lunedì 27 aprile 2015

Elogio della Guerra fredda: Sergio Romano


Sergio Romano: In lode della Guerra fredda. Una controstoria, Longanesi, pp. 130, euro 16

Risvolto

A dispetto del nome, la Guerra fredda fu un lungo periodo di pace e stabilità per l’Europa. Pur se costellati da momenti di grande tensione, i decenni che seguirono la Seconda guerra mondiale furono caratterizzati dalla fermezza con cui le due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, seppero frenare le forze che al loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Urss, i confini dell’ex Impero sovietico divennero nuovamente contesi, rinacquero antichi nazionalismi, scoppiarono numerose guerre: in Cecenia, nel Caucaso e nella ex Jugoslavia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, pensarono di avere vinto la Guerra fredda, ma oggi emergono chiari i limiti della superpotenza americana e le conseguenze del suo avventurismo: rivoluzioni sfuggite di mano, guerriglie fomentate dal fanatismo religioso, contrasti sempre più accesi con la Russia. Ma la fine della Guerra fredda, e i conflitti del dopoguerra, hanno avuto come effetto soprattutto il sorgere dei «non Stati» – Isis, Ghaza, Kurdistan iracheno, Bosnia, Kosovo, Siria, Libia – con le grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un «non Stato»? Come lo si governa? E come si può ricostruire l’ordine perduto?       


Quella Guerra Fredda che assicurava la pace 

Sergio Rom ano ripercorre, controcorrente, tutte le tappe del conflitto sotterraneo tra Usa e Urss E scopre che, dalla caduta del M uro al M edioriente, la sua fine ha rotto gli equilibri del pianeta
24 apr 2015  Libero SIMONE PALIAGA

La sera del 9 novembre 1989 il sole tramonta alle spalle di Berlino. Fiumi di tedeschi accorrono, per smontarlo pezzo dopo pezzo, presso il Muro lungo 155 km che da ventotto anni divide l'ex capitale del Reich ed era diventato il simbolo della Guerra fredda. Ora la pace avrebbe regnato indiscussa, si pensava. Piegato il grande orso sovietico sembrava che i giochi fossero fatti. C’era chi addirittura, qualche anno dopo, avrebbe ipotizzato la fine della storia e l'espandersi incontrastato della democrazia e dell'economia di mercato. Insomma la pacificazione universale era ormai alle porte. Occorreva solo eliminare ancora qualche canaglia e i conti irenistici sarebbero tornati.  
Eppure «quando si conteranno le vittime delle guerre che si sono combattute dopo la caduta del Muro di Berlino in Europa, in Asia e in Africa (morti, feriti, popolazioni costrette ad abbandonare le proprie case) potremmo scoprire che il numero è certamente inferiore a quello delle vittime provocate dalle guerre tradizionali del Ventesimo secolo, ma considerevolmente inferiore a quello dei conflitti combattuti durante la Guerra fredda» scrive Sergio Romano nel suo ultimo pamphlet storico In lode della Guerra fredda. Una controstoria e appena pubblicato da Longanesi ( pp. 130, euro 16). D’altronde gli esiti delle guerre in Abcasia, Afghanistan, Bosnia, Congo, Iraq, Kosovo, Libia, Mali, Nigeria, Ossezia, Siria, Somalia, Sudan e Yemen sono davanti agli occhi di tutti. Senza dimenticare la pesante crisi che aleggia sull'Europa per le vicissitudini ucraine di questi ultimi due anni e per la quale «se vi è ancora una speranza d'intesa questa dipende in buona parte degli arsenali nucleari».  

Sergio Romano non ha bisogno di presentazioni come neppure il suo gusto nelle analisi controcorrente rette dall'importante esperienza diplomatica e storica. E qui, in questo suo ultimo lavoro, passa al setaccio la ridda di luoghi comuni che infestano l'opinione diffusa e che ancora oggi non ci permettono di comprendere cosa stia accadendo sotto i nostri occhi, dall’Isis all'Ucraina fino alle cosiddette Primavere arabe. «La Guerra fredda aveva avuto un grande merito: aveva costretto i due campi a evitare pericolose provocazioni e a comportarsi responsabilmente». La crisi a Berlino nel 1949, l’invasione ungherese del 1956, le tensioni per i missili a Cuba nel 1962, la primavera di Praga del 1968 avevano permesso agli Stati Uniti e all’Urss di studiarsi e prendere le misure. La gran parte delle guerre combattute erano state per procura. E i conflitti caldi in Corea e poi in Vietnam nascevano da un fraintendimento nell'analisi delle loro cause. Poi l’Atto finale di Helsinki del 1975 sulla sicurezza europea, una sorta di cappello conclusivo a posteriori della seconda guerra mondiale, sanciva lo status quo e l’inviolabilità dei confini stabiliti, primo tra tutti la divisione della Germania. Quattordici anni dopo, il crollo del Muro di Berlino diede la convinzione che gli Stati uniti avessero vinto la Guerra fredda. Ma così non è stato anche se da vincitori si sono comportati rendendo instabile l’equilibrio politico del pianeta, specie del Medioriente, che più o meno aveva retto per quasi cinquant’anni e che aveva garantito la pace in Europa per un periodo tanto lungo dalla pace di Vestfalia del 1648. Secondo Sergio Romano l’Urss non sarebbe crollata per l'intervento americano ma per la politica economica del suo ultimo presidente, Michail Gorbaciov. Al massimo agli Usa si poteva riconoscere una vittoria morale. Poi però nella loro strategia internazionale, oltre alla convinzione di essere i vincitori, hanno cominciato a pesare maggiormente le scelte di politica interna. Prima i presidenti che si erano susseguiti alla Casa Bianca, col nemico alle porte, erano riusciti a far inghiottire ai loro elettori anche delle decisioni indigeste. Poi la pancia dei cittadini ha avuto sempre più peso come è cresciuta l'influenza di alcune lobby. Tra esse l’industria americana degli armamenti a cui non dispiaceva affatto un allargamento della Nato verso Est che non è stata certo foriera di venti di pace.

1 commento:

Luca Del Grosso ha detto...

Chi l'avrebbe mai detto? Fa piacere scoprire che le schiere dei nostalgici si fanno più fitte! eh eh... naturalmente è una battuta. Comunque, grazie per aver segnalato questa pubblicazione che mi era sfuggita. Si tratta di sicuro di un testo interessante come tutti i libri del Cav. Romano.