giovedì 2 aprile 2015

Bifismi & altre bufale: il paradigma psicopatologico fa il pari con quello cospirazionista nella distrazione morbosa di massa

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Giusto per precisarne l'attendibilità, qualche tempo fa Bifo aveva detto che Lenin fece il partito bolscevico e prese il potere in Russia perché era sifilitico o giù di lì, mi pare [SGA].

Franco Berardi Bifo: Heroes. Suicidi e omicidi di massa, Baldini& Castoldi.

Risvolto
What is the relationship between capitalism and mental health? In his most unsettling book to date, Franco “Bifo” Berardi embarks on an exhilarating journey through philosophy, psychoanalysis and current events, searching for the social roots of the mental malaise of our age.
Spanning an array of horrors – the Aurora “Joker” killer; Anders Breivik; American school massacres; the suicide epidemic in Korea and Japan; and the recent spate of “austerity” suicides in Europe – Heroes dares to explore the darkest shadow cast by the contemporary obsession with relentless competition and hyper-connectivity. In a volume that crowns four decades of radical intellectual work, Berardi develops the psychoanalytical insights of his friend Félix Guattari and proposes dystopian irony as a strategy to disentangle ourselves from the deadly embrace of absolute capitalism.

Le stragi “spettacolari” dei suicidi-omicidi in cerca di eroismo
Nel nuovo saggio “Heroes” Franco “Bifo” Berardi analizza le azioni clamorose di uomini soli dal massacro di Lubitz alla carneficina di Breivik

di Gabriele Romagnoli Repubblica 2.4.15
ANDREAS Lubitz, il co-pilota suicida/omicida del volo Germanwings, non ha viaggiato da solo verso la nera pagina di storia che lo ricorderà. I suoi compagni di viaggio non sono i 149 tra passeggeri e membri dell’equipaggio, ma Anders Breivik, il massacratore dei giovani socialdemocratici in campeggio sull’isola norvegese di Utoya; James Holmes, il joker che aprì il fuoco in un cinema di Aurora durante una proiezione di Batman; i kamikaze dell’11 settembre, i 400 medici che ogni anno si tolgono la vita negli Stati Uniti, i 35 impiegati di France Telecom che non hanno retto alla modifica dei ritmi di lavoro, i banchieri di Wall Street che hanno reagito alla crisi buttandosi dal tetto del grattacielo di cui il giorno prima si sentivano padroni, le migliaia di uomini e donne che a un ritmo crescente si ammazzano: +60% negli ultimi 45 anni è la stima dell’organizzazione mondiale della sanità. Esiste un filo comune che lega questi eventi. Esistono un perché e un come condivisi. Esiste soprattutto, e questo è il segnale di allarme rimasto acceso sul cruscotto di Lubitz, un legame tra suicidio e massacro. Sta diventando indissolubile. In questo stesso momento, mentre noi diamo del pazzo al co-pilota tedesco, qualcuno si prepara a emularlo, ad andarsene, ma in una scia di fuoco. Il punto è che mentre noi milioni non facciamo storia né vittime, quell’isolato che si prepara a Taiwan, Cincinnati o Milano, inesorabilmente sì.

Il perché e il come, allora. A cercare di individuarli è un libro, curioso e interessante fin dal suo percorso editoriale. Lo ha scritto Franco Berardi, detto Bifo, sociologo, anima del movimento studentesco bolognese che conobbe la sua stagione di luce e cenere nel ’77. Già allora era disincantato profeta e coniava slogan del tipo “Duri ma con gioia”. L’amicizia con Felix Guattari, lo studio di Baudrillard e Debord ne hanno fatto un pensatore originale, più apprezzato all’estero, tanto che Heroes è uscito prima in Inghilterra e Stati Uniti e ora, con il sottotitolo Suicidi e omicidi di massa , si accinge a pubblicarlo in Italia Baldini& Castoldi. Rispetto alla versione originale si è aggiunta una prefazione (“Il pilota automatico”) che aggiunge Lubitz alla schiera degli “eroi” negativi. Il suo perché sul quale tutti ci interroghiamo da giorni è, secondo Bifo, spiegabile come negli altri casi: che si tratti di un manager della coreana Samsung o dello studente di una esigente università americana. A spingerli verso il gesto estremo è il senso di inadeguatezza rispetto alle aspettative sociali, agli obiettivi prefissati, all’idea di sé proiettata sul muro della propria platonica caverna, il cui arredo è stato gentilmente fornito dagli sponsor della società tardo-capitalista. Esiste una correlazione tra capitalismo e malattie mentali, tra neoliberismo e suicidio: si diffondono di pari passo. Necessità di competere, ansia da prestazione, solitudine digitale, smaterializzazione dei beni e degli affetti sono le principali ma non le uniche componenti che hanno fatto salire nel pianeta la febbre dell’infelicità. È un processo che appare ai più irreversibile (eravamo arrivati alla “fine della storia”, giusto mister Fukuyama?) e quindi si viaggia verso una diffusione della miseria, psichica prima che materiale. Dobbiamo aspettarci che il numero di suicidi aumenti. E ne saremmo preoccupati, ma fino a un certo punto. Lubitz non reggeva lo stress, non accettava l’idea di rinunciare alla carriera perché cervello e fisico non lo supportavano, come tanti non era pronto a viaggiare in seconda classe anziché in prima, perdendo status e benefit, e ha preferito, invece di continuare, buttarsi. Anzi, no, buttare l’aereo contro la montagna. È qui che il suo problema diventa irrinunciabilmente collettivo. Il suo perché ci colpisce di striscio; il suo come, al cuore.
Un suicida “classico” si sarebbe impiccato nella sua mansarda. Un suicida “eroico” inscena una fine spettacolare: se ne va su un carro in fiamme, bruciando altre vite, assicurandosi che, come aveva predetto Lubitz all’ex fidanzata, tutto il mondo conosca il suo nome. È questa la caratteristica che lega l’atto del pilota a quello dei Breivik e degli Atta: la spettacolarità. Sono azioni clamorose, che fanno immagine, bucano gli schermi di tv, computer e smartphone: qualcuno dice, attirandosi polemiche, che hanno perfino “qualità artistiche”. Di certo mirano al grande pubblico per emozionarlo, di certo tendono all’immortalità dell’autore, la cui vita era diventata per lui insignificante, in quanto lo era per la società: studente fallito, ideologo da strapazzo, pilota atterrato.
Ci sono due strati di assurdo nella scelta di questi “eroi neri”: il primo è non saper accettare la propria vita, i suoi alti e bassi; il secondo è coinvolgere, come fossero responsabili in nome e per conto della società, altri individui a caso. Il caso, senza necessità, è un dio amorale.
Fin qui la spietata analisi di Bifo. Quanto ai rimedi, si sconta come spesso la maledizione di Karl Rove, gran consigliere di George W. Bush: «Noi creiamo la realtà, voi la studiate. E mentre voi interpretate quella realtà, noi ne creiamo un’altra che voi studierete e così via». I Bifo studiano, i Rove creano. Se il seme del male è nella società in cui viviamo, occorrono creatori alternativi, non regressivi, capaci di fare mondi e di agire non sull’insieme, ma sul singolo, rendendo la sua mente aperta e disponibile all’impopolare eppur salvifica e perfino felice ipotesi dell’insuccesso.


Uscite di sicurezza dalla catastrofe Saggi. «Heroes, Suicidio e omicidi di massa» di Franco «Bifo» Berardi. Il nichilismo è il tratto che contraddistingue le relazioni sociali nell’era dell’attuale capitalismo finanziario Mauro Trotta 28.5.2015
È dav­vero incon­sueto che un autore defi­ni­sca orri­bile un pro­prio libro e si chieda: «Ma per­ché l’ho scritto?». Eppure è pro­prio quanto suc­cede nell’ultimo lavoro di Franco Berardi, cono­sciuto anche come Bifo, all’inizio dell’ultimo capi­tolo del suo Heroes. Sui­ci­dio e omi­cidi di massa (Baldini&Castoldi, pp. 242, euro 16). Il libro, in realtà, è molto bello, inte­res­sante e sti­mo­lante. La domanda, però, non è asso­lu­ta­mente infon­data per­ché – come d’altronde indica chia­ra­mente il sot­to­ti­tolo – l’argomento trat­tato è vera­mente orri­bile. In una sorta di discesa agli inferi, Bifo esa­mina innanzi tutto una serie di omi­cidi di massa più o meno famosi, par­tendo dalla strage a Den­ver alla prima dell’ultimo film di Bat­man Il cava­liere oscuro– Il ritorno, com­piuta dal ven­ti­quat­trenne James Hol­mes nel 2012, per poi arri­vare a foca­liz­zare la pro­pria atten­zione su quelle che potremo defi­nire epi­de­mie di sui­cidi, come avvenne tra i lavo­ra­tori di France Tele­com qual­che anno fa o tra i con­ta­dini indiani, ammaz­za­tisi in 250.000 tra il 1995 e il 2010.
Ma per­ché l’autore ha deciso di occu­parsi di tali argo­menti? Per­ché Bifo si sof­ferma su gente come Seng-Hui Cho, Eric Har­ris, Dylan Kle­bold, Pekka-Eric Auvi­nen, che si sono sui­ci­dati dopo aver com­piuto stragi di gente inno­cente? Per­ché que­sti, insieme agli altri per­so­naggi le cui sto­rie costel­lano il libro, non sono sol­tanto un’estrema mani­fe­sta­zione di una delle prin­ci­pali ten­denze della nostra epoca, sono in realtà gli «eroi» – come recita il titolo del libro – di un’era di nichi­li­smo e di stu­pi­dità spet­ta­co­lare, i nuovi «eroi» dell’era del capi­ta­li­smo finanziario.
C’è una data, for­te­mente sim­bo­lica, che annun­cia da un lato il tra­monto della figura clas­sica dell’eroe e l’avvento del nuovo eroe, è il 1977. In quell’anno esce una bel­lis­sima can­zone di David Bowie, Heroes. Al di là del testo che sot­to­li­nea come tutti pos­sano essere eroi, ma solo per un giorno, è il video, come ha notato Hito Steyerl che dà la misura del nuovo eroe.
Il mondo delle astrazioni
La clip mostra un Bowie sdop­piato, o meglio tri­pli­cato, che canta a se stesso. Ecco il nuovo eroe, non più un essere sovran­na­tu­rale, e nean­che un’icona, ma nient’altro che una sem­plice imma­gine. La sua immor­ta­lità non è più legata alla capa­cità di soprav­vi­vere a prove quasi impos­si­bili, ma alla pos­si­bi­lità di essere con­ti­nua­mente foto­co­piato, rici­clato, rein­car­nato. Come chiosa Bifo: «Quando il caos ha pre­valso, l’eroismo epico è stato rim­piaz­zato da gigan­te­sche mac­chine di simu­la­zione». E il caos in cui tutti ci tro­viamo è la diretta con­se­guenza del nuovo modo di pro­du­zione, del «semio­ca­pi­ta­li­smo» – come pre­fe­ri­sce chia­marlo l’autore – che ha tra­sfor­mato la realtà con­creta in astra­zione, distrug­gendo l’intelligenza col­let­tiva, o meglio parassitandola.
Tutto è diven­tato «imma­gini, algo­ritmi, fero­cia mate­ma­tica e accu­mu­la­zione del nulla nella forma del denaro». Tutto è stato risuc­chiato in buco nero finan­zia­rio. Così l’umanità sem­bra sem­pre più inca­pace di empa­tia e soli­da­rietà. La sto­ria appare ormai come un flusso infi­nito in cui si ricom­bi­nano imma­gini fram­men­ta­rie. La poli­tica una fre­ne­tica e pre­ca­ria atti­vità senza alcuna visione stra­te­gica. Ma se è vero che, come afferma Höl­der­lin, pro­prio dove c’è peri­colo si ori­gina la sal­vezza, occorre appunto immer­gersi nell’orrore. Biso­gna dun­que car­to­gra­fare la «terra deso­lata» dove l’immagimazione sociale giace come con­ge­lata e sot­to­messa all’immaginario ricom­bi­nante azien­da­li­sta. E da qui ripar­tire per pro­vare a riat­ti­vare la sen­si­bi­lità delle per­sone affin­ché l’umanità possa di nuovo rico­no­scere se stessa, le pro­prie capa­cità desi­de­ranti, empa­ti­che, vitali.
Ini­zia così un viag­gio tra gli omi­cidi di massa prima, tra i sui­cidi poi, in cui, uti­liz­zando i più diversi stru­menti di ana­lisi – filo­so­fici, socio­lo­gici, psi­co­lo­gici, eco­no­mici, poli­tici – l’autore tenta da un lato di far emer­gere que­gli ele­menti fon­da­men­tali che sono alla base di tali azioni, dall’altro di mostrare come tali mec­ca­ni­smi siano pro­fon­da­mente con­na­tu­rati e fun­zio­nali all’attuale sistema sociale. Tante sono le sug­ge­stioni, gli spunti di rifles­sione offerti dal volume. Così come tanti sono i rife­ri­menti cul­tu­rali uti­liz­zati per spie­gare tali realtà, anche se su tutti sem­bra emer­gere soprat­tutto il pen­siero desi­de­rante di Gil­les Deleuze e, in par­ti­co­lare, Felix Guat­tari. Il tutto poi si com­bina in un affre­sco dav­vero con­vin­cente della situa­zione attuale che, oltre tutto, non pre­tende di essere esau­stivo ma quasi richiede la rifles­sione e il coin­vol­gi­mento di chi legge per inte­grare il qua­dro presentato.
La mappa che viene fuori, inol­tre – e l’autore lo spe­ci­fica espli­ci­ta­mente – non con­sente per­corsi all’indietro. Non è pos­si­bile ten­tare sem­pli­ce­mente di annul­lare quanto avve­nuto per ritor­nare ad una realtà pre­ce­dente. L’unica via pos­si­bile è in avanti, in una sorta di «ritorno al futuro» in grado di inven­tare nuove forme di socia­lità, di empa­tia, di soli­da­rietà tra le persone.
Alcuni ele­menti acqui­stano par­ti­co­lare rile­vanza all’interno del discorso. È il caso, ad esem­pio, della rifles­sione che Bifo svi­luppa sul fatto che ci tro­viamo in una situa­zione in cui gene­ra­zioni di esseri umani hanno appreso più parole dalle mac­chine che da altri esseri umani. Inol­tre ormai gli anni più for­ma­tivi ven­gono tra­scorsi in con­tatto con­ti­nuo con le «info­mac­chine» piut­to­sto che in con­tatto fac­cia a fac­cia con altre per­sone. Que­sto pro­voca una defi­cienza nel com­pren­dere il lin­guag­gio non ver­bale e causa l’incapacità di sen­tire il pia­cere e il dolore degli altri come proprio.

Derive iden­ti­ta­rie
Fram­men­ta­zione dei rap­porti, dun­que, che non inve­ste solo la sfera sociale ed eco­no­mica gra­zie alle delo­ca­liz­za­zioni e alle ester­na­liz­za­zioni ma anche e, soprat­tutto, la sfera psi­chica. E che diventa fun­zio­nale anche a quella iper­com­pe­ti­ti­vità dive­nuta dogma all’interno del pen­siero domi­nante. Se a que­sto si aggiun­gono poi le rifles­sioni sulle derive iden­ti­ta­rie sem­pre più risor­genti – illu­mi­nante a tale pro­po­sito la distin­zione tra iden­tità e stile, visto, quest’ultimo, come coscienza della pro­pria sin­go­la­rità, fles­si­bile e aperta al cam­bia­mento – oppure sulla nuova classe vir­tuale post-borghese o, ancora, sul ritorno di un’etica barocca e sulla distru­zione della tra­di­zione uma­ni­sta, basata sull’idea che il destino umano non è sog­getto ad alcuna neces­sità o legge teo­lo­gica, da parte del nuovo capi­ta­li­smo si può avere un’idea della com­ples­sità e della ric­chezza del libro. Un libro che si chiude con la più assurda e dif­fi­cile delle domande ovvero: «Cosa si può fare quando niente può essere fatto?». E Bifo non si sot­trae dal pro­vare a dare una rispo­sta e afferma che per lui l’unica pos­si­bi­lità si può ritro­vare in quella che chiama iro­nia disto­pica e che con­si­ste in un ulte­riore decli­na­zione della cate­go­ria di esodo, comune a gran parte del pen­siero cri­tico con­tem­po­ra­neo. Si tratta, in pra­tica, del sot­trarsi al gioco domi­nante, all’abbraccio mor­tale del capi­ta­li­smo asso­luto non accet­tando di par­te­ci­pare ai suoi riti poli­tici, sociali, eco­no­mici, nell’essere scet­tici dif­fi­dando anche di Franco Berardi stesso, e di non rinun­ciare alla rivo­lu­zione, per­ché «la rivolta con­tro il potere è neces­sa­ria anche se non sap­piamo come vincere».

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