lunedì 28 marzo 2016

Ancora gli Stones a Cuba: un'offensiva culturale di portata planetaria


Il parere del maggiordomo non poteva mancare [SGA].

Jagger idolo cubano 

Festa rock all’Avana con i Rolling Stones «Noi qui sul palco, suoniamo per voi Segno dei tempi che stanno cambiando» In spagnolo Due ore e un quarto di successi, Mick per tutta la serata si rivolge al pubblico in spagnolo 

27 mar 2016  Corriere della Sera DAL NOSTRO INVIATO Andrea Laffranchi © RIPRODUZIONE RISERVATA 
«Impossibile, era impossibile». Una signora cubana corregge Mick Jagger. Lui sta dicendo che anni fa «era difficile» poter ascoltare la musica dei Rolling Stones a Cuba. Mick non sta facendo il furbetto, quello che dice e non dice. Non sta strizzando l’occhio al pubblico senza disturbare il regime castrista che continua, oggi come allora, a condannare la musica e la cultura anglo-americane come forme di devianza ideologica. Il discorso prosegue. «Ora siamo qui a suonare per voi. I tempi stanno cambiando». 
Con poche parole, misurate ma significative, pronunciate in spagnolo davanti a centinaia di migliaia di persone, la rockstar ha reso il concerto degli Stones all’Avana ancora più storico di quanto non fosse già per il solo valore musicale. E la più longeva band della storia ha fatto un passo oltre l’essere solo l’emblema di sesso, droga e rock and roll. 
Cubani e turisti, giovani i primi, un po’ meno i secondi; persone qualunque sul prato e divi come Leonardo DiCaprio, Richard Gere e Naomi Campbell in area riservata; fan che sanno tutto della linguaccia più famosa del rock e gente che causa censura non conosce nemmeno una canzone ed è qui solo per fare festa: si sono presentati in 3-400mila sul grande spiazzo della Ciudad Deportiva della capitale cubana. 
Controlli rilassati e misure di sicurezza approssimative ma tutto fila liscio; attorno agli ingressi i baracchini con il cibo come da noi ma al posto del panino con la salamella qui va la granita; come da noi anche i venditori di magliette taroccate ma non i bagarini perché lo show è gratis (le spese per 7 milioni di dollari sono state coperte dagli sponsor). Gli Stones non sono la prima band a suonare a Cuba, in passato ci sono stati Audioslave, Manic Street Preachers, Diplo, Juanes, Jovanotti, Zucchero e altri, ma sono i primi a portare un vero spettacolo con materiale da riempire quei 61 container che si sono scarrozzati in giro per America latina nel tour «Olè», cominciato il 3 febbraio a Santiago, in Cile, e che si è chiuso proprio su questo enorme prato. Il rock e la revolución, quasi coetanei, si sono dati per la prima volta la mano. Nel confronto con la visita di Obama dei giorni scorsi la musica — non è la prima volta nella storia — si è mostrata più avanti della politica nel saper interpretare lo spirito del tempo. 
L’orario di inizio di questo nuovo capitolo della storia cubana: le 20.30. La colonna sonora che lo accompagna: «Jumpin’ Jack Flash». Jagger è in giacca di paillettes, camicia porpora e pantaloni skinny, Keith Richards ha una fascia fra i capelli e un giubbino da college a stampa fantasia, Ron Wood è in blu elettrico e Charlie Watts compensa con una minimalissima t-shirt bianca. 
Una carrellata di successi che dura ore e un quarto. «It’s Only Rock’n’Roll (But I Like It)» si porta dietro il saluto all’Avana di Mick che per tutta la sera si rivolge in spagnolo alla platea. «Angie», uno dei pochi momenti intimi, è dedicata «a tutti i cubani romantici». «Midnight Rambler» e «Miss You» in fila durano venti minuti e a dilatarne la durata sono passaggi strumentali e assoli. C’è un assolo anche per Jagger. Non tanto quello con l’armonica ma quello in cui il cantante riassume tutte le sue mossette e le sue pose iconiche. Keith, Ron e Charlie mostrano tutti gli anni (e gli stravizi) e anche qualcuno in più, lui che va verso i 73 ha solo le rughe e una preparazione fisica invidiabile. Il finale infila « Gimme Shelter » , « Start Me Up » , « Sympathy for the Devil » , «Brown Sugar» e nei bis «You Can’t Always Get What You Want» con un coro cubano e «Satisfaction», che scatena i cubani in un festoso ballo collettivo. 
Per chi si è perso il concerto è in arrivo un docu-film che sarà distribuito nelle sale cinematografiche e poi in dvd. L’anteprima è per il pubblico cubano che la prossima settimana lo vedrà in tv. Se i tempi sono veramente cambiati lo dimostrerà anche lo zelo delle forbici della censura castrista sulle parole di Mick.


Ma sarebbe bello se «Satisfaction» abbattesse i muri delle galere 

27 mar 2016  Corriere della Sera Di Pierluigi Battista © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Da pagina 1 Ora sarebbe bello davvero se al ritmo di «Satisfaction» si abbattessero i muri delle galere dell’Avana dove sono rinchiusi i dissidenti cubani. Ora che i Rolling Stones hanno rotto il muro di Cuba, ora che il rock, bollato sinora dal regime castrista come demoniaco strumento di infiltrazione di uno spirito controrivoluzionario, ha scosso e sconvolto i giovani dell’isola, ora che niente potrà restare come prima, vediamo se la promessa di liberazione di una grande musica saprà misurare i suoi effetti nella realtà. Vediamo se i simboli portano con sé un’energia irrefrenabile di cambiamento. Di rivoluzione vera. Di libertà. Un’emozione straordinaria, Mick Jagger in concerto a Cuba, ha chiuso un’epoca di interdizioni e di proibizioni. Cuba non è più una fortezza impenetrabile. È finita la quarantena dell’isolamento internazionale, l’ultimo brandello della Guerra fredda si sta disfacendo. La musica ha avuto un valore simbolico assoluto nei rapporti tra il comunismo cubano e le democrazie che ammettono il dissenso, l’irriverenza, la trasgressione, i colori, i suoni non irreggimentati. Venivano invitati gli scrittori e gli artisti, ma per parlare bene della rivoluzione cubana e per dipingerla con le pennellate dell’entusiasmo. La musica, quella Cuba la doveva esportare, la salsa, il Buena Vista Social Club, il ritmo del socialismo tropicale, del mare turchese, del sole caldo così lontano dai socialismi freddi e grigi dell’Est europeo prima del Muro. Ma il rock doveva restare fuori. Musica maledetta. Musica contaminata. Mick Jagger poteva far male al socialismo radioso di Cuba più di tanti libri censurati, impossibili da far entrare nell’isola. Il mito della Cuba castrista si fondava su un clamoroso falso: l’idea che il sole caldo ne mitigasse la potenza repressiva, che in quel paradiso dell’acqua, dell’Avana slabbrata ma viva, decadente ma fascinosa, l’oppressione potesse essere meno cupa, che gli omosessuali rinchiusi in cella fossero solo propaganda yankee, che gli scrittori cubani non si facessero morir di fame nel fondo delle prigioni castriste. Che non ci fosse bisogno dell’incontinenza espressiva del rock per un socialismo diverso. Ora tutto è andato in fretta. La fine delle sanzioni. La guerra fredda che volge alla fine. La bandiera americana che sventola all’Avana. I Rolling Stones a Cuba, l’impensabile fino a pochi anni fa. L’incompatibilità antropologica del rock dei Rolling Stones con ogni genere di dittatura. E dunque la promessa che chi sta dentro all’Avana per aver pensato, detto o rappresentato cose invise al regime possa trarre da quel rock liberatorio l’energia per immaginare un futuro diverso dalle sbarre di una prigione, della prigione in cui i cubani hanno ascoltato clandestinamente la musica dei Rolling Stones come i suoni di una vita impossibile da vivere lì dentro. «Satisfaction» per ricominciare, per chiudere con il passato e inaugurare un’altra èra. Di libertà, finalmente.

Nessun commento: