sabato 26 marzo 2016

Venter ad un passo dalla produzione industriale di organismi artificiali


E' una questione molto diversa dalla schiavizzazione tramite reificazione dell'utero altrui. Qui le questioni bioetiche sono comunque rilevanti ma di natura completamente diversa. Siamo di fronte a una rivoluzione scientifico-tecnologica dagli esiti imprevedibili ma che può e deve essere guidata razionalmente [SGA].


Un altro «mattone» per la vita aritificiale 
BIOTECNOLOGIE. La produzione di un batterio sintetico 

Andrea Capocci Manifesto 26.3.2016, 0:03 
I ricercatori del J. Craig Venter Institute hanno annunciato di aver messo a punto in laboratorio l’organismo vivente minimo, cioè con il minore numero di geni nel suo Dna. Il batterio, denominato dai suoi creatori Syn3.0 e descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Science, è un organismo sintetico. È stato infatti creato artificialmente a partire da un altro batterio esistente in natura, Mycoplasma mycoides, il cui Dna è stato letteralmente smontato e rimontato usando solo i geni ritenuti indispensabili per garantire il ciclo di vita del batterio. Ogni gene corrisponde, secondo un modello molto semplificato, a una funzione biologica che permette la sopravvivenza e la riproduzione del microorganismo. Alla fine, il batterio sintetico possiede solo 473 geni, qualche decina in meno del Mycoplasma genitalium, l’organismo più semplice noto finora, basato su soli 525 geni. 
È il punto di arrivo di un’impresa durata vent’anni, che porta la firma di Craig Venter, il fondatore dell’omonimo istituto, e dei suoi fidati capi-progetto Hamilton Smith e Clyde Hutchison. Il Dna degli organismi, da quelli più semplici ai più complessi, è un sistema molto complicato, in cui un gene corrisponde a più funzioni e una funzione può essere svolta da più geni. Gran parte del Dna (il cosiddetto «Dna spazzatura») peraltro appare ridondante e privo di una funzione biologica, secondo le conoscenze attuali. L’obiettivo di Venter e soci era proprio capire quali «mattoni» di questo articolato edificio sono davvero essenziali. Scoprirlo ci permetterà di conoscere meglio i meccanismi fondamentali della vita e disporre di componenti base con cui costruire organismi a tavolino alla maniera dei modellini Lego. 
Per raggiungere lo scopo, i ricercatori hanno dovuto scomporre il Dna di Mycoplasma mycoides in 8 segmenti. Poi li hanno modificati, accorciati e riassemblati fino a trovare, dopo molti tentativi, la combinazione più corta compatibile con una capacità riproduttiva sufficiente. Ridurre la vita ai minimi termini, però, si è dimostrato più arduo del previsto e denso di insegnamenti.
Innanzitutto, il Dna di Syn3.0 contiene ben 149 geni la cui funzione non è ancora nota. La presenza di questo geni si è rivelata infatti indispensabile per la sopravvivenza del batterio. Inoltre, esso sopravvive solo nell’ambiente protetto del laboratorio: per adattarsi ad altri ecosistemi servirebbero altri geni, e addio record. Dunque lo studio sembra smentire i suoi stessi presupposti. Innanzitutto, anche il batterio più semplice deve contenere un notevole grado di ridondanza e di complessità. Anche a questo livello di semplicità, la funzione di un gene è indissolubilmente legata all’interazione con gli altri geni. «Dobbiamo abbandonare la visione tutta centrata sul singolo gene, e considerare il genoma nel suo complesso», ha ammesso Venter. 
In secondo luogo, il concetto stesso di organismo minimo muta secondo il contesto e Syn3.0 è solo uno dei tanti possibili esempi. Dunque, ci racconta ben poco sulle forme di vita primordiali all’origine dell’attuale biodiversità, contrariamente a quanto sperava Venter.
Creare l’organismo essenziale era uno degli obiettivi che lo scienziato statunitense si era dato negli anni Novanta, cucendosi addosso la doppia fama di scienziato visionario e di spregiudicato manager delle allora nascenti biotecnologie. Negli stessi anni, con la sua società privata Celera Genomics aveva realizzato il primo «sequenziamento» dei Dna umano, in competizione (vittoriosa) con l’analogo progetto internazionale pubblico che poteva contare sulla partecipazione di università e centri di ricerca di tutto il mondo. Sembrava la definitiva affermazione dell’approccio proprietario alle scienze della vita, invece Venter spiazzò tutti e partì col suo yacht a scoprire gli organismi ancora sconosciuti che popolano gli oceani. 
Il «modellino» della vita dovrebbe servire a capire la funzione dei singoli geni, che negli organismi complessi è spesso difficile da decifrare, e a creare da zero batteri in grado si svolgere compiti utili all’industria. A vent’anni di distanza, però, il bilancio della biologia sintetica è tutt’altro che trionfale. Il contesto infatti è assai diverso da quello di partenza. Per esempio, oggi esistono tecniche di modifica genetica, come la ormai celebre Crispr-CAS9, che permettono di togliere e aggiungere geni con grande facilità e osservarme le conseguenze: per ora, sembra un metodo più efficiente per scoprire le funzioni genetiche. Inoltre, come ha fatto notare Matthew Herper sulla rivista «Forbes», gli investitori non sono più così convinti che usando batteri sintetici si possa produrre farmaci o biocarburanti a costi ragionevoli, soprattutto con il petrolio agli attuali prezzi stracciati. Alla fine, Syn3.0 potrebbe rivelarsi solo un grande risultato della ricerca di base. Una volta ancora, lo scienziato avrebbe visto più lungo del manager.

