martedì 29 marzo 2016

Nibelunghi saltafossi sopravvivono nella Guerra Fredda: Otto Skorzeny al servizio del Mossad


Dopo la guerra l'ex ufficiale nazista aiuta Israele eliminando gli scienziati tedeschi passati a lavorare con l'Egitto 
Sergio Rame Giornale - Mar, 29/03/2016 

«Diventò un killer del Mossad» Skorzeny e la missione anti scienziati 
Otto Skorzeny, il pupillo di Hitler, l’uomo che liberò Mussolini dal Gran Sasso nel 1943, dopo la guerra aiutò gli israeliani a trovare ed eliminare gli esperti tedeschi che lavoravano al programma missilistico egiziano: uccidendo anche in prima persona

di Paolo Salom  28 marzo 2016 (modifica il 28 marzo 2016
«Abbiamo stretto un patto con il diavolo». Questo il pensiero degli agenti del Mossad che nei primi mesi del 1962 riuscirono a «persuadere» Otto Skorzeny — l’ex ufficiale delle SS che liberò Mussolini dal Gran Sasso — a diventare non solo un preziosissimo informatore per il servizio di intelligence del neonato Stato ebraico ma, addirittura, un killer capace di eliminare gli scienziati tedeschi che allora si erano messi al servizio del Paese considerato il nemico numero uno di Israele: l’Egitto. I particolari di come sia avvenuto un simile incontro — una spy story degna di Hollywood — sono raccontati dall’americano The Jewish Forward e dall’israeliano Haaretz. Non è la prima volta che l’episodio viene alla luce. Tanto che persino Benny Morris lo ha citato nel suo saggio «Mossad» (Rizzoli, 2003), ma senza riuscire a rivelare il ruolo di assassino di Skorzeny che gli autori del lungo e dettagliato articolo, Dan Raviv e Yossi Melman, hanno potuto riscontrare grazie alle loro fonti nel segretissimo «Istituto». 
L’antefatto
Otto Skorzeny, allora 35enne capitano delle SS, nell’estate del 1943 fu incaricato personalmente da Hitler, di cui sarebbe diventato un pupillo, di liberare il Duce, imprigionato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, per ordine di Badoglio. L’operazione Quercia ebbe luogo il 12 settembre: l’ufficiale nazista scese con una formazione di alianti sull’altipiano. Con lui cento paracadutisti che non trovarono reazione tra gli italiani. Mussolini era libero, pronto a iniziare la tragica epopea della Repubblica sociale; Skorzeny, da quel momento, un eroe e non più capitano: ma tenente colonnello. Le vicende della guerra lo portarono ovunque in Europa. Fu poi processato dagli americani ma riuscì a fuggire, aiutato da complici, e a rifugiarsi in Spagna. 
La missione
La nuova storia comincia da una notizia di cronaca. L’11 settembre 1962, Heinz Krug, scienziato tedesco che durante la guerra aveva lavorato al programma missilistico nazista nella base di Peenemünde — dove erano stato sviluppate le temibili V-1 e V-2 — sparisce senza lasciare traccia. Un giornale israeliano spiega — ma è un depistaggio — che Krug è stato rapito dagli egiziani per «impedirgli contatti con Israele». La verità, emerge ora, è ben diversa.Krug era stato sì rapito. Ma non dagli egiziani: è Skorzeny l’uomo chiave di questa vicenda. Scortato da tre «guardie del corpo» (in realtà agenti del Mossad tra i quali un giovane Yitzhak Shamir, futuro premier di Israele, e un altro, Zvi «Peter» Malkin, membro della squadra che catturò Eichmann in Argentina), Skorzeny porta Krug in una foresta e lo uccide senza esitare un secondo. Lo scienziato, dopo aver rifiutato un’offerta di Werner Von Braun che lo aveva invitato a lavorare per gli americani, si era messo al servizio del programma missilistico egiziano e per questo, insieme ad altri ex nazisti che continuavano così la «guerra contro gli ebrei», era diventato un pericolo esistenziale per lo Stato ebraico. 
Guerra mondiale
