martedì 10 marzo 2015

Il lungo Settecento e l'esigenza dell'unificazione nazionale italiana

Gli italiani prima dell’Italia
Carlo Capra: Gli italiani prima dell’Italia. Un lungo Settecento, dalla fine della Controriforma a Napoleone, Carocci, pp. 459, e 32

Risvolto

È nota la frase attribuita a Massimo d’Azeglio, «fatta l’Italia bisogna fare gli italiani», ma è concepibile provare a invertire la successione cronologica tra i due processi, giacché per fare l’Italia era pur necessario che esistessero in qualche forma e in numero sufficiente gli italiani, con un bagaglio di lingua e memorie comuni e di idee condivise, tra le quali la coscienza della propria arretratezza rispetto alla parte più sviluppata dell’Europa e il desiderio di superare la tradizionale frammentazione politica. La prima si affermò e si diffuse tra le classi colte a partire dagli ultimi decenni del Seicento, il secondo fu un portato dell’età rivoluzionaria e napoleonica, in cui ebbero un peso determinante lo sconvolgimento degli antichi assetti politici e l’esperienza dello Stato moderno con i suoi ordinamenti, i codici, l’esercito, la scuola. Di qui la periodizzazione adottata, che abbraccia quasi un secolo e mezzo di storia italiana e fa largo posto, accanto agli aspetti politico-istituzionali e alle vicende culturali, alle strutture economiche e alle forme di socialità proprie del nostro lungo Settecento.



I semi dell’Italia in un lungo Settecento 

Lunedì 9 Marzo, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA

La ben nota affermazione di Massimo d’Azeglio «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani» trova una documentata smentita nel saggio di Carlo Capra Gli italiani prima dell’Italia (Carocci, pp. 459, e 32) , che spiega — precisa il sottotitolo — quanto è avvenuto durante Un lungo Settecento, dalla fine della Controriforma a Napoleone . Infatti, secondo Capra, occorre partire proprio dal Settecento per individuare gli inizi, o «i prodromi non solo del Risorgimento, ma dell’Italia contemporanea» con i suoi problemi irrisolti. 
L’Italia alla fine del Seicento contava circa 13 milioni di abitanti, che abitavano in prevalenza nelle campagne, anche se l’indice di urbanizzazione era tra i più alti d’Europa. 
Agli inizi del Settecento si verifica quella che Capra definisce la «rinascita ghibellina» e poi «l’età di Muratori» (Ludovico Antonio, ovviamente), cui seguiranno le nuove dinastie nel Regno di Napoli e nel Granducato di Toscana. Ma è a metà del XVIII secolo che si consolida la cosiddetta «Italia asburgica», cui farà seguito la «primavera dei Lumi», in particolare a Milano e a Napoli, dove spicca la figura di Antonio Genovesi. 
Capra riesce bene a riproporci il succedersi non solo di personaggi importanti (come i fratelli Verri e Cesare Beccaria), ma di altrettante vicende decisive (dalla «svolta fisiocratica» in Toscana all’apogeo delle riforme asburgiche a Milano e Firenze), nonché a illustrare l’epoca napoleonica nei suoi vari aspetti, dai problemi finanziari all’andamento delle attività produttive, all’esigenza di una «diuturna opera pedagogica per instillare nelle masse almeno un germe di coscienza nazionale». 
Tuttavia, conclude Capra, a distanza di due secoli il processo educativo «purtroppo non può dirsi compiuto». E come dargli torto?

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