lunedì 4 maggio 2015

Ripubblicata la Teoria critica di Max Horkheimer: il commento di Stefano Petrucciani


Max Hor­khei­mer: Teo­ria cri­tica, trad. Backhaus, 2 voll., Mimesis

Risvolto

Questo volume presenta i saggi pubblicati da Horkheimer negli anni trenta e quaranta per la celebre "Zeitschrift für Sozialforschung", la rivista attorno a cui si forma il gruppo di intellettuali, che negli anni dell'esilio dalla Germania dà l'avvio alla cosiddetta "Scuola di Francoforte". La teoria critica è qui fondamentalmente critica dell'ideologia, e i saggi di Horkheimer si presentano come una serrata indagine intorno alle più importanti teorie filosofiche della prima metà del Novecento.


Un circuito virtuoso tra pulsioni e marxismo 
Scuola di Francoforte. Occultati nel ventennio postbellico per opportunismo politico e teorico, questi saggi miravano a introdurre nell’orizzonte filosofico del marxismo altre discipline, e soprattutto la lezione di Freud, per potenziare la capacità di lettura critica del presente

Stefano Petrucciani, il Manifesto 12.4.2015 
La vicenda edi­to­riale dei saggi di Hor­khei­mer tito­lati, in due volumi, Teo­ria cri­tica è sin­go­lare: scritti tra il 1932 e il 1941 e pub­bli­cati sulla rivi­sta dell’Istituto fran­co­for­tese per la Ricerca Sociale, con­ten­gono una delle pie­tre miliari del pen­siero della Scuola di Fran­co­forte. Vi si trova, tutto squa­der­nato, il pen­siero della prima fase della teo­ria cri­tica, che si con­cluse con la guerra mon­diale, quando la visione dei fran­co­for­tesi subì una radi­ca­liz­za­zione e un appro­fon­di­mento il cui pro­dotto venne rac­colto nella Dia­let­tica dell’illuminismo di Hor­khei­mer e Adorno, datata 1947. 
Inten­zio­nal­mente dimen­ti­cati nel ven­ten­nio post­bel­lico, que­sti saggi si dovrebbe piut­to­sto dire che furono nasco­sti e occul­tati. Come ha rac­con­tato Haber­mas molti anni dopo, nel periodo post­bel­lico dell’Istituto fran­co­for­tese (una fase carat­te­riz­zata, non va dimen­ti­cato, dalla guerra fredda e da un pos­sente anti­co­mu­ni­smo in Ger­ma­nia occi­den­tale), le annate d’anteguerra della Rivi­sta per la Ricerca sociale (Zei­tschrift für Sozial­for­schung), con­te­nenti i saggi hor­khei­me­riani, erano rele­gate in una cassa custo­dita nelle can­tine dell’Istituto, alla quale era scon­si­gliato avvi­ci­narsi, quasi fosse mate­riale radioat­tivo. Hor­khei­mer non gra­diva che si leg­ges­sero i testi che con­te­ne­vano il suo con­tri­buto al mar­xi­smo cri­tico, sia per ragioni di oppor­tu­nità (non voleva che la sua isti­tu­zione appa­risse troppo poli­ti­ciz­zata e «comu­ni­sta») sia per motivi teo­rici: aveva infatti com­piuto un per­corso che (appro­dato a una sorta di «teo­lo­gia nega­tiva») lo aveva por­tato molto lon­tano dalle sue tesi degli anni trenta. 
Verso la fine dei ses­santa, però, il movi­mento degli stu­denti – fame­lico di mar­xi­smi ete­ro­dossi – comin­ciò a risco­prire i tesori nasco­sti della teo­ria cri­tica: la Dia­let­tica dell’Illuminismo, anch’essa fino a quel momento dimen­ti­cata, e i saggi di Hor­khei­mer. E così, dato che que­sti testi comin­cia­vano anche a cir­co­lare in edi­zioni pirata, il filo­sofo tede­sco si decise nel 1968 ad accon­ten­tare il suo edi­tore Fischer e a far ristam­pare quei mate­riali, spe­ci­fi­cando nel sot­to­ti­tolo che si trat­tava di «una docu­men­ta­zione». Ovvero di un docu­mento d’epoca, rispetto al quale andava evi­tata ogni inde­bita attua­liz­za­zione. Ma la docu­men­ta­zione era anche un po’ par­ziale; man­ca­vano infatti pro­prio i testi più poli­tici, estremi e radi­cali degli anni 1939–1942 – Gli Ebrei e l’Europa, Lo Stato auto­ri­ta­rio, Ragione e auto­con­ser­va­zione – rispetto ai quali le resi­stenze di Hor­khei­mer alla rie­di­zione erano ancora più forti. Comun­que, i due volumi di Teo­ria cri­tica usci­rono in Ger­ma­nia e furono tra­dotti anche in ita­liano dalla Einaudi, nel 1974; oggi tor­nano dispo­ni­bili gra­zie a una corag­giosa ini­zia­tiva edi­to­riale presso Mime­sis (nella col­lana «Teo­ria cri­tica» diretta da Lucio Cor­tella, pp. LV-690, euro 38,00) con una pene­trante intro­du­zione di Ales­san­dro Bel­lan, vali­dis­simo stu­dioso della teo­ria cri­tica e del pen­siero dia­let­tico, il cui lavoro esce postumo: l’autore è infatti scom­parso pre­ma­tu­ra­mente nel set­tem­bre del 2014, a soli qua­ran­totto anni. 
Quanto ha potuto scri­vere testi­mo­nia assai bene la sua pas­sione intel­let­tuale per il pen­siero cri­tico, e soprat­tutto per i fran­co­for­tesi della prima gene­ra­zione, latori di un mes­sag­gio di radi­ca­lità che non si trova più, dice Bel­lan, negli svi­luppi ulte­riori di cui Haber­mas è l’esponente più significativo. 
A chi abbia la pazienza di seguirne l’itinerario, que­sti scritti di Hor­khei­mer con­sen­tono di riper­cor­rere la for­ma­zione della ori­gi­nale pro­spet­tiva della Scuola di Fran­co­forte, di cui Hor­khei­mer è stato il lea­der indi­scusso. Molto chiaro, l’intento che per­se­gue non ha eguali nel pano­rama del mar­xi­smo tra le due guerre: l’obiettivo è quello di riat­ti­vare il poten­ziale cono­sci­tivo rac­chiuso nel pen­siero di Marx attuando una decisa svolta teo­rica. Si tratta, dun­que, di ride­cli­nare il mar­xi­smo come ricerca sociale inter­di­sci­pli­nare, capace di inter­lo­quire alla pari con i saperi più avan­zati del Nove­cento. In que­sta pro­spet­tiva Hor­khei­mer trac­cia il qua­dro nel quale si dovrà inse­rire il lavoro dei suoi molti col­la­bo­ra­tori: Frie­drich Pol­lock si occu­perà delle tra­sfor­ma­zioni degli assetti eco­no­mici; Leo Lowen­thal svi­lup­perà una cri­tica sociale della let­te­ra­tura; Adorno, non ancora cen­trale nell’organigramma dell’Istituto, trac­cerà le linee di una socio­lo­gia della musica; Mar­cuse sup­por­terà Hor­khei­mer sul ter­reno più squi­si­ta­mente filo­so­fico. Un ruolo di pri­mis­simo piano è svolto da Erich Fromm (lo psi­coa­na­li­sta freu­diano che poi si allon­ta­nerà pro­gres­si­va­mente dalla Scuola) poi­ché tra le con­vin­zioni più radi­cate di Hor­khei­mer c’era quella che non si potes­sero com­pren­dere le dina­mi­che e le pul­sioni delle masse nove­cen­te­sche senza dotarsi di una nuova psi­co­lo­gia sociale mate­ria­li­stica, svi­lup­pata attra­verso una appro­pria­zione cri­tica del pen­siero di Freud. 
L’indagine psi­co­lo­gica, molto pre­sente nei saggi hor­khei­me­riani, costi­tui­sce un anello essen­ziale per rispon­dere alla domanda di fondo che anima tutta la ricerca della Scuola di Fran­co­forte: come è stato pos­si­bile che grandi masse, com­pren­denti ampi set­tori della popo­la­zione lavo­ra­trice, anzi­ché soste­nere le forze poli­ti­che che appog­gia­vano i loro inte­ressi e la loro eman­ci­pa­zione, abbiano ceduto alle sedu­zioni della pro­pa­ganda tota­li­ta­ria, con­sen­tendo la vit­to­ria del regime nazi­sta e degli altri tota­li­ta­ri­smi euro­pei? Le pul­sioni auto­ri­ta­rie, il culto del capo, la dispo­ni­bi­lità a per­se­gui­tare i deboli e i diversi, insomma tutti que­gli ele­menti su cui i fasci­smi hanno fatto leva, devono essere inda­gati e com­presi con stru­menti che non appar­ten­gono all’originaria cas­setta degli attrezzi mar­xi­sta. Biso­gna met­tere al lavoro la teo­ria freu­diana delle pul­sioni e le deci­sive intui­zioni sulla psi­co­lo­gia delle masse ela­bo­rate dal fon­da­tore della psicoanalisi. 
Ma anche l’orizzonte filo­so­fico ere­di­tato dal mar­xi­smo va ripen­sato e rimesso in movi­mento. Una delle mosse deci­sive, da que­sto punto di vista, è la geniale inven­zione di una nuova eti­chetta. Men­tre il nostro Gram­sci, scri­vendo in car­cere negli stessi anni, e affron­tando pro­blemi simili, ride­fi­ni­sce il mar­xi­smo come «filo­so­fia della prassi», Hor­khei­mer lo rein­qua­dra sotto la parola d’ordine «teo­ria cri­tica». Cer­ta­mente, come nota Bel­lan nell’introduzione, que­sta scelta ter­mi­no­lo­gica risponde anche a moti­va­zioni «poli­ti­che» di pru­denza tat­tica: l’approdo dei fran­co­for­tesi, nella seconda metà degli anni trenta, sono gli Stati Uniti; e sarebbe stato cer­ta­mente molto dif­fi­cile che la Colum­bia Uni­ver­sity (dove l’Istituto si col­locò) ospi­tasse un gruppo di ricerca espli­ci­ta­mente qua­li­fi­can­tesi come marxista. 
Nella geniale scelta di Hor­khei­mer, però, c’è anche molto di più: ripen­sare il mar­xi­smo come «teo­ria cri­tica» signi­fica, per dirla in poche parole, rimet­terlo sul bina­rio giu­sto: rom­pere con i dog­ma­ti­smi e le orto­dos­sie che con­di­zio­na­vano in modo nefa­sto il mar­xi­smo tra le due guerre e mostrare che ciò che di esso era vera­mente irri­nun­cia­bile stava nella capa­cità di let­tura cri­tica del pre­sente: que­sta è la fon­da­men­tale indi­ca­zione che pro­viene da Hor­khei­mer, e que­sta è anche la ragione, credo, per la quale, a molti decenni di distanza, la parola d’ordine «teo­ria cri­tica» (soprat­tutto nell’universo anglo­fono, come cri­ti­cal theory) fun­ziona ancora quale cata­liz­za­tore di molte e vivaci ener­gie intellettuali.

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