sabato 12 marzo 2016

Uteri in affitto, prostitute e schiave. Non la natura ma l'umanità, la cultura e il progresso sono le ragioni per cui bisogna essere contrari alla reificazione capitalistica della funzione riproduttiva


Con l'intervento di un esponente di spicco della Società Psicoanalitica Italiana che ricopio più sotto, l'organo ufficiale della sinistra postmoderna, Alias Manifesto, prende finalmente posizione - dopo qualche giorno di comprensibile imbarazzo - e difende il capo, il ricco fazendero di Terlizzi, dall'accusa di mercificazione del corpo femminile.
Nessuna esaltazione del desiderio liberatorio e dell'arbitrio assoluto, questa volta, che sarebbe una ammissione di colpa di pessimo gusto. Ma una sommessa difesa, che ha la coda tra le gambe ma non è meno sbagliata sul piano concettuale.
A dire di Thanopoulos - in sostanza e al netto dei contorcimenti concettuali - il fatto che le donne surroganti surroghino una volta sola, o al limite poche volte, rende questa prestazione diversa dalla prostituzione seriale e dunque qualcosa di simile al dono.

Non ci siamo proprio.
Lo Stato giustamente non proibisce la prostituzione ma impedisce che ciascuno di noi, anche volendolo, si renda schiavo di un altro. Perché?
La libertà individuale è un bene inalienabile in quanto contiene già la libertà del genere. Ecco allora che nella prostituzione io vendo un pezzo del mio corpo per un periodo limitato di tempo (come del resto, soprattutto nel capitalismo, vendo molte altre cose che fanno parte di me), mentre nella schiavitù vendo l'umanità in quanto tale e lo stesso avviene nel mercimonio della funzione riproduttiva.
Il paragone va dunque fatto non con la prostituzione ma proprio con la schivitù. E deve essere la sinistra a farlo, per non lasciare che lo facciano i cattolici resuscitando a convenienza il concetto di "natura", come avviene in questo articolo.
Il fatto invece che anzitutto a sinistra non si capisca la profonda differenza che intercorre tra tutte queste cose e si risponda con l'argomento per cui ognuno è libero di fare quel che vuole e di vendere ciò che vuole, con la stupida giustificazione realpolitica che siamo nel capitalismo, è assai triste.

Siamo circondati. Non arrendiamoci. [SGA].

“Il diritto a tali beni inalienabili è imprescrittibile: l’atto infatti con cui prendo possesso della mia personalità e della mia essenza sostanziale e mi costituisco come soggetto giuridico e
legalmente responsabile, come soggetto morale, religioso, strappa queste determinazioni appunto dall’esteriorità che unicamente dava loro la capacità di essere in possesso di altri. Con quest’annullamento dell’esteriorità vengono a cadere le determinazioni temporali e tutte le ragioni che possono essere ricavate dal mio precedente consenso o dalla mia precedente sopportazione. Questo ritorno di me a me stesso, col quale mi costituisco come idea, come persona giuridica e morale, annulla il rapporto precedente e l’ingiustizia (Unrecht) che io e l’altro abbiamo commesso
nei confronti del mio concetto e della mia ragione, per aver tollerato che venisse trattata, o per
aver trattato l’infinita esistenza dell’autocoscienza come qualcosa di esteriore” (Rph. § 66 A).

“I momenti della libertà reale [...] non riposano sul sentimento, perché il sentimento lascia anche sussistere la servitù della gleba e la schiavitù, ma sul pensiero e sull’autocoscienza che l’uomo ha della propria essenza spirituale” (Ph. G., 927)

Adriano Pessina, professore di Filosofia Morale e Biotetica, condanna fermamente le biotecnologie: "La stepchild adoption è il primo passo verso un inaccettabile potere d'acquisto dell'esistenza altrui" 

