sabato 11 aprile 2015

Il segretario generale nel pallone

Gramsci, il calcio e lo scopone 
Sport. Il futuro segretario del partito comunista scrisse in favore del foot-ball come gioco che rappresentava la modernità contrapposto allo scopone simbolo di corruzione e imbroglio. Apprezzarono in seguito anche Togliatti e Berlinguer, entrambi juventini 
Pasquale Coccia, il Manifesto 11.4.2015 


Se Anto­nio Gram­sci fosse vivo, la dome­nica andrebbe allo sta­dio. Non sap­piamo se fre­quen­te­rebbe lo Juven­tus Sta­dium, il gio­iel­lino di casa Agnelli, edi­fi­cato sulla scia degli stadi di pro­prietà delle più grandi squa­dre euro­pee, per seguire le imprese cal­ci­sti­che dei bian­co­neri, oppure andrebbe più volen­tieri a vedere le par­tite del Torino, che il sem­pli­ci­smo cal­ci­stico vor­rebbe essere la squa­dra degli ope­rai della Fiat, oggi di pro­prietà di Cairo, il patron di La 7. 

Circa un secolo fa, nelle sue rubri­che di costume sull’ Avanti! poi rac­colte nel volume Sotto la Mole, Anto­nio Gram­sci invi­tava gli ope­rai a fre­quen­tare lo sta­dio, esal­tando il mondo del cal­cio come espres­sione della moder­nità. Il futuro segre­ta­rio del par­tito comu­ni­sta ana­lizzò due aspetti del tempo libero degli ope­rai: il cal­cio e il gioco delle carte. Lo scritto gram­sciano pub­bli­cato sotto il titolo emble­ma­tico Il Foot­ball e lo sco­pone è l’occasione per ana­liz­zare i vizi e le virtù degli ita­liani attra­verso il gioco del cal­cio, che meta­fo­ri­ca­mente rap­pre­sen­tava la società libe­rale, quella anglo­sas­sone e patria del cal­cio, con­trap­po­sta alla società della cor­ru­zione e dell’imbroglio italiana-giolittiana: «Anche in que­ste atti­vità mar­gi­nali degli uomini si riflette la strut­tura economico-politica degli Stati. Lo sport è atti­vità dif­fusa delle società nelle quali l’individualismo eco­no­mico del regime ha tra­sfor­mato il costume, ha susci­tato accanto alla libertà eco­no­mica e poli­tica anche la libertà spi­ri­tuale e la tol­le­ranza dell’opposizione». 

Gram­sci in realtà parte da una lunga pre­messa sul modo di essere degli ita­liani, che pre­fe­ri­scono lo stile di vita pan­to­fo­laio, con­fer­mato un secolo dopo da una recente inda­gine di Euro­ba­ro­me­tro, l’istituto di ricerca dell’Ue, che clas­si­fica gli ita­liani tra i più seden­tari d’Europa dopo i greci e i bul­gari. «Gli ita­liani amano poco lo sport; gli ita­liani allo sport pre­fe­ri­scono lo sco­pone. All’aria aperta pre­fe­ri­scono la clau­sura in una bettola-caffè, al movi­mento la quiete intorno al tavolo» pre­mette Gram­sci, prima di adden­trarsi in un’analisi inte­res­sante che mette a con­fronto la cul­tura del cal­cio e quella dello sco­pone, espres­sione di due modi con­trap­po­sti di con­ce­pire la società: «Osser­vate una par­tita di foot­ball: essa è un modello di società indi­vi­dua­li­stica: vi si eser­cita l’iniziativa, ma essa è defi­nita dalla legge. Le per­so­na­lità si distin­guono gerar­chi­ca­mente, ma la distin­zione avviene non per car­riera ma per capa­cità spe­ci­fica; c’è il movi­mento, la gara, la lotta, ma esse sono rego­late da una legge non scritta, che si chiama lealtà e viene con­ti­nua­mente ricor­data dalla pre­senza dell’arbitro. Pae­sag­gio aperto, cir­co­la­zione di aria, pol­moni sani, muscoli forti, sem­pre tesi all’azione». 

