giovedì 2 aprile 2015

Mangiare da Dio. Il menu dell'Ultima cena nella storia della pittura

Lauretta Colonnelli: La tavola di Dio. L'Ultima cena. Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli e che cosa gli hanno fatto mangiare i pittori di tutti i tempi, Edizioni Clichy


Risvolto
In quale salsa Gesù intinse il boccone che offrì a Giuda? A che ora ebbe inizio l'ultima cena? Chi la cucinò? Pesce, agnello o maiale? Arrosto o bollito? Vino bianco o vino rosso? Quali inni cantarono Gesù e gli apostoli dopo aver mangiato? Seduti o sdraiati? Chi pagò il conto? Quante Ultime cene con gamberi ci sono nelle chiese del Trentino? Quante ciliegie dipinse il Ghirlandaio nei cenacoli fiorentini? È vero che Leonardo era vegetariano? E perché riempì di anguille i piatti del suo Cenacolo? Chi fu l'unico artista a raffigurare la Pasqua ebraica? Perché Giuda veste di giallo? E perché ha i capelli rossicci? Che cos'è il gomito rinascimentale? Da dove arrivarono i gatti che compaiono sotto la tavola dei cenacoli? Per quanti minuti deve riposare l'impasto degli azzimi? Perché i grilli sono puri? E perché le lumache no? Di quanto sono aumentate le porzioni della sacra cena negli ultimi mille anni? Chi ha dipinto la pagnotta più grande? Perché quasi tutti gli artisti hanno riempito di coltelli la mensa di Gesù? In quale Ultima cena appare il primo tovagliolo della storia dell'arte? 

Dove si fermano i Vangeli e i documenti storici, continuano gli artisti. Che hanno immaginato tutto ciò che mancava nel Cenacolo: pietanze (dalle ciliegie ai gamberi), tovaglioli e strani ospiti 

Luigi Mascheroni - il Giornale Gio, 02/04/2015

Leonardo, Ghirlandaio, Warhol Tutti i pennelli dell’Ultima CenaLauretta Colonnelli esplora le interpretazioni del dipinto per l’editore ClichyGiovedì 2 Aprile, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
La scena non è cambiata. Fissata lì da duemila anni. Gli stessi protagonisti, seduti al solito posto. Immobile negli spazi e nei tempi. L’Ultima Cena, come dire l’inizio di tutto. Proprio il racconto nei Vangeli di questo evento così normale, quotidiano, scontato è quello che ha scatenato l’estro, la creatività, la fantasia degli artisti di ogni tempo. Tutti a indagare volti e sguardi. A cercare di capire cosa si celasse dietro un gesto, una parola che affiora sulle labbra di chi sta a tavola. Quadri in movimento anche se sono fissati su una tela o dipinti su un muro. La tavola di Dio (edizioni Clichy, pp.240, e 15) della giornalista Lauretta Colonnelli, è un libro pieno di domande, «solo» di domande con tutte le risposte. Su cosa mangiarono Gesù e i suoi discepoli e i pittori di tutti i tempi hanno, invece, messo nei piatti. Un viaggio tra religione e gastronomia, psicologia e storia.
Con l’ Ultima Cena si sono cimentati i più grandi, da Giotto a Leonardo e fino a Warhol. «I pittori, per secoli, hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia» scriveva Marc Chagall. Ognuno con un’idea diversa in testa e pareva impossibile. Eppure bastava cambiare la prospettiva più che spostare i secoli. Attorno a quel tavolo ci siamo tutti noi. Con le nostre certezze e i dubbi che affiorano. Accanto agli amici di sempre e ai nemici che non ti aspettavi. Tutti abbiamo conosciuto Giovanni, discepolo prediletto e Giuda che intinge le dita nello stesso piatto e ci ha già tradito. C’è la luce che entra da una finestra e non è ancora sera, una sala al primo piano di una casa bianca in un posto luminoso davanti al Mediterraneo.
Quel sedersi a tavola a mangiare ha eroso anche il monopolio maschile nel mondo dell’arte. Suor Plautilla Nelli, considerata la prima donna pittrice della quale sono state tramandate opere autonome, dipinse un’Ultima Cena intorno al 1550. L’opera si trova ancora nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria Novella, a Firenze. E sono stati 375.665, nel 2014, i visitatori al refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano che ospita il Cenacolo di Leonardo.
Il libro di Lauretta Colonnelli soddisfa anche le curiosità di ha domande meno raffinate. Per esempio cosa mangia Gesù nell’ Ultima Cena ? «Erbe amare, pane azzimo, la salsa charoset, agnello arrostito» e beve vino. Ma scopriamo che già allora si conosceva la mostarda e il nome deriva dal latino mustum ardens che significa mosto piccante. Sappiamo che, nonostante la stagione, nella notte che seguì l’Ultima Cena faceva freddo. Come ci si lavava prima di sedersi a tavola? C’era il sapone? A quale ora bisognava presentarsi? Le usanze variano da luogo a luogo. C’era il bon ton degli ebrei e quello dei romani.
I quadri del Cenacolo sono figli dei tempi. I pittori rinascimentali dipingono nelle mani dei commensali tovaglioli con «piegature spettacolari». Si perde l’essenza vera di quel pasto che fu all’insegna della sobrietà, dove il vero ospite che stava un po’ in disparte era il proprio il cibo e quello che ruotava intorno ai piatti. Interessante anche capire il significato dei colori. Perché Giuda era vestito di giallo? «Perché nel Medioevo il giallo era simbolo della follia, dello zolfo infernale, della menzogna, del tradimento, della falsità». E rosso, invece, era il vino. Nell’antica Palestina ne esistevano più di sessanta tipi. Sa di miele, ginepro, mirto, cedro resina e cannella.
Ci sono pittori che sulla tovaglia dell’Ultima Cena hanno disegnato meloni e ciliegie. Domenico Ghirlandaio ne dipinse addirittura sessantuno una volta e un’altra trentasette. Jacopo Bassano si limitò a cinque: 61, 5, 37 hanno in comune il fatto di essere tutti numeri primi. E da qui si potrebbero dare spiegazioni che non avrebbero mai fine.
Interessante anche l’interpretazione dei gesti. L’ Ultima Cena è un tutto meno che un quadro. Nel senso che si «muove», «parla» come in un’opera cinematografica. Ognuno può immaginare i dialoghi, addirittura i pensieri dietro quei volti pensierosi o tristi. Resi allegri dal vino e preoccupati da ciò che succederà di lì a poco.  

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