Il nuovo batterio sintetico di Venter è un grande passo per decifrare la vita. Adesso è l’ora di passare ai “vestiti” del Dna 
Dall’epigenetica un futuro di cure 
Giuseppe Novelli  Tuttoscienze 30 3 2016
Nell’epigrafe del suo libro «A life Decoded» Craig Venter riporta la seguente frase: «Il Dna fornisce la musica. Le nostre cellule e l’ambiente procurano l’orchestra». Credo che in questa frase sia contenuto il significato dell’ultimo lavoro di Venter appena pubblicato sulla rivista «Science» dal titolo «Progettazione e sintesi di un genoma batterico minimo».
Il suo gruppo ha infatti costruito una cellula batterica sintetica che contiene il più piccolo genoma funzionante e indipendente. È costituito da 473 geni, che dimostrano quanti e quali geni sono essenziali per le minime funzioni di vita biologica (vivere e riprodursi) come la intendiamo noi sul Pianeta. A differenza delle prime cellule sintetiche prodotte nel suo laboratorio tra 2007 e 2010, questa cellula, denominata Syn3.0, non è mai esistita in natura e rappresenta una nuova forma di vita disegnata in laboratorio. È straordinario pensare come la vita biologica in natura sia iniziata almeno 4 miliardi di anni fa, dopo, forse, altrettanti miliardi di anni di prove ed errori effettuati da combinazioni chimiche casuali, favorite da scariche energetiche di natura fisica non ancora del tutto comprese. Ebbene, Venter riesce oggi a costruire genomi interi e con la biologia sintetica apre le porte ad un mondo sconosciuto.
Venter e i suoi collaboratori hanno assemblato e disassemblato segmenti di Dna come i mattoncini Lego, ottenendo un prodotto vitale capace di autoreplicarsi e sopravvivere. Syn3.0, è stato costruito con 473 geni (438 codificanti per proteine e 35 codificanti per molecole di Rna), che possono essere integrati da altri per comprendere la complessità biologica e quindi completare l’«orchestra», spostando o inserendo nuovi elementi. Syn3.0 ha permesso di capire che gli elementi essenziali per la vita di una cellula sono i geni che codificano per proteine, garantendo la duplicazione, l’integrità e la trasmissione del Dna.
All’incirca 190 geni sono invece essenziali per la trascrizione, la traduzione e la regolazione dell’Rna, l’altra molecola informativa delle cellule. Questo significa che circa il 50% dei geni per vivere servono a queste funzioni. È interessante osservare come 149 elementi di questa «orchestra minima» sono «strumentisti», che suonano strumenti non ancora identificati. Questi elementi, che rappresentano un terzo di geni assemblati in Syn3.0, presenti anche nel nostro Genoma, svolgono funzioni ancora tutte da definire.
Sarà molto interessante capire cosa fanno questi geni e soprattutto come funzionano. Syn3.0 costituisce il prototipo per capire meglio le funzioni di una cellula: infatti è proprio aggiungendo o togliendo segmenti (i geni) che possiamo stabilire il ruolo di ogni singolo «mattoncino» o «strumentista» nell’edificio cellulare o nell’orchestra. Ma oggi, con la disponibilità della tecnica dell’editing genetico, utilizzando il sistema Crispr-Cas9, sarà possibile non solo valutare gli effetti dell’aggiunta o dell’eliminazione di singoli geni, ma anche analizzare gli effetti delle sostituzioni di singole lettere del Dna di ogni gene (Syn3.0 possiede 531 mila lettere di Dna).
La disponibilità della tecnologia acquisita con la sintesi di Syn3.0 aumenterà infatti le potenzialità dell’editing genetico e darà ulteriore speranza di guarigione a tanti pazienti affetti da malattie genetiche rare. Syn3.0, inoltre, potrà anche aiutarci a comprendere l’effetto dei «vestiti» sui geni, vale a dire fornirci informazioni sull’epigenetica. Questa si riferisce proprio alle modificazioni del Dna che insorgono senza alterarne la sequenza. In sostanza si riferisce allo studio delle molecole chimiche che rivestono il Dna in modo più o meno completo, modificandone il funzionamento.
Oggi sappiamo che molte patologie umane, come la schizofrenia, l’artrite reumatoide e il cancro, sono dovute a modificazioni epigenetiche. Queste durano per il resto della vita della cellula e possono trasmettersi alle generazioni successive delle cellule attraverso le divisioni cellulari, senza tuttavia che le corrispondenti sequenze di Dna siano mutate. Sono quindi fattori non-genomici che provocano una diversa espressione dei geni dell’organismo, essendo le modificazioni epigenetiche per definizione transienti e pertanto facilmente modificabili. Ecco perché oggi si stanno studiando farmaci in grado di interferire con i processi chimici alla base dell’epigenetica: in un futuro prossimo potrebbero essere utilizzati per molte malattie.
L’epigenetica è la prima diretta dimostrazione dell’effetto dell’ambiente sulla funzione dei geni. Se il Dna è scritto a penna e non si può cambiare facilmente, l’epigenetica, invece, è ciò che è scritto a matita e può essere modificato. Questa è ciò che fornisce la plasticità al genoma. E infatti l’esperienza, gli eventi, la casualità o le amicizie modificano la plasticità stessa del genoma, influenzando le nostre decisioni che ci fanno diventare poeti, scienziati o ingegneri. Tutto questo Syn3.0 non è ancora in grado di rivelarcelo. Ma rappresenta già un mondo affascinante e complesso che speriamo stimoli la curiosità dei nostri giovani ricercatori a comprendere la bellezza di ciò che chiamiamo «vita». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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