venerdì 15 aprile 2016

Barbero su Eugenio di Savoia

Risultati immagini per Eugenio di SavoiaEugenio di Savoia Il segreto del guerriero 
Con la divisa degli Asburgo, fu tra i generali che fermarono i turchi a Vienna nel 1683. Si dice che amasse gli uomini e fosse spietato in battaglia 

Alessandro Barbero Busiarda 15 4 2016
Il principe Eugenio di Savoia è uno dei più sfuggenti fra i grandi generali della storia. In 72 anni di vita non scrisse nulla che potesse svelare qualcosa del suo animo agli storici futuri, né diari né memorie né lettere private: solo una fitta corrispondenza d’ufficio, in parte autografa, in francese o in italiano, in parte dettata a segretari, in tedesco. Non si sapeva nemmeno di che nazionalità fosse, perché era sì un Savoia, ma d’un ramo cadetto ed era nato a Parigi; sua mamma era Olimpia Mancini, la più famosa delle mazarinettes, com’erano chiamate alla corte del Re Sole le scandalose nipotine del cardinale Mazzarino. Voltaire assicurò che era un francese, ma i suoi colleghi inglesi lo chiamavano «il vecchio principe italiano», e un avversario politico lo chiamò con disprezzo «un miserabile generale tedesco».
La fuga giovanile
È possibile che il silenzio in cui Eugenio avvolse la propria vita privata sia legato a gusti omosessuali che non aveva piacere di mettere in pubblico, sebbene la società di corte alla sua epoca non si scandalizzasse certo per così poco: i pettegolezzi vogliono che da ragazzino partecipasse a certe feste travestito da prostituta, ed è un fatto che quando, a vent’anni, scappò da Parigi insieme a un altro ragazzo per andare a combattere contro i turchi, lui e il suo compagno erano vestiti da donna. Nella maturità di Eugenio, con grande sollievo dei biografi moderni, circoleranno voci relative a presunte amanti femminili, una delle quali lo avrebbe distratto fino a farlo arrivare in ritardo sul campo di battaglia di Denain; ma Voltaire osservò perfidamente che «non si fa giustizia al principe Eugenio ritenendo che una donna avesse qualche parte nei suoi dispositivi di guerra». 
Che nella sua personalità ci fosse addirittura una vena sadica era supposto da molti già allora, quando del sadismo non esisteva neppure il nome: il suo contemporaneo Jonathan Swift, l’autore dei Viaggi di Gulliver, osservò che nel fare la guerra Eugenio dimostrava «quella crudeltà della quale si accusano talora gli Italiani». Bontà sua: ma per gli inglesi di allora gli italiani erano ancora quelli di Shakespeare, rotti all’intrigo e amanti delle vendette. 
Rifiutato da Luigi XIV
D’altra parte la guerra sul fronte balcanico era una guerra senza regole, dove ciascuno dei due avversari, cristiani e musulmani, attribuiva alla barbarie dell’altro le peggiori atrocità, e giustificava le proprie come sacrosanta ritorsione: al principe Eugenio spetta il dubbio onore d’essere stato uno dei primi generali a far saccheggiare e incendiare Sarajevo, come rappresaglia per l’uccisione di un suo ufficiale. Anni dopo, quando una viaggiatrice inglese visitò la sua biblioteca, uno dei presenti le assicurò che molti volumi in quarto sull’arte della guerra erano rilegati in pelle di giannizzero, ed Eugenio sorrise compiaciuto a questo scherzo, che la dama inglese giudicò «veramente elegante».
