturno’ d’Europa.
Erasmo per la dignità umana. Sfida a Lutero e Machiavelli
Carlo Ossola parla del suo saggio edito da Vita e Pensiero sull’eredità dell’umanista olandese
di Paolo Di Stefano Corriere 27.2.15
È la biografia stessa di Erasmo da Rotterdam, prima ancora della sua
visione intellettuale, a farne l’incarnazione dello spirito europeo.
Nato in Olanda tra il 1466 e il 1469, studente a Parigi, precettore a
Londra, laureatosi dottore a Torino, ospite di Manuzio a Venezia dove
perfeziona il suo greco, viaggiatore a Roma e nel Sud Italia, prima di
tornare in Inghilterra presso l’amico Thomas More, poi insegnante a
Cambridge e ancora in viaggio, questa volta verso Lovanio e infine a
Basilea, dove morirà nel 1536. Erasmo non ispira mezze misure: chi lo
ama senza riserve e chi lo respinge con nettezza. In Erasmo nel notturno
d’Europa (Vita e Pensiero, pp. 136, e 13), Carlo Ossola, che insegna al
Collège de France Letterature moderne dell’Europa neolatina, ha seguito
le eredità e le ragioni degli opposti sentimenti nati, nei secoli,
dalla lettura di un pensatore che si scopre straordinariamente
«contemporaneo». Lo fa mettendo a fuoco nodi storici finora poco
indagati.
Professor Ossola, lei vede una doppia opposizione: Erasmo contro
Machiavelli ed Erasmo contro Lutero. In cosa si distingue il pensiero
erasmiano da quello dei suoi contemporanei?
«Il punto di rottura più grave, che deciderà della coscienza europea
moderna, è la polemica con Lutero: da una parte il “libero arbitrio”
(Erasmo) dall’altra il “servo arbitrio” (Lutero). L’elogio della libertà
umana, di un operare nutrito da retta volontà e non soltanto
dall’imperscrutabile dono della Grazia divina, è il fulcro di ogni
filosofia e visione storica che creda nella dignitas hominis . La
distanza da Machiavelli è relativa, soprattutto, alla visione del
principe: per Machiavelli necessitato a “tenere” ad ogni costo lo Stato,
per Erasmo un “accrescitore” del bene comune (concetto classico che
sarà ripreso da Rabelais). Machiavelli, nondimeno, trarrà dagli Adagia
di Erasmo la celebre formula del “pigliare la golpe e il lione”: per
Machiavelli è necessario “sapere bene usare la bestia”, per Erasmo —
come per Cicerone — l’uno e l’altro strumento paiono alieni dalla
dignità umana».
La «funzione Erasmo» nella cultura europea ha vissuto parecchi momenti di oblio: a cosa si deve?
«Erasmo è stato poco amato da una parte non piccola del cattolicesimo
romano per la sua pungente riprovazione dei costumi mondani della Chiesa
e ancor meno gradito alla tradizione riformata per la sua “fedeltà
critica” alla confessione cattolica. Erasmo stesso illustra la propria
posizione nella diatriba contro Lutero: “Sopporto questa Chiesa, in
attesa che divenga migliore, dal momento che anch’essa è costretta a
sopportare me, in attesa che io divenga migliore”. Rimane luminosa la
chiosa dello storico francese della letteratura Marcel Bataillon, se più
abbia giovato “un Lutero che ha modificato la mappa del cattolicesimo
settentrionale, introducendovi macule di religione di Stato, o un Erasmo
che ha seminato, un po’ dappertutto, nel seno della cattolicità, la
sollecitudine di sapere che cosa significa essere cristiani”. I secoli
delle certezze esibite (Seicento e Ottocento soprattutto) l’hanno messo
da parte, i secoli che hanno avuto bisogno di testimoni di libertà (in
specie il XX) hanno trovato in lui un saldo modello».
Pierre de Nolhac ne fece un paladino cosmopolita della pace in un
momento in cui l’Europa era dilaniata dalla guerra, un saggio e un
credente privo di fanatismo in un mondo governato dalla follia. Anche in
questa chiave si può leggere l’attualità di Erasmo?
«Coloro che hanno creduto nella libertà, contro i totalitarismi che li
hanno perseguitati (penso soprattutto a Johan Huizinga e, in Italia, a
Benedetto Croce e Tommaso Fiore) sono stati attivi paladini di Erasmo.
