venerdì 25 settembre 2015

Cristianesimo, Islam e destino dell'Europa per Rémi Brague

Rémi Brague: Dove va la storia? Dilemmi e speranze, La Scuola, pp. 140, euro 9,50

Risvolto
La nostra epoca sembra caratterizzata da un senso di stanchezza e di scetticismo nei confronti della storia umana: anche il tentativo di rintracciare in essa dei barlumi di senso o dei motivi di speranza è considerato ingenuo. In questo libro in forma di intervista uno dei maggiori pensatori viventi, Rémi Brague, riflette criticamente su tale atteggiamento, contestando molti stereotipi circa il rapporto di noi «postmoderni» con le nostre radici. Le considerazioni di ordine filosofico si intrecciano con questioni assai concrete, di drammatica attualità: per esempio, con quelle riguardanti la convivenza tra le grandi religioni, la possibilità di un dialogo con l’islam, la "vocazione" dell’Europa, il futuro delle biotecnologie e la tentazione – serpeggiante nella cultura del nostro tempo – di «farla finita con l’uomo», in nome di un mortifero ideale di perfezione.

Rémi Brague Avvenire 27 marzo 2015

Dialogo con l’islam? Sforzo impossibile da dodici secoli 
16 set 2015  Libero MARCORESPINTI 
Il primo motivo per cui l’Occidente non riuscirà mai a parlare con l’islam è che manca una lingua comune. Una lingua culturale e intellettuale importante, per esempio la filosofia. Quando Benedetto XVI osò dirlo il 12 settembre 2006 a Ratisbona si aprì il cielo, ma la stessa cosa la dice oggi uno degli intellettuali più raffinati e disincantati che abbiamo. Rémi Brague, classe 1947, professore emerito di Filosofia medioevale e araba all’Università Parigi 1 Panthéon-Sorbona, dove dirige il centro di ricerca «Tradizione del pensiero classico», ha pubblicato libri decisivi. L’ultimo è un libro-intervista curato da Giulio Brotti, Dove va la storia? Dilemmi e speranze (La Scuola, pp. 140, euro 9,50). 
Dice Brague che «la teologia islamica si è costituita in polemica contro il cristianesimo». Per l’islam il Corano è la rivelazione diretta di Dio e quindi su quella parola divina increata non si può né ragionare né dire alcunché; ci si può solo sottomettere. La teologia islamica è tutta qui: sottomissione incondizionata dell’uomo a Dio. Per la filosofia intesa come discorso razionale sulle cause prime e ultime del reale, e quindi debordante nella teologia classica intesa come discorso razionale sul divino, non vi alcun posto. Di che parliamo dunque con l’islam? 
È vero, vi fu un tempo in cui un angoletto alla filosofia fu ritagliato anche nel mondo musulmano, ma fu un’altra singola rondine che non fece primavera. «La filosofia araba», infatti, che «assume una certa neutralità in materia di religione», prese ad affermare «l’esistenza di un Principio unico, ispirato alla concezione neoplatonica dell’Uno», ma «non è sopravvissuta alla modernità». Chi l'ha schiacciata è stata proprio la teologia coranica, quella che domina il vasto oceano dell’islam contemporaneo. Perché chi obbietta «filosoficamente» ha le ore contate. Del resto, il grande protagonista di quella fugace stagione di una filosofia arabo-islamica autonoma fu al Farabi (870-950), originario dell’odierno Turkestan. Tentò una sintesi fra aristotelismo e platonismo, e lo fece in quanto «era stato allievo di cristiani» e a sua volta (a riprova delle illuminanti pagine con cui Rodney Stark dimostra che tutto ciò che di buono c’è nel mondo arabo-islamico è dovuto alla sopravvivenza o all’arabizzazione di sostrati e di personaggi cristiani, ebraici e pagani) «ebbe come discepolo Yahyá ibn 'Adi (+ 974), filosofo e teologo della Chiesa siriaca giacobita». 
Certo, qualcuno c’è che abbia sostenuto che il Corano sia solo un prodotto umano. Furono i mutaziliti, il cui prestigio fiorì a tal punto da divenire, per un periodo, la dottrina di Stato del califfato abbaside; ma, caduti progressivamente in disgrazia dopo il secolo X, furono considerati solo degli eretici. «I modernisti vorrebbero riportare in vita la soluzione mutazilita», riflette Brague. «Io auguro loro buona fortuna, ma non dimentichiamo che sono trascorsi dodici secoli da quando quella scuola è stata eliminata. L’islam contemporaneo è tanto lontano da essa quanto noi lo siamo da Carlo Magno, e non ci si sbarazza tanto facilmente di abitudini di pensiero così inveterate». Quale dialogo, insomma? Siamo e restiamo distanti come la Terra dalla Luna. E prima lo capiremo, meglio sarà per tutti.

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