La soluzione, per un’intuizione dell’allora capo del Mossad, Isser Harel, era arrivata proprio grazie all’arruolamento di Skorzeny, che in realtà era anch’egli in procinto di essere eliminato per il suo ruolo durante la Seconda guerra mondiale. Non tanto per aver liberato Mussolini (peraltro senza colpo ferire) quanto perché, come pupillo di Hitler, vero «eroe nazista», aveva preso parte alle maggiori operazioni in Europa e anche se passò la vita a negarlo, non poteva non aver partecipato alla distruzione degli ebrei d’Europa. Skorzeny era stato dunque avvicinato nel suo buen retiro di Madrid al principio del 1962 da Yosef «Joe» Raanan, il «terzo uomo» del gruppo. Con uno stratagemma, inviò una squadra – una giovane coppia – per sedurre l’ex ufficiale e la sua consorte e indurlo a collaborare con Israele. 
Colpo di scena
A momenti l’operazione era fallita: Skorzeny, lui stesso un abile contraffattore, aveva capito che i due giovani di fronte a lui, seduti e quasi ubriachi nel salotto della sua sontuosa villa, erano spie israeliane. «Siete venuti per uccidermi — gridò Skorzeny, il viso ancora affascinante solcato da una vecchia cicatrice, un revolver spianato e pronto a sparare —. Ma vi ho scoperto: siete del Mossad». La risposta, tranquilla e incisiva, in pochi minuti raddrizzò la situazione: «È vero, siamo del Mossad — confessò l’uomo, la cui identità è ancora coperta da segreto — ma non siamo venuti per ucciderti, se avessimo voluto farlo, saresti morto da settimane». Poi l’incredibile offerta: lavorare per Israele e aiutare lo Stato ebraico nella lotta per la sua sopravvivenza. Skorzeny godeva di una fama intatta nei circoli degli ex nazisti. Poteva avvicinare chiunque tra i molti scienziati che allora si erano messi (per soldi e non solo) a disposizione degli egiziani desiderosi di sviluppare un programma missilistico capace di regalare al Cairo la supremazia strategica sull’odiato vicino. 
La decisione
Il punto era: perché mai Skorzeny avrebbe dovuto mettersi al servizio degli israeliani? Non per avidità: «Sono abbastanza ricco, non ho bisogno di altro denaro», chiarì subito. Ma un accordo poteva essere trovato: «Voglio che Simon Wiesenthal tolga il mio nome dalla sua maledetta lista!». Skorzeny temeva di fare la fine di Eichmann. E sapeva che nessuno Stato poteva metterlo al sicuro dalla vendetta degli ebrei. Dunque accettò l’offerta e da qual momento fu uno dei più validi collaboratori dei servizi segreti israeliani. Si recò più volte in Egitto, portando indietro la lista di tutti i principali scienziati (tedeschi) all’opera per costruire il missile capace di colpire Israele. Addirittura, in un caso inviò lui stesso un pacco bomba che uccise cinque egiziani in una base segreta dove lavoravano gli ex nazisti. E poi, l’opera in prima persona: il rapimento e l’omicidio (mai risolto dalla polizia di Monaco di Baviera) di Kurt Heinz. 
Falsa identità
Un giorno, Otto Skorzeny fu persino invitato, sotto falsa identità, in Israele e i suoi ospiti, dopo averlo presentato al direttore del Mossad, Harel, lo portarono in visita allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Skorzeny durante tutta la visita fu silenzioso e mostrò rispetto. Ma fu riconosciuto da un ex deportato: «È un nazista!». Uno degli accompagnatori, rispose tranquillo: «Si sbaglia, è un mio parente: anche lui ha sofferto durante la Shoah». Il lavoro — molto fruttuoso — continuò per anni. Nessuno ha mai capito fino in fondo perché lui abbia accettato: sensi di colpa? Paura di essere ucciso? Il Mossad, dal canto suo, proseguì l’opera di intimidazione ed eliminazione dei nemici dello Stato ebraico: come gli organizzatori dell’attentato a Monaco 1972. Con ogni mezzo. Anche stringendo, se necessario, patti con il diavolo. O falsificando le carte: Wiesenthal non accettò mai di cancellare dalla sua lista il nome di Skorzeny. Così all’ex ufficiale fu consegnata una lettera realizzata a Tel Aviv con la firma (riprodotta) del cacciatore di nazisti: tanto bastò a donargli sonni tranquilli.

Nessun commento: