giovedì 26 marzo 2015
Il prof. della Loggia si diverte nelle pause della sua dura guerra contro il fanatismo islamista
Il Pd e Roma Una città e l’etica perduta
di Ernesto Galli della Loggia Corriere 26.3.15
La
catastrofe del Pd romano non nasce né oggi né ieri. Essenzialmente è
l’esito della catastrofe di un’intera città. Se si vuol cominciare a
capire basta passeggiare una mattina per una delle sue tante strade
commerciali, dove si addensano negozi e bancarelle di ambulanti. E
osservare in mezzo alla confusione di quel mercatino all’aperto, dei
clienti davanti alle vetrine, l’incedere lento, annoiato e superbo, del
vigile e della vigilessa di turno. Furgoni e automobili stazionano
regolarmente in sosta vietata, in doppia fila, ma per tutto questo i due
non hanno occhi, perlopiù non se ne curano. Loro entrano nei bar o nei
negozi, ai cui affari certo non nuoce che si possa arrivare in macchina
fino al loro uscio; parlottano amichevolmente, celiano, scambiano
battute con i proprietari, escono. Talvolta con qualcosa sotto il
braccio. Passano alla bancarella dell’ambulante, quasi sempre
extracomunitario. Adesso sui loro volti si disegna un certo cipiglio, il
gesto si carica d’autorità, nelle poche parole il tu è d’obbligo. Il
vigile e la vigilessa palpano la merce, i golfini, le borse, gli
stracci. Capita anche che tirino fuori qualcosa con dei moduli, che
impugnino una penna. Ma prima di scrivere ci sono sempre lunghi
parlottii, conciliaboli. Alla fine quasi mai il modulo viene riempito.
Il giro può proseguire. Questa, vista dal basso, è Roma, la capitale
d’Italia. Dove il corpo dei Vigili Urbani insieme ai funzionari degli
uffici comunali che di essi più si servono (l’Urbanistica, l’Edilizia,
il Commercio) sono da sempre oggetto di inchieste e di denunce d’ogni
tipo.
Ma come del resto i suddetti funzionari, loro, i vigili, sono
sempre lì, indomabili, zazzeruti, a volte lavativi, quasi mai sulla
strada. E al pari dei taxisti, intoccabili. Ne sanno qualcosa quei loro
pochi comandanti che, poveri illusi, hanno creduto di poter cambiare le
cose.
Sono l’emblema di un Comune dove tutto sembra avere un prezzo
(anche per riscuotere un mandato di pagamento pare che si debba lasciare
una tangente). Precipitato nella voragine delle spese e dei debiti
incontenibili, dell’inefficienza più spaventosa dei suoi servizi
pubblici — oltre un terzo dei cui mezzi sono ogni giorno fermi per
mancanza di pezzi di ricambio, con la raccolta dei rifiuti ormai in
certi quartieri quasi inesistente —. Servizi pubblici che un sindaco di
memorabile nullità — Gianni Alemanno — affidò solo pochi anni fa a dei
veri gaglioffi, capaci di assumere in poco tempo oltre mille, dicesi
oltre mille, tra parenti, amanti, mogli e amici. Un Comune, quello di
Roma, nel cui Consiglio sono ormai decenni che non mette più piede quasi
nessuna persona disinteressata, appartenente all’élite sociale e
culturale della città, desiderosa di offrire le proprie competenze,
vogliosa di impegnarsi per il bene pubblico. Niente: da decenni quasi
solo vacui politicanti di serie B, faccendieri, proprietari di voti
incapaci di parlare italiano, quando non loschi figuri candidati a un
posticino a Regina Coeli. Del resto non è a un dipresso così
dappertutto? L’Italia del federalismo e dei «territori» non è forse, con
qualche eccezione, tutta più o meno nelle mani della marmaglia?
E
sempre di più della malavita. Con le sue potenti risorse organizzative e
finanziarie la delinquenza calabro-napoletana ha messo al proprio
servizio la delinquenza romana. E dopo aver piazzato qui il grande
mercato dei suoi traffici di droga, ha deciso di fare delle attività
commerciali e produttive dell’Urbe lo strumento del riciclaggio dei suoi
soldi. Il rapporto con l’amministrazione e la politica cittadina è
stato un momento decisivo di questa infiltrazione.
La vasta pratica
corruttiva da tanto tempo fisiologica negli uffici comunali, della
Provincia, della Regione, ma tutto sommato fino ad allora di non grande
cabotaggio, si è trovata esaltata e moltiplicata. È diventata pervasiva.
E per un effetto necessario, sempre più contigua a una dimensione
crudamente criminale. Ormai il cuore della ricchezza cittadina è questo.
E intorno ad esso è cresciuto a Roma un ceto più o meno vasto di
professionisti, di «consulenti», di personaggi introdotti in alcuni
punti chiave dello Stato, di veri e propri delinquenti in guanti
bianchi, ma anche di uomini-ombra più di mano, tipo Salvatore Buzzi, la
cui attività sostanziale è ormai quella di intermediare il malaffare con
la decisione politico-amministrativa: che si tratti di un grande
appalto o una di una Ong per i migranti. Con un tenore di vita, di
abitazioni, di auto, di consumi, la cui origine illegale si respira
nell’aria.
Il Pd arriva a questo punto. Il Pd era l’unico partito
romano che conservava almeno in parte un rapporto con la base popolare,
quella del vecchio Partito comunista: e probabilmente proprio questo è
ciò che l’ha perduto. Una base popolare dai tratti spesso plebei — chi
ha una certa età se lo ricorda — che per forza era contigua a persone e
cose non proprio in regola con la legalità (ladruncoli, piccoli
spacciatori, topi d’auto): ma finché a sovrintendere ci sono stati il
controllo etico-politico del partito e la decisione inappellabile dei
vertici in materia di cariche e di mandati elettorali, nessun problema.
Come si sa, però, a un certo punto tutto questo è svanito. È accaduto
allora come se quella base popolare fosse rimasta affidata a se stessa e
alle regole spesso demenziali (vedi primarie «aperte») ed estranee
della nuova democrazia interna. È allora che si è aperto il varco: non
avendo più un vero corpo, il partito non ha avuto più anticorpi.
Mentre
il Pd si confermava nella città come il partito di fatto stabilmente
dominante, con tutte le possibilità di affari connesse a un tale ruolo,
una parte dei suoi uomini ha capito che esso poteva essere assai utile
per riempirsi le tasche. Lo ha capito anche la delinquenza più sveglia e
più attrezzata, che è stata pronta a stabilire rapporti con la sua
nuova classe, a mettere a libro paga persone, a costruire filiere, a
organizzare complicità e ricatti. Così, servendosi dei mezzi del
clientelismo politico più ovvi, è cominciata la scalata al Pd da parte
del malaffare. Lo ha detto bene in un rapporto Fabrizio Barca, dopo aver
indagato quanto accaduto nei circoli dem della Capitale: il Pd è
diventato «un partito cattivo, ma anche pericoloso e dannoso», i suoi
iscritti sono troppo spesso «carne da cannone da tesseramento» .
Matteo
Renzi è avvertito: questa è Roma, la capitale dell’Italia del cui
governo egli è a capo. Questo è — qui ma non solo — il partito di cui
egli è segretario. Ma a questo punto, sia chiaro, non servono le parole e
neppure l’accetta. Serve il lanciafiamme .
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento