venerdì 1 maggio 2015

Il ritorno dei bisogni primari dopo la sconfitta delle classi subalterne europee

Il lavoro non bastaChiara Saraceno: Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi, Feltrinelli

Risvolto
La povertà è tornata a essere visibile in Europa, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone. Con la crisi e la conseguente crescita della disoccupazione, aumentano sia gli individui (e le famiglie) poveri di lavoro sia i lavoratori (e le famiglie) poveri.


Chiara Saraceno e la fine della società salariale 

Giuseppe Allegri, il Manifesto 30.4.2015 

È un volume essen­ziale per que­sti tempi e pro­vo­ca­to­rio sin dal titolo quello di Chiara Sara­ceno: Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi (Fel­tri­nelli , pp. 137, 15 euro).
Essen­ziale, per­ché indaga la recru­de­scenza delle con­di­zioni di povertà nel vec­chio c onti­nente, con la pre­ci­sione chi­rur­gica dei dati e con la forza argo­men­ta­trice dell’analisi sociale, ben pian­tata nelle forme di vita contemporanee. 
Pro­vo­ca­to­rio, per­ché si oppone con deter­mi­na­zione a quelle poli­ti­che pub­bli­che pre­do­mi­nanti che ridu­cono il Wel­fare a un Work­fare oppres­sivo e ves­sa­to­rio nei con­fronti di una società, ita­liana ed euro­pea, sem­pre più attra­ver­sata dall’aumentata per­ce­zione indi­vi­duale e col­let­tiva di insi­cu­rezza eco­no­mica e per­ciò impaurita. 
Del resto Chiara Sara­ceno, già docente di socio­lo­gia della fami­glia e tra i mag­giori rap­pre­sen­tanti delle scienze sociali ita­liane, inter­roga da tempo le tra­sfor­ma­zioni dei sistemi di wel­fare state, nei rap­porti tra le gene­ra­zioni, con par­ti­co­lare atten­zione alla «que­stione fem­mi­nile» e al ruolo della fami­glia, in dia­logo e con­fronto con i migliori stu­diosi inter­na­zio­nali, riu­scendo a coniu­gare l’alto appro­fon­di­mento scien­ti­fico con una grande capa­cità divul­ga­tiva e di inter­vento pub­blico, sia nell’informazione radio-televisiva, che come edi­to­ria­li­sta su «La Repub­blica», oltre che con inter­vi­ste spesso apparse anche sulle colonne di que­sto gior­nale.
In que­sto libro Sara­ceno parte dal ritorno «dell’emergenza povertà nel cuore dei paesi ric­chi» al tempo della «Grande Reces­sione» e crisi glo­bale, al punto che nel 2012 Euro­stat ripor­tava che «circa cen­to­ven­ti­quat­tro milioni di per­sone — il 24,8% dei ven­totto paesi Ue — erano a rischio di povertà o di esclu­sione sociale». Men­tre nel 2008, solo quat­tro anni prima, quella cifra era del 17%, secondo i dati della stessa Com­mis­sione euro­pea. Ma la pro­spet­tiva è molto più ampia e per­mette di rin­trac­ciare la «crisi della società sala­riale» nar­rata da Robert Castel nel 1995 affon­dando nei grandi muta­menti geo­po­li­tici degli anni Set­tanta e seguenti, fino a ricor­dare «la fil­mo­gra­fia degli anni Novanta», che mette al cen­tro della sua rap­pre­sen­ta­zione il ritorno della povertà e del rischio di vul­ne­ra­bi­lità sociale nei paesi del «capi­ta­li­smo demo­cra­tico»: Kean Loach in Inghil­terra, Michael Moore negli Usa, i fra­telli Dar­denne in Bel­gio. È la nar­ra­zione in con­tro­luce dell’ultimo qua­ran­ten­nio neo­li­be­ri­sta del tur­bo­ca­pi­ta­li­smo finan­zia­rio che si affac­cia con­ti­nua­mente tra le pagine gene­rose di sta­ti­sti­che e tabelle distri­buite nei cin­que capi­toli in cui è sud­di­viso il libro. 
Chiara Sara­ceno pog­gia infatti la sua rico­stru­zione su una note­vole mole di dati e studi che evi­den­ziano l’aumento della povertà ali­men­tare e abi­ta­tiva negli Usa e in Europa, il rischio di vul­ne­ra­bi­lità ed esclu­sione sociale al quale pos­sono incor­rere le fami­glie mono­red­di­tuali rispetto a spese impre­vi­ste, l’incertezza eco­no­mica per minori e adulti, in seguito alla cre­scente insta­bi­lità coniu­gale, le con­di­zioni di mar­gi­na­lità in cui vive parte della forza lavoro migrante, l’insicurezza esi­sten­ziale cui sono ridotti gio­vani senza lavoro, stu­dio o for­ma­zione (Neet gene­ra­tion). Per tutte que­ste «nuove» povertà, che rischiano di met­tere in crisi anche quel che rimane del ceto medio, la solu­zione non passa attra­verso l’artificiosa e fati­cosa crea­zione di posti di lavoro. «Pen­sare che l’aumento dell’occupazione generi auto­ma­ti­ca­mente una ridu­zione della povertà può, infatti, essere un’illusione, se non si con­si­dera atten­ta­mente di che tipo di occu­pa­zione si tratta e chi è più pro­ba­bile che bene­fici dell’aumento della domanda di lavoro». Dinanzi all’incidenza della povertà nono­stante il lavoro, dei lavo­ra­tori poveri (wor­king poors) e del ricatto del lavoro gra­tuito, il dogma «lavo­ri­sta» delle recenti riforme sociali, ita­liane e non solo, diviene parte del pro­blema e non la solu­zione.
Ma la situa­zione in Ita­lia è ancora più dram­ma­tica, poi­ché si assi­ste a una scarsa effi­cienza delle poli­ti­che pub­bli­che il cui orien­ta­mento «uni­ca­mente lavo­ri­stico» è stato da ultimo con­fer­mato dal tar­get dello sconto fiscale di ottanta euro men­sili, «i lavo­ra­tori dipen­denti a sala­rio mode­sto», che è andato «a soste­nere anche i red­diti di fami­glie dei decili più ricchi». 
Per inver­tire que­sta decen­nale ten­denza occorre pre­ve­dere «forme di inte­gra­zione eco­no­mica per chi ha un red­dito insuf­fi­ciente». Così Chiara Sara­ceno evoca il ten­ta­tivo di intro­durre un soste­gno di inclu­sione attiva (Sia) pro­mosso dal mini­stro Gio­van­nini del governo Letta e la fal­li­men­tare espe­rienza della Social card. Ma pro­prio in que­sti mesi sono state incar­di­nate nel pro­ce­di­mento par­la­men­tare le ini­zia­tive legi­sla­tive di Sel e M5S per il red­dito minimo garan­tito e red­dito di cit­ta­di­nanza, che la stessa Sara­ceno ricorda deb­bano pre­ve­dere forme uni­ver­sali di soste­gno al red­dito, per­ché «in attesa che le poli­ti­che del lavoro diano i pro­pri frutti spe­ra­bil­mente posi­tivi sia sul piano dell’occupazione sia su quello del red­dito da lavoro — cosa che non sem­bra essere die­tro l’angolo — un paese civile e non (ancora) povero dovrebbe affron­tare la que­stione del diritto alla sus­si­stenza dei suoi cit­ta­dini e di tutti coloro che vi risie­dono legal­mente». È il diritto a un’esistenza libera e digni­tosa, che passa per un wel­fare state uni­ver­sa­li­stico fon­dato sul red­dito minimo garantito.

Nessun commento: