sabato 31 ottobre 2015

Un romanzo storico su Antonello da Messina

Copertina L'uomo che veniva da MessinaSilvana La Spina: L'uomo che veniva da Messina, Giunti

Risvolto

Messina, 1479. Un uomo sta morendo nella sua casa, dopo aver vagato per mesi accompagnato da una bara con dentro una giovane donna. E' Antonello da Messina, il grande pittore siciliano, appena tornato da una Venezia flagellata dalla peste.
Antonello è famosissimo ormai. Ma la Sicilia non ama i suoi figli più geniali e Antonello lo sa. Per questo adesso, nel delirio finale, invoca il vecchio maestro Colantonio.
Quel delirio gli farà rivivere l'infanzia pezzente e l'incontro con i misteriosi artisti del Trionfo della Morte; lo porterà da una Napoli dominata dai cortigiani, come il Panormita e la bella Lucrezia, alla Roma dei cardinali cialtroni e delle puttane; dalla Mantova del Mantegna, alla Arezzo di Piero della Francesca. Da Bruges, dove finalmente scoprirà l'amore e persino il segreto della pittura a olio, a una Venezia che gli darà fama e gloria e l'amicizia coi Bellini.
Il romanzo - scritto in una lingua ora lucida ora appassionata - è anche l'affresco dell'epoca, crudele, affamata di gloria, dove domina l'Angelo della Morte.
Tanti sono i comprimari di questa vicenda, dai familiari meschini e sanguisughe, alla nana Nannarella morta per amore nei vicoli di Napoli; dall'aristocratica Volatrice e forse erede al trono di Sicilia, al buffone Cicirello; dai viceré scaltri, ai fanatici frati Osservanti, che scatenano a Messina rivolte contro il malgoverno.
Ma in quei viaggi una sola luce per Antonello: Griet, la figlia bastarda di Van Eych. E una sola ossessione: la pittura a olio dei fiamminghi.
Un romanzo storico? Un romanzo picaresco e sulfureo? Un romanzo sull'arte o un romanzo sull'amore estremo?
Forse solo un romanzo su un uomo, Antonello, che fece della sua ambizione un'arma, della fame di carne e di femmine un'ossessione, della pittura uno strumento per durare in eterno.


L’arte di Antonello da Messina figlia dell’amore di una donna 

31 ott 2015 Libero NICOLETTA ORLANDI POSTI 
«Decisi di dipingerla mentre legge assorta i vangeli. Così che… ad un tratto, un rumore, un soffio d’ali… la Vergine alza gli occhi e vede l’angelo. Una Vergine che ha paura del suo destino e che dice all'Angelo di non avanzare». Dietro ogni opera d’arte c’è una storia. E quella dell’Annunziata, realizzata nel 1476 circa da Antonello da Messina, merita di essere raccontata. L’uomo che veniva da Messina 
«Quello non sarebbe stato solo un quadro», ammette Antonio degli Antoni, detto il Messinese, sul letto di morte a Maestro Colantonio, «ma un patto con la donna che desideravo. Un giuramento. Una promessa di amore imperituro». Una donna rimasta finora sconosciuta che riprende il posto che le spetta nella vita del sommo pittore siciliano grazie al libro di Silvana La Spina (Giunti) che la identifica come Grinet, la figlia illegittima di Jan van Eyck, il pittore fiammingo che custodiva gelosamente nel suo laboratorio la formula della pittura ad olio. Fu Grinet, secondo la versione del romanzo di La Spina, a consegnare nelle mani del Messinese i taccuini del padre morto tempo prima; fu lei che le aprì le porte dello studio dove c’erano «le ampolle con i colori orami essiccati dal tempo», gli alambicchi e persino un forno per bruciare le impurità dei metalli, e i libri come il De pittura dell’Alberti, quello del Cennini e la Schedula Diversarum Artium del monaco Teofilo. Fu lei che le fece conoscere l’amore. 
Grinet, tenuta nascosta dalla madre nel Beghinaggio di Bruges, venne consegnata al Messinese durante il suo viaggio nelle Fiandre affinché la portasse a Venezia per un matrimonio combinato con un ricco vedovo. Fu a Bruges che iniziò ad usarla come modella per l’Annunciata. Lui, sposato, si era follemente innamorato di quella giovanissima donna e il suo ritratto era l’unico modo, quando le loro strade si divisero, per tenerla con sé, per conservarne il ricordo e sperare 
Il romanzo in un nuovo incontro. Il dipinto lo terminò solo molti anni più tardi completando la mano alzata della Madonna con il cadavere dell’amata davanti. Antonello aveva infatti rincontrato Grinet durante un Carnevale a Venezia, si erano finalmente amati con passione, ma la Morte, quella che aveva così tanto impressionato il Messinese bambino con l’affresco di palazzo Sclafani a Palermo, li separò di nuovo. Per sempre. 
Ecco, la Morte. È questo il tema che ricorre nel libro. La morte non solo domina l’epoca della storia narrata da Antonello: un’epoca crudele, affamata di gloria, dove i comprimari sono i familiari meschini e sanguisughe, la nana Nannarella uccisa dall’amore nei vicoli di Napoli, il buffone Cicirello, i viceré scaltri e i fanatici frati Osservanti; ma accompagna anche tutta la narrazione: dalla prima all’ultima pagina. L’uomo che veniva da Messina si apre con l’artista che si sta spegnendo nella sua casa dopo aver vagato per mesi accompagnato da una bara con dentro Grinet. È il 1479 e il grande pittore siciliano, appena tornato da una Venezia flagellata dalla peste, è famosissimo ormai. «Ma la Sicilia non ama i suoi figli più geniali» e Antonello lo sa. Per questo, nel delirio finale, invoca il vecchio maestro Colantonio e rivive con lui l’infanzia pezzente e l’incontro con i misteriosi artisti del Trionfo della Morte. Un delirio, raccontato in prima persona, che lo porterà da una Napoli dominata dai cortigiani, come il Panormita e la bella Lucrezia, alla Roma dei cardinali cialtroni e delle puttane; dalla Mantova del Mantegna, alla Arezzo di Piero della Francesca; da Bruges, dove scoprì l’amore e il segreto della pittura a olio, a una Venezia che gli darà fama e gloria e l’amicizia coi Bellini. Ma in quei viaggi una sola ossessione: la pittura a olio dei fiamminghi. E una sola luce per Antonello: Griet, la figlia bastarda di Van Eych, uccisa con il veleno, insieme al bambino che portava in grembo.

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