venerdì 25 settembre 2015

Estetica evoluzionistica

A cosa serve l'arte? L'estetica dopo DarwinWinfried Menninghaus: A cosa serve l’arte? L’estetica dopo Darwin, Fiorini

Risvolto
Perché la femmina del pavone sceglie il suo partner in base alla bellezza della sua ruota? Perché noi umani ci trucchiamo o ci tatuiamo? Perché possiamo considerare bello sia (il corpo di) un nostro simile, sia un paesaggio, un film, un testo o addirittura una casa o una macchina? In che modo la musica suscita le nostre emozioni? Qual è la funzione biologica del senso estetico umano? A queste e a simili domande affascinanti si cerca una risposta in "Wozu Kunst? Ästhetik nach Darwin" pubblicato dalla casa editrice Suhrkamp nel 2011 e che qui presentiamo nella traduzione italiana. Questo studio costituisce l'apice della riflessione di Winfried Menninghaus sul senso estetico dell'uomo nell'ottica dell'estetica evoluzionistica e conclude un percorso iniziato molti anni fa con la pubblicazione di "La promessa della bellezza" (2003; edizione italiana, 2013). L'approccio di Menninghaus presenta una ricchezza e una densità inusuali nel panorama dell'estetica evoluzionistica. 
Oltre l’opprimente varietà della vita 
Paolo Lago Manifesto 1.9.2015, 21:09 

Nella defi­ni­zione di «arte» pos­siamo inclu­dere non solo quella con la «A» maiu­scola, ma anche tutte le pra­ti­che este­ti­che quo­ti­diane a cui ci dedi­chiamo giorno per giorno, come la ricerca della bel­lezza nell’abbigliamento o nelle abi­tu­dini com­por­ta­men­tali. Su tali pra­ti­che este­ti­che, dall’ottica dell’estetica evo­lu­zio­ni­stica, si inter­roga un recente stu­dio di Win­fried Men­nin­ghaus, A cosa serve l’arte? L’estetica dopo Dar­win, adesso tra­dotto accu­ra­ta­mente da Mas­simo Sal­garo, il quale firma anche una post­fa­zione dedi­cata a un’inedita let­tura dell’opera di Musil (Edi­zioni Fio­rini, pp. 349, euro 24). L’estetica evo­lu­zio­ni­stica, la disci­plina che stu­dia la nascita, lo svi­luppo e la fun­zione delle forme arti­sti­che da un’ottica dar­wi­niana, secondo le stesse parole di Men­nin­ghaus, «ha il fascino di un outsi­der che incon­tra scet­ti­ci­smo sia nelle scienze dell’arte e nell’estetica filo­so­fica che nella psi­co­lo­gia acca­de­mica e nella biologia». 
Men­nin­ghaus, come nota il cura­tore, si dif­fe­ren­zia dagli altri stu­diosi di que­sta disci­plina innan­zi­tutto per una let­tura più accu­rata e diretta dell’opera di Dar­win, poi per il ten­ta­tivo di allac­ciare l’estetica evo­lu­zio­ni­stica all’estetica filo­so­fica, soprat­tutto a quella kan­tiana. Il nuovo sag­gio dello stu­dioso tede­sco nasce da un pro­getto di ricerca svol­tosi alla Freie Uni­ver­si­tät di Ber­lino fra il 2007 e il 2012 che ha riu­nito stu­diosi di diverse disci­pline. Infatti, come nota Sal­garo nella post­fa­zione, l’estetica evo­lu­zio­ni­stica «non può che essere pra­ti­cata come pro­getto inte­ra­mente inter­di­sci­pli­nare, poi­ché ha l’onere di dimo­strare che il nostro senso este­tico è frutto di adat­ta­menti biologici». 
Come afferma l’autore nell’Introduzione, il suo nuovo sag­gio intende foca­liz­zarsi soprat­tutto sulle dif­fe­renze fra le arti non-umane e quelle umane, andando a col­mare un’indagine lasciata alquanto «opaca e incom­piuta» dallo stesso Dar­win. In base a quali adat­ta­menti umani – si chiede Men­nin­ghaus – soprat­tutto le arti canore, della danza e della pre­sen­ta­zione del piu­mag­gio degli uccelli hanno potuto tro­vare dei cor­ri­spet­tivi nell’uomo, con carat­te­ri­sti­che distin­tive? L’elaborazione este­tica, negli ani­mali, secondo Dar­win, assume una forma di auto­ce­le­bra­zione che serve pri­ma­ria­mente al cor­teg­gia­mento dell’altro sesso; negli uomini, i mec­ca­ni­smi di sele­zione ses­suale basati sulla bel­lezza si uni­scono ad altri fat­tori, come la capa­cità di uti­liz­zare uten­sili, il gioco e il lin­guag­gio. L’analisi di Men­ni­ghaus si con­cen­tra fon­da­men­tal­mente su tre punti, che rap­pre­sen­tano tre diverse fun­zioni: con­cor­renza (l’utilizzo deco­ra­tivo e «com­pe­ti­tivo» delle opere d’arte cor­ri­sponde al modello orni­to­lo­gico dar­wi­niano e quindi alla genea­lo­gia ses­suale delle arti); cooperazione/coesione (secondo un modello «par­te­ci­pa­tivo» delle arti umane, esse pos­sono col­la­bo­rare nella coo­pe­ra­zione e nella coe­sione di gruppi sociali supe­rando i mec­ca­ni­smi di com­pe­ti­zione); for­ma­zione personale/pratiche auto­re­fe­ren­ziali (il rap­porto pro­dut­tivo e ricet­tivo con le arti è da inten­dersi prin­ci­pal­mente come for­ma­zione per­so­nale).
A prima vista, sem­bre­rebbe che nell’Occidente moderno, nella pra­tica este­tica, sia pre­va­lente l’autoreferenzialità (si pensi alle fun­zioni pro­spet­tate dall’industria dell’intrattenimento, come lo svago, il rilas­sa­mento, i sogni ad occhi aperti ecc.). Tutte le pra­ti­che di occu­pa­zione con se stessi ren­dono altresì pos­si­bili forme «par­te­ci­pa­tive» come, ad esem­pio, l’assistere ad un con­certo o ad un film. I tre ambiti ana­liz­zati pos­sie­dono quindi aspetti e carat­te­ri­sti­che che non si esclu­dono a vicenda, ma si inter­se­cano e si com­bi­nano fra di loro. 
L’homo aesthe­ti­cus descritto da Men­nin­ghaus, capace di com­bi­nare innu­me­re­voli per­ce­zioni reali e pos­si­bili, quindi, come scrive nella posta­fa­zione Sal­garo – il quale a «Robert Musil teo­rico della rice­zione» ha dedi­cato un denso stu­dio uscito recen­te­mente per Peter Lang) — molto asso­mi­glia all’Ulrich del musi­liano Uomo senza qua­lità, che tende a non con­si­de­rare prio­ri­ta­rio il mondo reale rispetto a quello pos­si­bile, capace di com­pren­dere «l’opprimente varietà della vita».

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