Stefano De Bernardi Giornale  - Sab, 12/03/2016

Il prestito dell’utero e la prostituzione
Verità nascoste. Nella gravidanza surrogata il fantasma del concepimento verginale è ovviamente attivo, ma nelle donne surroganti manca, di regola, la serialità dell’offerta che confermerebbe il potere condizionante del fantasma di Sarantis Thanopulos il manifesto Alias 12.3.16
L’equiparazione del prestito dell’utero con la prostituzione rischia di dare una lettura semplificata a una questione complessa.
La prostituzione ha due risvolti diversi, per quanto interconnessi. Il suo sfruttamento (che crea un plusvalore per lo sfruttatore) la pone sul piano dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Quest’ultimo è espressione di uno spostamento delle relazioni di scambio dalla parità dei soggetti sul piano del desiderio alla loro ineguaglianza sul piano del bisogno materiale, che le costituisce come rapporti di potere. Più le relazioni di scambio diventano relazioni di potere, quindi di sfruttamento, più l’appagamento del desiderio diventa un miraggio e il piacere tende a essere scarica pura dell’eccitazione, sollievo più che esperienza di trasformazione sensuale, emotiva e mentale.
Lo sfruttamento dell’operaio esclude l’impiego diretto del corpo sessuale che è, invece, l’oggetto da sfruttare nel campo della prostituzione. Tuttavia, in entrambi i casi l’uso del corpo, della donna come dell’uomo, è centrato sulla sua componente maschile. La componente femminile diventa periferica fino ad essere inibita, silenziata nella prostituzione. Più la componente femminile del corpo – sciogliersi, coinvolgersi, lasciarsi andare, aprirsi- si marginalizza, più la componente maschile- concentrarsi, disciplinarsi, coordinarsi, dirigersi- si irrigidisce, perdendo la sua creatività e la sua forza espressiva. Diventa lo strumento di un agire meccanico, esecutivo. Lo sfruttamento della prostituzione illumina la natura profonda dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo: esso trae il massimo vantaggio dal totale eclissarsi del corpo femminile.
L’altro risvolto della prostituzione, la sua realizzazione come lavoro autonomo, senza padroni, mostra la velleità della pretesa di usare liberamente il proprio corpo in dissociazione dallo scambio di doni nella relazione amorosa: la donazione reciproca del proprio coinvolgimento e della propria vulnerabilità da parte degli amanti. Il sesso a pagamento fa del denaro la protesi inerte con cui si ripara la mutilazione del tessuto vivo della femminilità, che consente lo scambio di doni. Se lo sfruttamento della prostituzione spiega il meccanismo dello sfruttamento del corpo del lavoratore, la prostituzione senza sfruttatori fa capire che la mercificazione delle relazioni umane trae il suo consenso da una riparazione disumanizzante, ma percepita come salda, compatta. Questa riparazione è mediata inconsciamente dal fantasma della “madre virginale”: il permanere del corpo femminile nel commercio erotico in superficie, che garantisce la sua inaccessibilità al piacere profondo.
Nella gravidanza surrogata il fantasma del concepimento verginale è ovviamente attivo, ma nelle donne surroganti manca, di regola, la serialità dell’offerta che confermerebbe il potere condizionante del fantasma. Le motivazioni inconsce soggiacenti al prestito dell’utero vanno cercate altrove. Nella delegittimazione del desiderio di disporre pienamente della propria creatività. Nel desiderio di donare ai propri genitori la genitorialità: offrire loro un altro figlio come riparazione per il fatto di averli delusi o, nella direzione opposta, dare loro una seconda opportunità, visto che sono stati deludenti. Il compenso finanziario, che è anche una forma surrettizia di legittimazione, non sarebbe sufficiente da sé, in assenza di questo tipo di motivazioni.
Il prestito dell’utero non è prostituzione, non è vendita di eccitazione: si trova in bilico tra il mercato dei corpi, che cerca di appropriarsene, e la donazione.

Il mercato dei corpi
Chiamare la maternità surrogata una donazione è un eufemismo perché in realtà si tratta di un vero e proprio mercato che ha dei tariffari, una domanda e un’offerta, dei contratti, un marketing, dei mediatori, come in qualunque scambio di merce o di prestazione di Mariangela Mianiti il manifesto 15.3.16
Nel felice racconto della genitorialità con la gestazione per altri si è trattato con pochi accenni a una parte importante della questione, ovvero il prima dell’impianto dell’embrione. Quel prima non è un pezzo da poco perché riguarda la selezione e l’acquisto del materiale genetico che serve per costruire la nuova vita, ovvero lo sperma e gli ovuli, fondamentali perché determinano le caratteristiche di una persona. La scelta di questi donatori e della portatrice di utero hanno dei costi e si stanno muovendo secondo criteri economici e geografici simili a quelli dei movimenti dei capitali finanziari.
Chiamare la maternità surrogata una donazione è un eufemismo perché in realtà si tratta di un vero e proprio mercato che ha dei tariffari, una domanda e un’offerta, dei contratti, un marketing, dei mediatori, come in qualunque scambio di merce o di prestazione. L’invasione del linguaggio e della mentalità del marketing nel mercato dei corpi, perché di questo si tratta, è già avvenuto e basta guardare gli slogan di certe agenzie che ricalcano quelli della promozione di viaggi low cost, come Pacchetto bimbo in braccio, Pacchetto Surrogacy, pacchetto Economy Plus che stabiliscono tariffe diverse secondo i tentativi di fecondazione e le scadenze del compenso.
In questa compravendita lo sperma è la merce che costa di meno. Si va dalle poche centinaia di dollari chiesti da un’agenzia israeliana, ai diversi prezzi che un’agenzia russa paga secondo la nazionalità del donatore/venditore. Per la stessa quantità di liquido seminale a un russo vengono dati meno di 200 euro, mentre a un danese o a uno svedese più di 800. Stessa cosa succede con le donatrici di ovuli. Negli Usa, dove la media per una donazione di ovuli è ricompensata dai 10 ai 15mila dollari, se la donatrice è alta, bionda e ha frequentato Harvard può chiedere un prezzo molto più alto di una donna non laureata.
Anche per le portatrici di utero le tariffe si adeguano a una geografia economica. Un’americana percepisce al massimo 30mila dollari, un’indiana poco più di 5mila, un’ucraina 10mila circa e basta guardare il costo complessivo dell’operazione per farsi un’idea di come si muove questo business. Negli Usa il costo totale di una maternità surrogata può andare dai 150 ai 200mila dollari, in Ucraina dai 30 ai 50mila, in Russia dai 30 ai 65mila dollari. Per offrire prezzi concorrenziali c’è chi si è organizzato con gli stessi criteri della movimentazione dei capitali. E allora ecco agenzie americane che ricorrono a portatrici di utero messicane, o agenzie israeliane che propongono l’inseminazione negli Usa e poi trasferiscono gli embrioni congelati in Nepal dove vengono impiantati nell’utero di donne indiane, per risparmiare.
In «Clinical Labor», libro uscito nel 2014, le ricercatrici australiane Melinda Cooper e Catherine Waldby analizzano le nuove forme di lavoro bioeconomico come la maternità surrogata. Osservano come il mercato della riproduzione assistita cresce sempre di più espandendosi in servizi e settori dell’industria biomedica. Rivelano come il clinical labor diventerà sempre più rappresentativo delle economie neoliberiste del 21esimo secolo.
C’è chi per pagare un percorso così vende una proprietà, se ce l’ha, o chiede un prestito. Dall’altra parte ci sono donne che si sottopongono a cure ormonali e a una gravidanza conto terzi per comprare una casa o pagare l’università ai figli. Intanto medici, cliniche, agenzie, assicurazioni, ospedali e avvocati vedono crescere il proprio conto in banca. In mezzo c’è il desiderio di un figlio. Viene davvero da chiedersi se un bisogno così ha il diritto di essere esaudito a qualunque costo, letteralmente parlando. 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

A furia di pestare acqua in un mortaio è capace ne vengano fuori anche delle fantasmagoriche bollicine. Viene voglia di farsi gesuiti.

materialismostorico ha detto...

Qualunque cosa tu dica, perché ti vergogni tanto di dirla da non volerti presentare con nome e cognome?