Oggi, grazie alla psicologia e alla psicanalisi, ci sembra di capire qualcosa di più dell’animo umano, e un filo sottile può collegare il ragazzino effeminato al massacratore di giannizzeri nelle guerre balcaniche. Al Re Sole, invece, parve che da un tipo così non potesse venir fuori un militare, e gli rifiutò un grado nel suo esercito. Fece male: Eugenio si arruolò nell’armata imperiale e servì gli Asburgo per tutta la vita. Ai suoi esordi fu tra i comandanti che fermarono i turchi a Vienna nel 1683. Il bilancio delle sue guerre è incomparabile: Eugenio diresse in vita sua dodici battaglie, e ne vinse dieci. Fra queste, almeno quattro, fra cui quella di Torino nel 1706, furono vittorie colossali, che comportarono l’annientamento dell’esercito nemico e decisero le sorti d’una guerra.
Tredici ferite
Era un’epoca in cui anche per i generali la guerra era fatica, pericolo e dolore fisico, non soltanto calcoli sulla carta geografica. In trentacinque anni di campagne, Eugenio fu ferito tredici volte: la prima ferita risale alla campagna d’Ungheria del 1684, quando era un colonnello di vent’anni, e la tredicesima alla battaglia di Belgrado del 1717, l’ultima della sua vita, quando di anni ne aveva ormai cinquantaquattro. Ma questo approccio statistico e l’uso di un termine tutto sommato rassicurante come «ferita» non deve farci sottovalutare l’impatto di quest’esperienza su un corpo che per tredici volte fu traumatizzato nel corso d’un’azione violenta, con palle di moschetto che si frantumavano contro l’osso, lunghe operazioni chirurgiche senza anestesia alla vana ricerca delle schegge, salassi ripetuti per evitare che la febbre ammazzasse il paziente, degenze di mesi con la piaga aperta nell’attesa che il corpo risputasse l’ultimo pezzetto di piombo. Il principe Eugenio ci passò tredici volte: era il suo mestiere, se l’era scelto, e ogni volta è come se dovesse di nuovo dimostrare al Re Sole (che fra l’altro era stato uno degli amanti di sua madre) che aveva fatto male a non dargli fiducia.
Tra due epoche
Come ogni generazione, anche la sua visse a cavallo fra due epoche, ed è sorprendente quanto di medievale ci fosse ancora nel mondo d’un giovane principe che si presentò all’imperatore Leopoldo chiedendo di poter entrare al suo servizio con un’elegante supplica in latino, ricevette in regalo dal duca di Lorena un paio di speroni d’oro alla conclusione della sua prima campagna, e si mantenne per diversi anni grazie alle rendite di due abbazie, fra cui la Sacra di San Michele, di cui era stato nominato abate commendatario dal papa. 
Allo stesso mondo premoderno appartengono le relazioni cavalleresche mantenute con i generali nemici: all’assedio di Tolone, nella calura dell’estate provenzale, il comandante della guarnigione francese spediva ogni giorno ad Eugenio un carico di ghiaccio per rinfrescare le sue bevande; e durante le trattative per la pace di Rastadt Eugenio e il maresciallo Villars, negoziatori incaricati dalle due potenze nemiche, passavano le serate giocando a carte insieme; a soldi, beninteso, e con poste colossali. Erano davvero uomini diversi da noi: e forse è per questo che a distanza di tre secoli figure elusive come quella del principe Eugenio continuano ad affascinarci.
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Per gentile concessione dell’editore e dell’autore pubblichiamo Il difensore della cristianità, saggio di Vittorio G. Cardinale sulla figura sconoscuta in Italia di Eugenio di Savoia. L’articolo viene pubblicato sul mensile Arbiter in edicola in questi giorni.

Il principe mecenate difensore della cristianità
Militare, politico, uomo di lettere. Dalla battaglia contro Maometto IV divenne, dall’Austria, il baluardo europeo contro l’impero ottomano

Libero 3 May 2016 VITTORIO G.CARDINALI
C'è una coincidenza che non passa inosservata. La celebre battaglia di Zenta del 1697 si svolse in una data destinata a diventare un simbolo: l'11 settembre. Salutata da tutte le cancellerie europee come il definitivo allontanamento della minaccia ottomana dai confini d'Europa, vide i 50mila soldati dell'aquila asburgica mettere in rotta i 100mila effettivi dell'esercito ottomano di Mustafà II (30mila le perdite nello schieramento turco, solo 400 i soldati imperiali rimasti sul campo). A capo dell' esercito del Sacro Romano Impero e dei principati alleati c'è un generale di 34 anni, «italiano», che riporta la straordinaria vittoria destinata a cambiare gli equilibri di forza nei rapporti tra cristianità e islam: Eugenio di SavoiaCarignano Soissons.
Avvolgiamo il nastro della storia. L'Europa del XXI secolo è nuovamente di fronte a quello scontro di civiltà che già vide impegnati i nostri progenitori nei secoli passati. Come si suol dire in questi casi, per comprendere il presente bisogna conoscere il passato. Dichiarazione facile, ma proviamo a chiedere a un italiano: chi è Eugenio di Savoia? La risposta tarda ad arrivare, o non arriva per nulla. Stratega e diplomatico, uomo di Stato e mecenate delle arti, questo personaggio vissuto tra il 1663 e il 1736 in Austria ebbe onori pari a quelli dell'Imperatore, e una fama postuma che ancora perdura. «Al glorioso vincitore dei nemici dell'Austria», sta scritto su un lato del monumento equestre che lo rappresenta, nel centro della Heldenplatz viennese; e, sull'altro lato del monumento: Al saggio consigliere di tre Imperatori». Soldato, ma anche politico, dunque. A Vienna, come in tutta l'Austria, Eugenio di Savoia è considerato al pari di un eroe nazionale, una specie di nume tutelare. Poco o niente di tutto questo sanno gli italiani, che così hanno relegato all'oblio forse l'unico Savoia di valore. Nato francese (Parigi, 18 ottobre 1663), figlio del principe Eugenio Maurizio di SavoiaSoissons e di Olimpia Mancini, nipote del cardinale Mazarino, habitué della corte di Luigi XIV ma allontanata da Versailles dopo il suo coinvolgimento nello «scandalo dei veleni», il piccolo Eugenio rimase orfano di padre a 10 anni, e scelse presto la carriera delle armi. Rifiutato da Luigi XIV, cui si presentò per avere un comando, si rivolse ad altri protettori: il cugino, margravio Ludovico del Baden, e il principe elettore Massimiliano Emanuele di Baviera. Con il loro appoggio entrò al servizio della casa d'Asburgo e intraprese la salita, fino al vertice, della difficile scala della carriera militare. Il fratello, Luigi Giulio, si era già conquistato la stima dell'imperatore Leopoldo I guidando il corpo dei Dragoni e cadendo gloriosamente nella battaglia di Petronell, proprio per mano dei turchi. Un segno del destino. Il 12 settembre 1683, a 20 anni, Eugenio ebbe il suo battesimo del fuoco combattendo nella battaglia che mise fine all'assedio di Vienna da parte dei turchi di Maometto IV con le truppe del duca di Lorena, Carlo V, di cui era aiutante di campo: vide così per la prima volta da vicino i turchi, vide le loro armi e il gigantesco bottino che cadeva nelle mani delle truppe imperiali. Alla grande vittoria di Vienna, punto di svolta nella lotta contro l'Impero ottomano, seguirono negli anni, uno dopo l'altro, altri successi dei reggimenti imperiali; Eugenio si distinse per coraggio e avvedutezza. L'imperatore Leopoldo, accortosi di lui, lo ricevette e lo nominò, a soli 22 anni, Generalfeldwachtmeister, deludendo le speranze di molti altri candidati più anziani. Nel 1690 fu nominato generale per la campagna d'Italia contro i francesi, e nel 1697 comandante supremo dell'esercito imperiale. Durante la guerra di successione spagnola diresse, in qualità di presidente del Consiglio di Guerra, l'amministrazione militare della monarchia, partecipando alle decisioni non solo militari ma anche politiche più importanti dell'epoca. L'ultimo attacco massiccio dei turchi contro l'Europa avvenne proprio negli anni in cui visse Eu- genio. La minaccia non era più rappresentata da quel movimento a tenaglia che stringeva contemporaneamente dalla Spagna mora verso la Francia e da Costantinopoli verso i Balcani, ma pur restando aperto solo il fronte orientale rappresentava comunque un grosso pericolo. Proprio come il vento della steppa sulla puszta, le orde turche si riversavano senza soste sull'Ungheria, avanzando pressoché incontrastate fino all'Austria meridionale: sino a quando il fronte orientale non fosse stato sicuro, era impossibile parlare di pace. Alla superiorità numerica dei turchi rispondeva, nell'esercito imperiale, l'affidabilità dei moschettieri e dell'artiglieria. I violenti attacchi in massa dei giannizzeri rendevano però difficile mantenere l'ordine in battaglia e la disciplina nelle fasi del contrattacco. L'armata ottomana per tutti quei decenni di contesa nei Balcani restava insomma un nemico pericoloso, per numero, imprevedibilità e crudeltà. Eugenio di Savoia su questo scacchiere che lo vide vincitore a più riprese costruì il suo mito. Sapeva pianificare con estrema cautela, valutando ogni minima possibilità del momento, e contemporaneamente sapeva agire ponendosi obiettivi a lungo termine. Il rapporto dell'ambasciatore veneziano Carlo Ruzzini descrive alla perfezione il condottiero sabaudo dopo una delle sue più famose battaglie: «Per quanto al trionfo di Zenta molto abbia contribuito la fortuna, che obbedisce a disegni più alti, il principe riunisce in sé una tale acutezza e capacità di giudizio da essere annoverato fra i primissimi comandanti. È esperto al massimo grado delle cose di guerra e si preoccupa di ogni particolare. Possiede grande coraggio e ponderatezza e sa afferrare e valutare nel modo giusto le occasioni che si presentano. Riservato e di poche parole, dà il riconoscimento a seconda del merito...». Nonostante la fama e gli incarichi ricoperti sdegnò le tentazioni della ricchezza; come acutamente scrisse Rousseau, che compose due odi in onore di Eugenio, «fu imparando a vincere se stesso che apprese a domare i suoi più fieri nemici».



Se sul campo si è affermata la gloria dell'Eugenio condottiero (ammiratori della sua capacità di stratega furono Federico di Prussia eNapoleone), non va dimenticato che Eugenio fu anche o soprattutto un illuminato statista. Il pensiero e le gesta di Eugenio ne fanno un precursore dell'Europa unita e testimoniano una visione che va oltre la propria epoca, grazie alla capacità di porre l'accento su una politica europea «comune», attraverso la promozione di una confederazione di Stati che superasse il mutevole e ingannevole gioco delle alleanze tra le diverse monarchie, che dovevano invece agire insieme per difendere unite il proprio patrimonio di valori comuni dal "nemico" che arrivava da Oriente. Nonostante il peso della componente tedescoaustriaca nella sua visione, si può decisamente parlare di una concezione europeistica del principe; Eugenio si sentiva europeo per la sua instancabile disponibilità a impegnarsi «per il bene dell'Europa» e «per la sicurezza d'Europa».
La coscienza europea del principe piemontese era plasmata dalla sua predisposizione, dalla sua personalità, dagli intrecci del suo destino: la sua stessa personalità univa armonicamente qualità di diversi Paesi, amalgamati nel suo carattere e nella sua persona: Italia, Francia, Germania. L'ultimo degli Asburgo, l'arciduca Otto, nel 2006 scrisse di Eugenio: «Al principe Eugenio di Savoia, che Napoleone annoverò fra i grandi condottieri, spetta un posto di primo piano nella storia del Settecento. Riuscì a scorgere, oltre i propri limiti storici, ciò che noi cominciamo a capire soltanto ora, provati come siamo dalle catastrofi del XX secolo: la visione di un'Europa naturalmente unitaria pur nelle sue diverse articolazioni. Gli storici hanno troppo a lungo trascurato lo statista e l'accorto architetto politico. Ed è proprio questo che, oggi, assume per noi un significato preminente, se vogliamo riconoscere nella storia non una scienza statica, da museo, ma una maestra di politica».





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