giovedì 23 aprile 2015

Per Gramsci



Gramsci ridotto a cantore idealista 
Saggi. «Antonio Gramsci» di Diego Fusaro per Feltrinelli. Un pamphlet a tratti contraddittorio e confuso dove, in nome di Giovanni Gentile, l’autore dei «Quaderni» è presentato come un idealista buono per tutti gli usi

Guido Liguori, il Manifesto 23.4.2015 

È strano con­sta­tare come alcune leg­gende siano a volte dure a morire, anche nel campo della sto­ria delle idee e del pen­siero poli­tico. È il caso della leg­genda di Gram­sci «gen­ti­liano di sini­stra», ad esem­pio, negli anni Set­tanta soste­nuta dal filo­sofo cattolico-tradizionalista Augu­sto Del Noce nell’ambito di un libro allora abba­stanza noto, inti­to­lato Il sui­ci­dio della rivo­lu­zione. La tesi si rife­ri­sce non solo e non tanto al periodo della for­ma­zione del pen­sa­tore comu­ni­sta – quando tra gli autori che con­du­ce­vano la loro bat­ta­glia di rea­zione al posi­ti­vi­smo, e dun­que al mar­xi­smo deter­mi­ni­sta e fata­li­sta, bat­ta­glia nel cui ambito Gram­sci si formò, vi fu senza dub­bio anche Gio­vanni Gen­tile (insieme a Croce, a Berg­son, ai prag­ma­ti­sti sta­tu­ni­tensi e a molti altri). Per Del Noce era pro­prio il noc­ciolo duro del pen­siero maturo gram­sciano, la filo­so­fia della pra­xis ela­bo­rata e pro­po­sta nei Qua­derni del car­cere, a essere solo una variante del sog­get­ti­vi­smo che Gen­tile aveva sco­perto nelle mar­xiane Tesi su Feuer­bach. Que­sta let­tura, sep­pure decli­nata e riven­di­cata in senso «rivo­lu­zio­na­rio», è ora ripresa da Diego Fusaro in un libro (Anto­nio Gramsci, Fel­tri­nelli, pp. 174, euro 14) che ha l’ambizione di pro­porre alle odierne forze anti­ca­pi­ta­li­sti­che la strada di un pos­si­bile «ripar­tire da Gramsci». 