Ed oggi nulla ha più unito l’Europa che gli scambi di percorsi
universitari Erasmus: coscienza plurale delle tradizioni, degli studi,
l’Europa come patria comune, il sapere della memoria quale patrimonio da
raccogliere e far crescere. E anche: gusto dell’ironia, critica e
autocritica, illustrata nell’esemplare dialogo di Voltaire, Luciano,
Erasmo e Rabelais nei Campi Elisi , ove vengono raggiunti infine da
Swift, in un apologo sorridente, contro ogni fanatismo, e pieno di
utopia. E infine: elogio della pace, primato della pace, che Erasmo ha
tessuto in celebri saggi».
C’è un tratto comune che ci conduce da François Rabelais allo storico
olandese Huizinga e allo scrittore Stefan Zweig, per citare alcuni dei
grandi difensori dell’eredità di Erasmo?
«È comune a tutti il primato della interiorità e della libertà di
coscienza: per Rabelais essa è rappresentata dalla figura dei Sileni di
Alcibiade (tratta dagli Adagia di Erasmo): “Dipinti all’esterno con
figure allegre e scherzose, quali arpie, satiri, paperi imbrigliati” e
all’interno gelosamente depositari di “ingredienti rari, come balsamo,
ambra grigia, zibetto, pietre preziose”. Nell’immagine insomma ciò che è
veramente essenziale ha dimora all’interno di ciascuno di noi. Nel
Novecento, Huizinga ha difeso tale principio non solo nella sua
biografia di Erasmo, ma soprattutto nella sua testimonianza, serena e
ferma, contro il nazismo, dapprima in Homo ludens , e poi nella sua
stessa vita: morirà prigioniero in un campo di “contenimento” nazista.
Lo storico Lucien Febvre lo ricorderà commosso nella sua prefazione
all’edizione francese dell’ Erasmo di Huizinga. Zweig non solo nel suo
Erasmo , ma anche nel suo profilo che oppone Calvino a Sebastiano
Castellione, è difensore strenuo della libertà umana contro ogni Incipit
Hitler . Morirà tragicamente in Brasile, Zweig, ma non senza aver
ricordato per Erasmo e per sé un dovere e un lascito: “Conviene morire
libero come ho vissuto! (...) Libero come tutti i solitari, solitario
come tutti i liberi”».
Nella postfazione, lei si sofferma sulla sfortuna italiana di Erasmo nel
Novecento, che ha il suo fulcro nell’ipoteca «politica» di Delio
Cantimori. Una condanna che nasce sotto il segno dell’Einaudi. Come si
spiega?
«Cantimori è il celebre autore di Eretici italiani del Cinquecento
(1939), saggio sul quale si sono formate generazioni di studiosi del
dissenso religioso in Italia lungo il XVI secolo. In questa sua
prospettiva, egli scrive, “l’interesse per la personalità di Erasmo e
per le sue opere rappresenta solo un episodio della storia culturale e
spirituale italiana”. Più critico nei confronti degli interpreti
“liberali” di Erasmo (in specie Huizinga), egli non mancherà di ribadire
queste posizioni anche dopo la Seconda guerra mondiale. Nella mia
Postfazione ripercorro le sue prese di posizione (contro Adorno, contro
Braudel, e persino contro la traduzione di Musil) documentate ampiamente
nei Verbali einaudiani; avversioni che, dal campo opposto e con pari e
acritica adesione, già emergono dal volume, curato da Luisa Mangoni, che
raccoglie gli scritti politici di Cantimori (1927-1942), nel periodo
del suo attivo consenso al fascismo. L’opposizione a Minima moralia di
Adorno è tale che il Consiglio Einaudi decide di affidare, in seconda
lettura, il libro — difeso da Renato Solmi e da Massimo Mila — a
Norberto Bobbio. I due libri saranno, naturalmente, entrambi pubblicati
da Einaudi. Le posizioni politiche di Cantimori sono state molto
dibattute e chiarite, con definitive ragioni storiche, dal lucido
bilancio critico che Luciano Canfora ha pubblicato sul “Corriere della
Sera” circa il carteggio tra Cantimori e Gastone Manacorda. Liberi da
ipoteche, si può oggi riprendere un cammino erasmiano per l’Europa nei
termini che Lucio Villari propone ripubblicando Lo scempio del mondo di
Huizinga. Nel definirlo uno storico del futuro, egli conclude: “Così,
mentre in Italia si combatteva, in mesi di angoscia e di disperazione,
una guerra di armi e di ideologie, il libro di Huizinga riemergeva come
un segno di pace e di civiltà”».
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