Quando Anto­nio Gram­sci scri­veva que­ste note il cam­pio­nato di cal­cio era ancora sospeso per via degli ultimi mesi della Grande Guerra, ma nono­stante l’interruzione dei cam­pio­nati egli aveva potuto cogliere l’essenza del foot-ball, come si scri­veva allora, gra­zie al pro­li­fe­rare di squa­dre di cal­cio dilet­tan­ti­sti­che su tutto il ter­ri­to­rio nazio­nale e al fatto che il suo osser­va­to­rio fosse Torino, città che sin dalla fine dell’800 aveva ospi­tato in un unico giorno il primo cam­pio­nato ita­liano di cal­cio, vinto dal Genoa, che si aggiu­dicò il primo scu­detto. Se per Gram­sci la par­tita di cal­cio è l’emblema della demo­cra­zia, per­ché si disputa a cielo aperto e sotto gli occhi del pub­blico, che può distin­guere e apprez­zare i cal­cia­tori per capa­cità, di tutt’altro spi­rito è impre­gnata la cul­tura dello sco­pone: «Una par­tita allo sco­pone. Clau­sura, fumo, luce arti­fi­ciale. Urla, pugni sul tavolo e spesso sulla fac­cia dell’avversario…o del com­plice. Lavo­rio per­verso del cer­vello. Dif­fi­denza reci­proca. Diplo­ma­zia segreta. Carte segnate. Stra­te­gia delle gambe e della punta dei pedi. Una legge? Dov’è la legge che biso­gna rispet­tare? Essa varia di luogo in luogo, ha diverse tra­di­zioni, è occa­sione con­ti­nua di con­te­sta­zione e litigi». 

Se per il futuro segre­ta­rio del par­tito comu­ni­sta ita­liano che sarà fon­dato a Livorno tre anni dopo que­ste note, nel gen­naio del 1921 «lo sport suscita anche in poli­tica il con­cetto di ‘gioco leale’» secondo il diri­gente poli­tico sardo la cul­tura dello sco­pone è l’espressione più retriva della società: «Lo sco­pone è la forma di sport della società eco­no­mi­ca­mente arre­trata, poli­ti­ca­mente e spi­ri­tual­mente, dove la forma di con­vi­venza civile è carat­te­riz­zata dal con­fi­dente di poli­zia, dal que­stu­rino in bor­ghese, dalla let­tera ano­nima, dal culto dell’incompetenza, dal car­rie­ri­smo (con rela­tivi favori e gra­zie del deputato).Lo sco­pone pro­duce i signori che fanno met­tere alla porta dal prin­ci­pale l’operaio che nella libera discus­sione ha osato con­trad­dire il loro pensiero». 

L’interesse di Gram­sci verso il cal­cio non fu un fatto iso­lato, anche altri segre­tari del par­tito comu­ni­sta mani­fe­sta­rono, sep­pur segre­ta­mente, una vera e pro­pria pas­sione per il cal­cio che in più occa­sioni si tra­sformò in tifo per la Juven­tus. Dopo la Libe­ra­zione, Pal­miro Togliatti ogni lunedì chie­deva al vice­se­gre­ta­rio del Pci, Pie­tro Sec­chia, che cosa avesse fatto la Juve il giorno prima, e Sec­chia che si era for­mato alla fer­rea scuola del Pci e mai si era inte­res­sato di cal­cio, spiaz­zato dalla richie­sta del segre­ta­rio assu­meva un’espressione inter­ro­ga­tiva, in quel pre­ciso momento Pal­miro Togliatti gli diceva con aria bona­ria: «Vuoi fare la rivo­lu­zione senza sapere i risul­tati delle par­tite di cal­cio?». Anche Enrico Ber­lin­guer, pur avendo nel cuore il Cagliari, alle cui par­tite assi­steva quando andava in Sar­de­gna per impe­gni poli­tici, si tenne sul solco del tifo bian­co­nero, attri­buendo que­sta scelta, quasi scu­san­dosi, a un pec­cato di gio­ventù. Enrico Ber­lin­guer, con­fessò il suo tifo per la Juve a un sardo d’adozione, che rap­pre­sen­tava la punta di dia­mante del Cagliari e della nazio­nale di cal­cio, Gigi Riva, il quale anni dopo rivelò la pas­sione bian­co­nera del segre­ta­rio del Pci nel corso di una tra­smis­sione radiofonica.

3 commenti:

massimo ha detto...

Ma come fate a dirvi comunisti ed essere tifosi della squadra del padrone? Pare a me una contraddizione insanabile. A meno che non si tratti di una sorta di rivincita mondana e sicura nei confronti delle dure sconfitte della storia.

Anonimo ha detto...

Adesso forse sarebbe meglio tornare allo scopone...

granata docg&p ha detto...

Trattasi della famosa via giuventina al comunismo.