Stefano Poggi: L’anima e il cristallo. Alle radici dell’arte astratta, il Mulino, Bologna, pagg. 168, € 19,00
Risvolto
Nei primi vent'anni del Novecento si producono
in Europa mutamenti culturali radicali, i cui effetti giungono sino ai
nostri giorni. Decisiva in quella fase appare l'influenza di due
personaggi come Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche, un'influenza
profonda e diffusa perché si esercita soprattutto al di fuori dell'arena
filosofica. Nella scia del loro pensiero si forma la convinzione che
sia necessario ripensare nei suoi stessi fondamenti il rapporto tra
l'uomo e la natura, tra la scienza e l'arte. Il libro racconta una
stagione culturale in pieno fermento, che vede accomunati nella stessa
visione utopica e ansia di rinascita personaggi come Lukàcs, Bloch,
Simmel, Rilke, Wittgenstein, Schònberg, Klee: tutti in varia misura
segnati dalla consapevolezza di un mutamento epocale che ebbe il suo
avvio decisivo negli anni Dieci, con la nascita dell'arte astratta.
L’astrattismo non è astrazione
Il
brillante saggio di Stefano Poggi indaga la nascita del movimento
pittorico alla luce delle sue matrici filosofiche, oggi superate. Che
partono dalle idee di Goethe sulla bellezza
di Mario De Caro Il Sole Domenica 1.3.15
Tra le vittime del crescente fenomeno della specializzazione in ambito
accademico figura certamente la storia dell’arte. C’era un tempo in cui
intellettuali dottissimi – da Warburg a Panofsky, da Berenson a
Gombrich, dai Venturi a Brandi – conoscevano tutto ciò che di rilevante
c’era da sapere sulle epoche e gli artisti oggetto delle loro analisi.
Ma oggi, sia per l’immensità delle conoscenze ormai accumulatesi sia per
la pressione sui giovani studiosi a circoscrivere i propri interessi,
le cose sono molto cambiate, e certamente non in meglio.
Capita così di assistere a feroci e interminabili dispute tra gli
storici dell’arte per stabilire chi tra Pinturicchio e Tiberio d’Assisi
dipinse la Pala del Duomo di San Pancrazio, finché tutti si mettono
d’accordo che fu dipinta dal Maestro della Pala del Duomo di San
Pancrazio. Oppure si sviluppano indagini sofisticatissime sulla
composizione chimica del rosso cinabro di Veronese o sulle incredibili
peripezie attraverso le quali quel certo ritratto di Velazquez viaggiò
da Madrid a Londra, da Vienna a Berlino, per poi tornarsene mestamente a
Madrid.
Questo tipo di studi, naturalmente, è legittimo e talora anche
interessante. Ciò che oggi mancano, però, sono gli studi che un tempo ci
permettevano di comprendere opere e artisti attraverso lo studio
sinottico delle forme culturali delle rispettive epoche: gli studi,
insomma, che, connettendo arte e letteratura, filosofia e scienza,
politica e storia possono farci comprendere la genesi e il senso più
profondo dei fenomeni artistici.
Ora però uno di questi studi preziosi, ma sempre più rari, è uscito per
il Mulino. Si tratta di L’anima e il cristallo. Alle radici dell’arte
astratta (il Mulino, Bologna, pagg. 168, € 19,00). e illumina con rara
maestria il formarsi dell’astrattismo pittorico novecentesco,
indagandone la complessa matrice filosofico-culturale. Ne è autore uno
dei nostri maggiori storici della filosofia, Stefano Poggi, già autore
di pregevoli studi su fenomeni di estrema complessità come la scienza
romantica e gli esordi della psicologia scientifica.
Questo volume può a prima vista sconcertare. Prima di affontare,
nell’ultimo terzo del libro, l’arte di Kandinsky e Klee, infatti, Poggi
discute di filosofi e scienziati, teologi e psicologi, studiosi di
estetica e mistici, poeti e paragnosti – ovvero dell’affascinante,
intricatissima e talora persino strampalata cultura di lingua tedesca, a
cavallo tra Ottocento e Novecento. È alle complesse esperienze
culturali di quel mondo, in cui la cultura non era ancora rigidamente
compartimentata, che occorre guardare se si vogliono capire ragioni,
significato e modalità di un’arte come quella astratta, che giunse a
rifiutare qualunque ideale mimetico.
Come mostra convincentemente Poggi, uno dei tratti principali della
ricerca filosofica di quel periodo fu il tentativo di emanciparsi dai
residui del dualismo cartesiano, che aveva separato drasticamente la
mente dal corpo. Molti degli intellettuali di lingua tedesca dei decenni
che precedettero la Prima guerra mondiale, però, rifiutavano le
soluzioni unilateralmente monistiche dell’idealismo e del materialismo.
Il loro ideale di fondo fu piuttosto quello dell’unità originaria e
dinamica del tutto, un organicismo ostile al meccanicismo della scienza
newtoniana, con il suo reciso rifiuto delle cause finali. All’origine di
questa visione, che in quel fatidico volgere di secolo fu declinata in
molteplici maniere, c’era il pensiero del più influente tra gli
intellettuali tedeschi ovvero Johann Wolfgang Goethe. La bellezza, nella
prospettiva goethiana, è un ideale a cui l’artista si approssima
asintoticamente. L’arte diventa insomma lo strumento più nobile per
ricongiungere il singolo alla totalità infinita, alla dinamica
organicità del tutto. Una prospettiva, questa, in cui evidentemente
l’arte è assai più vicina alla mistica di quanto non lo sia alla scienza
(e qui, nota Poggi, si avverte fortemente l’influenza di una tradizione
che risale a Meister Eckhart).
Con la mediazione di titani come Schopenhauer e Nietzsche, Rilke e
Bloch, Wagner e Schönberg – ma anche di pensatori come Lukacs e
Wittgenstein che la vulgata vorrebbe collocati in contesti molto diversi
– queste idee arrivano ai maestri dell’arte astratta, e in particolare a
Kandisky, con la sua idea che la pittura può attingere a ciò che è
inesprimibile con la parola, e a Klee, con la sua famosa metafora che
l’anima del pittore è chiara come quella del cristallo e per questo può
penetrare i più riposti segreti della natura. (Sarebbe interessante
sapere come precisamente si collocano in questo quadro altri giganti
dell’astrattismo come Mondrian e soprattutto Mirò, che quanto a
interesse per la mistica non era certo l’ultimo arrivato: c’è da sperare
che in una futura opera Poggi ce ne parli).
In questo modo si comprende come l’astrattismo non abbia proprio nulla a
che fare con l’astrazione propria del pensiero razionale né con la
separazione fondamentale – un’astrazione anch’essa – da cui, a partire
da Galileo, si dipana la scienza moderna: ovvero quella tra le qualità
matematizzabili delle cose (che per la scienza sono le uniche reali) e
le qualità secondarie (la cui realtà invece la scienza nega). Nella
prospettiva culturale che influenza la nascita dell’astrattismo, il
mondo è piuttosto una totalità dinamica che il pensiero
discorsivo-razionale non può mai giungere a comprendere. È questo lo
scopo cui sono deputate la mistica e l’arte, soprattutto quella
figurativa e quella musicale, che è asemantica per definizione.
Un’erudizione d’altri tempi permette a Poggi di offrire uno sguardo
d’assieme su una quantità di fenomeni culturali di cui tutti conosciamo
l’importanza, ma che a prima vista paiono eterogenei, se non
incommensurabili. E così, tracciando connessioni illuminanti e
sciogliendo nodi concettuali intricatissimi, questo volume rende
giustizia a un mondo culturale seducente e che pure ci appare assai più
distante dalla nostra epoca di quanto non lo siano esperienze culturali
cronologicamente anteriori.
L’evidente inattualità di quel mondo trova però un’eccezione proprio
nelle straordinarie esperienze artistiche che seppe produrre.
Nate in un contesto culturale in cui non ci riconosciamo più, quelle
esperienze sono ancora lì, a sfidare la nostra comprensione e ad
affascinare i nostri occhi.
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