L’atto puro e l’azione
Gen­tile e Gram­sci ven­gono dipinti da Fusaro come «eroi ita­liani, mae­stri della coe­renza e della filo­so­fia come pen­siero vis­suto». Sul piano filo­so­fico, l’operazione del libro – anche mediante un uso com­pul­sivo (ecces­sivo, con­fuso, a volte con­trad­dit­to­rio) dei rimandi alla biblio­gra­fia secon­da­ria e con richiami spesso super­flui a vari espo­nenti della tra­di­zione filo­so­fica, sparsi nei secoli – è quella di dipin­gere un Gram­sci che pro­spetta «una let­tura quin­tes­sen­zial­mente idea­li­stica» di Marx. Come quest’ultimo mai si sarebbe libe­rato della sua for­ma­zione idea­li­stica, così Gram­sci mai si sarebbe libe­rato dell’attualismo gen­ti­liano: egli resta per l’autore sta­bil­mente sul ter­reno attua­li­stico, sarebbe anzi mar­xi­sta pro­prio in quanto attua­li­sta, poi­ché «l’attualismo incor­pora esso stesso il codice mar­xiano, e dun­que non deve essere inteso come oppo­sto a Marx, ma, al con­tra­rio, come da lui deri­vato». Per cui Gram­sci è «allievo di Marx pro­prio per­ché allievo di Gen­tile e ritra­duce nel les­sico mar­xi­sta «i fon­da­menti della dia­let­tica attua­li­stica».
Non serve, per Fusaro, che Gram­sci nei Qua­derni abbia espli­ci­ta­mente richia­mato, come ante­ce­dente della sua inter­pre­ta­zione del Marx delle Tesi su Feuer­bach Anto­nio Labriola e la sua tesi della alte­rità del mar­xi­smo rispetto a ogni altra filo­so­fia; né che Gram­sci abbia evi­den­ziato tutta la dif­fe­renza che corre tra la sua pra­xis e l’atto puro di Gen­tile. Una pre­sunta «let­tura sin­to­male» (povero Althus­ser!) serve all’autore per affer­mare che tutto ciò che Gram­sci scrive con­tro Gen­tile è solo una excu­sa­tio non petita, un ten­ta­tivo mal­de­stro e super­fi­ciale per scrol­larsi di dosso il suo attua­li­smo, che sarebbe però così intimo, così intro­iet­tato, da ren­dere ogni ten­ta­tivo del genere inu­tile. Si cerca così di accan­to­nare le pagine dei Qua­derni in cui Gram­sci pro­nun­cia sul filo­sofo dell’attualismo giu­dizi molto netti: il suo pen­siero, vi si legge ad esem­pio, è una «camuf­fa­tura sofi­stica della “filo­so­fia poli­tica” più nota col nome di oppor­tu­ni­smo ed empi­ri­smo». E Gram­sci marca una pre­cisa distanza tra la pro­pria filo­so­fia della pra­xis e l’attualismo, affer­mando che la prima è «filo­so­fia dell’atto (prassi, svol­gi­mento) ma non dell’atto “puro”, bensì pro­prio dell’atto “impuro”, reale nel senso più pro­fano e mon­dano della parola». Per non par­lare dei richiami gram­sciani all’immanenza labrio­lana e di Machia­velli, o la nota que­stione della tra­du­ci­bi­lità: tutti motivi e aspetti della filo­so­fia della pra­xis gram­sciana che con­fer­mano la non ridu­ci­bi­lità del Gram­sci dei Qua­derni a Gen­tile e al suo attualismo. 
Spo­sata la tesi di Gram­sci gen­ti­liano inte­grale, Fusaro arriva di con­se­guenza a imma­gi­nare la «rivo­lu­zione» pro­spet­tata dal comu­ni­sta sardo come essen­zial­mente «cul­tu­rale», con la con­se­guenza che la classe «domi­nata» dovrebbe essere «gui­data dagli intel­let­tuali». Il com­plesso ordito dei Qua­derni, l’importanza della crea­zione di un nuovo ceto di intel­let­tuali orga­nici pro­ve­niente dalla classe dei pro­dut­tori e in grado di favo­rire una vera «riforma intel­let­tuale di massa», va così del tutto perso, viene sem­pli­fi­cato, vol­ga­riz­zato, tra­dotto in for­mule di cui Gram­sci (il Gram­sci reale, non quello imma­gi­na­rio di Fusaro) avrebbe orrore. 
Del resto, la tesi dell’asse Gentile-Gramsci è per Fusaro del tutto fun­zio­nale alla sua visione poli­tica. Gram­sci avrebbe rimesso in auge «la lotta nazio­nale con­tro l’internazionalismo della glo­ba­liz­za­zione dei mer­cati e della finanza». Le note pagine gram­sciane che – fin dagli anni gio­va­nili, e poi nei Qua­derni – affer­mano la neces­sità di una lotta che, avendo come fine l’internazionalismo, parta dalla con­creta rico­gni­zione del ter­reno nazio­nale (un inse­gna­mento emi­nen­te­mente leni­ni­sta, tra l’altro, con­dotto a più riprese anche in pole­mica con Rosa Luxem­burg, un’«aquila» non esente da astrat­tezza) viene incre­di­bil­mente tra­dotta in una sorta di nazio­na­li­smo politico-economico, la via che l’autore evi­den­te­mente indi­vi­dua come la strada per opporsi alla glo­ba­liz­za­zione capitalistica. 

Derive ros­so­brune 
Fusaro del resto, è noto, è fau­tore della caduta di ogni bar­riera tra comu­ni­sti e fasci­sti in nome della comune lotta al sistema capi­ta­li­stico. E anche in que­sto libro ripete la solita lita­nia, soste­nendo come la vec­chia dico­to­mia destra-sinistra debba essere sosti­tuita da una nuova oppo­si­zione, quella tra capi­ta­li­smo e anti­ca­pi­ta­li­smo, senza limiti e stec­cati. Sono opi­nioni che hanno avuto a più riprese qual­che seguito. Ma che nelle file di que­sto par­tito «ros­so­bruno» si possa e si voglia iscri­vere anche Anto­nio Gram­sci – morto tra l’altro a causa della pri­gio­nia in un car­cere fasci­sta – è cosa che desta, più che perples­sità, disgusto.

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