mercoledì 6 aprile 2016

Con i soldi di Chavez e dell'Iran, Flavio Iglesias Sboròn si è comprato una cassa di birra al Dico



Soldi buttati, potevano investirli assai meglio [SGA].

Fondi neri da Chávez per creare Podemos in Spagna è bufera sul partito di Iglesias
I media di destra: “Fino al 2010 sette milioni da Caracas per esportare il progetto bolivariano”. A rischio l’ingresso nel governo Con quei soldi l’ex presidente del Venezuela ha sostenuto il centro studi dove hanno lavorato i dirigenti della formazione viola

di Alessandro Oppes Repubblica 6.4.16
MADRID. Era il sogno di Hugo Chávez: esportare il progetto bolivariano non solo nel Cono Sur, dove il suo messaggio ha fatto presa rapidamente, ma anche all’altro lato dell’Atlantico, nel territorio dell’antica madrepatria spagnola. Non ha fatto in tempo a vederlo realizzato ma, a tre anni dalla sua morte, un’incessante guerra di dossier dal contenuto ancora tutto da dimostrare cerca di provare la presenza della longa manus del “comandante immortale” nella genesi (postuma) della sua creatura iberica, Podemos. L’ultimo “scoop” sul presunto finanziamento illecito della formazione di Pablo Iglesias da parte di Caracas arriva con un bombardamento informativo lanciato in contemporanea dai giornali e siti web vicini alla destra e più ostili nei confronti del partito “viola”: Abc, Ok Diario e El Confidencial. Riportano con evidenza un documento del 2008, firmato dal ministro venezuelano delle Finanze dell’epoca, Rafael Isea, e controfirmato dallo stesso Chávez. Uno scritto in cui si sollecita la prosecuzione per tre anni degli aiuti finanziari (già avviata nel 2003) nei confronti del Ceps, il Centro de Estudios Políticos y Sociales per il quale hanno lavorato alcuni tra i più importanti dirigenti dell’attuale Podemos: da Pablo Iglesias a Íñigo Errejón, Carolina Bescansa, Juan Carlos Monedero, Luis Alegre. L’obiettivo? Ecco la “prova definitiva”, come la definisce Abc: non solo i servizi di consulenza al regime chavista, sempre ammessi da Iglesias e compagni, ma l’avvio di rapporti «con rappresentanti delle scuole di pensiero di sinistra, fondamentalmente anticapitaliste, che in Spagna possano creare consensi di forze politiche e movimenti sociali, propiziando in quel paese cambiamenti politici ancor più affini al governo bolivariano».
In sintesi: vi paghiamo per creare a Madrid un partito chavista. In tutto, fondi per 7.168.090 euro, concessi fino al 2010, cioè quasi il doppio rispetto a quella cifra di 3,7 milioni su cui lavora la polizia spagnola nella sua inchiesta su presunti finanziamenti illeciti a Podemos. Il fatto è che quella collaborazione si conclude nel 2012, Chávez muore nel marzo dell’anno successivo - le sue spoglie riposano nel mausoleo allestito al Cuartel de la Montaña di Caracas - l’équipe di politologi della Universidad Complutense rientra a Madrid (i rapporti con il regime di Nicolás Maduro non solo altrettanto buoni che quelli stretti con il suo predecessore) e Podemos muove i primi passi con l’atto di fondazione solo nel gennaio 2014. La perfetta scelta di tempo nella diffusione di questi documenti “bomba” fa riflettere. Domani è in programma il primo vertice a tre fra socialisti, Podemos e Ciudadanos, uno degli ultimi tentativi per arrivare alla formazione di un governo che eviti il ritorno alle urne (se la Spagna non avrà un esecutivo entro il prossimo 2 maggio, sarà automatico lo scioglimento delle Camere e la convocazione di nuove elezioni legislative per il 26 giugno). Per i popolari di Mariano Rajoy, che hanno visto frustrate le loro speranze di convincere il Psoe di Pedro Sánchez a formare una “gran coalición”, il ricorso al voto è ormai l’ultima speranza di conservare la poltrona della Moncloa. E infatti ieri sono subito partiti in tromba, a cominciare dalla vice-premier Sáenz de Santamaría, mettendo in guardia Sánchez e il leader di Ciudadanos Albert Rivera da inopportuni accordi con Iglesias.
Podemos, con un tweet del numero due Errejón, ricorda che «la giustizia ha archiviato già tre volte denunce per finanziamento illegale contro di noi». Ed è vero. Ma le accuse continuano a fioccare con insistenza. Tra le ultime, non più di tre settimane fa, un rapporto di origine incerta fatto arrivare dalla polizia alla Corte dei Conti, in cui si cerca di dimostrare un finanziamento illecito a Podemos da parte del governo iraniano attraverso la società di produzione televisiva Hispan Tv. Un documento «privo di indizi razionali» secondo la procura, che ne chiede l’archiviazione. 


“Podemos ha ricevuto 7 milioni da Chávez”. Bufera sugli indignados 

Dopo le voci arrivano i documenti che attesterebbero un flusso di denaro costante e cospicuo da parte di Caracas nelle casse della fondazione di Pablo Iglesias 

05/04/2016 francesco olivo  madrid 
Le voci sui finanziamenti di Podemos da parte del Venezuela non sono nuove. Ora, però, arrivano i documenti che attesterebbero un flusso di denaro costante e cospicuo da parte di Caracas nelle casse della fondazione di Pablo Iglesias. Secondo il quotidiano spagnolo online El Confindencial il Ceps (centro studi politici e sociali) di Iglesias e Juan Carlos Monedero, avrebbe intascato quasi sette milioni di dollari, come compenso per alcune consulenze per il regime di Chávez e Maduro. La prova starebbe in un documento firmato nel 2008 da Rafael Isea, allora ministro delle Finanze del governo Chávez, con l’obiettivo dichiarato di “favorire un governo in Spagna più affine con i valori della rivoluzione bolivariana”. Nel documento, pubblicato sul sito del quotidiano conservatore Abc, compare la firma dello stesso Hugo Chávez. In quell’anno Podemos non era ancora nato, ma la fondazione Ceps è considerata una sorta di embrione dell’attuale movimento politico. 
I soldi da Caracas e Teheran 
Gli intestatari dei pagamenti, secondo la testata online, sarebbero il leader di Podemos Pablo Iglesias, Juan Carlos Monedero, il discusso fondatore (dimessosi proprio per una vicenda simile) e Jorge Verstrynge, istrionico politologo dell’università Complutense con un turbolento passato politico. 
La somma sarebbe stata ripartita negli anni: nel 2008 2,49 milioni di dollari e 4,2 nel periodo tra il 2009 e il 2012. Questo documento è ora in possesso della sezione anti-corruzione della polizia spagnola che sta indagando sui finanziamenti all’estero di Podemos, da parte del Venezuela e dell’Iran, mediante la produzione del programma televisivo di Pablo Iglesias. 
Podemos nega tutto 
Il partito degli indignados si difende: “Queste notizie escono puntuali ogni volta che si avvicinano le elezioni - commenta Sergio Pascual della direzione del partito - abbiamo già dato mille spiegazioni”. Ma la polemica politica è inevitabile: “La legge vieta il finanziamento estero dei partiti - attacca la vicepresidente del governo di centrodestra, Soraya Sáenz de Santamaría - serve un chiarimento molto rigoroso”. Ciudadanos, il partito centrista che giovedì incontrerà Podemos per tentare un accordo di governo, chiede lumi: “Hanno l’obbligo di dirci come sono andate le cose, serve responsabilità politica”, dice il capogruppo al Congresso, Juan Carlos Girauta.


Telenovela infinita, in Spagna lo scioglimento delle Cortes s’avvicina 

Impasse. Il nuovo governo non emerge, quello vecchio non rende più conto dei suoi atti al parlamento. Il vero nodo del dibattito fra socialisti, Podemos e Ciudadanos resta la questione catalana
Luca Tancredi Barone Manifesto 8.4.2016, 23:59 
Centonove giorni dopo le elezioni e a 22 giorni dallo scioglimento automatico del parlamento in mancanza di un nuovo governo, i tre principali partiti dello scacchiere politico alternativi al partito popolare si sono incontrati per 2 ore e mezzo, ma senza raggiungere nessun risultato. Finora, come in ogni telenovela che si rispetti, fra i personaggi principali, tutti hanno litigato e fatto l’amore con tutti. Ora siamo al punto in cui lo sceneggiatore non sa come sbloccare la situazione. E non è chiaro se il gioco è quello del cerino acceso, ma si andrà a elezioni, o c’è una volontà di approdare a un governo. 
L’unica cosa chiara è che il partito popolare è sempre più solo. Nonostante gli sforzi di Ciudadanos, che però nel frattempo ha firmato un accordo col Psoe, il Pp non si è scrollato di dosso il peso di Mariano Rajoy, che continua come uno zombie a resistere arroccato alla Moncloa, con l’unica speranza che nuove elezioni possano ridargli forza. L’idea, mai nascosta da Albert Rivera e dai suoi, era quella di coinvolgerli per scongiurare l’arrivo del temuto Podemos nella stanza dei bottoni. Ma la manovra non è riuscita. Nel frattempo Podemos, che aveva tuonato contro l’accordo, ha cambiato strategia virando di 180 gradi. Complici le tensioni interne, che hanno visto Pablo Iglesias scontrarsi con il suo numero due, Íñigo Errejón, quelli di Podemos hanno scelto di abbassare i toni che dal giorno delle elezioni erano stati spesso sopra le righe. Iglesias era arrivato a pretendere la vicepresidenza del governo in conferenza stampa, senza averne parlato con Sánchez. Ma nelle ultime settimane, rimangiandosi il suo ego, ha detto che è pronto a farsi da parte. Fino ad arrivare, in una sorprendente inversione dei ruoli, a chiedere a Ciudadanos, sempre più nervoso per l’avvicinamento dei socialisti con i viola, di abbassare i toni e di prepararsi ad appoggiare un governo rosso-viola. Esattamente la stessa richiesta, a parti invertite, fatta a Podemos rispetto all’accordo socialisti-Ciudadanos. 
Pantomima a parte, sono anche accadute cose significative dal punto di vista politico. Per la prima volta le camere hanno iniziato a funzionare senza un governo eletto. E in un’inedita ma pericolosissima sfida, il governo si rifiuta di rendere conto dei suoi atti al nuovo parlamento. Proprio questa settimana, per questo le Cortes hanno chiesto l’intervento del tribunale costituzionale. Rajoy ha solo accettato di illustrare l’accordo europeo con la Turchia, ma non ha accettato le critiche che gli hanno mosso tutti gli altri partiti. Non solo.
 Questa settimana è iniziato il cammino legislativo di varie mozioni che hanno l’obiettivo di bloccare alcune delle leggi più controverse della stagione popolare: la riforma educativa, la legge bavaglio sulle manifestazioni, la riforma del codice penale. Significativamente, sul blocco della riforma educativa Ciudadanos non ha votato con i socialisti, ma si è astenuto. La mozione è stata approvata coi voti di tutti gli altri (eccetto il Pp, ma compresi i partiti indipendentisti catalani, il cui voto favorevole all’investitura Sánchez dice di non volere). Ma lo scontro più aspro c’è stato fra Ciudadanos e Podemos proprio due giorni fa quando si è discusso in parlamento della questione rifugiati. Rivera e Iglesias si sono lanciati accuse piuttosto pesanti che non lasciavano presagire nulla di buono per l’incontro di ieri. Izquierda Unida, unico partito che chiede esplicitamente di evitare le elezioni, ha presentato ieri una denuncia criminale contro il governo di Rajoy per aver firmato l’infame accordo con la Turchia. 
Formalmente, per quanto la distanza nelle ricette sociali ed economiche di Ciudadanos e Podemos è piuttosto elevata, il vero nodo del dibattito fra i tre partiti resta la questione catalana. Non a caso Sánchez ha incontrato la settimana scorsa il presidente catalano Puigdemont, oggi lo farà Iglesias e venerdì lo farà Rivera. E non a caso proprio ieri il parlament catalano ha riapprovato, con piccole modifiche, la mozione di rottura con la Spagna già sospesa dal tribunale costituzionale. Podemos ha già annunciato di aver messo da parte la questione e ha elaborato 20 proposte di minima più moderate pur di ottenere l’appoggio di Ciudadanos. Che però non vuole scostarsi dall’accordo firmato coi socialisti. La presenza simultanea di arancioni e viola in un esecutivo socialista, opzione preferita da Sánchez, sembra impossibile. La telenovela continua.

Podemos dà la parola ai militanti
Spagna. Appoggiare o meno un patto di governo Psoe-Ciudadanos? Decida la base. Una maniera abile per schivare l’accusa di aver fatto saltare l’accordoo. E il ritorno alle urne sembra sempre più probabileLuca Tancredi Barone Manifesto 9.4.2016, 23:58
Hanno aspettato di sbollire la rabbia tutta una notte prima di parlare in pubblico. Cancellata la conferenza stampa prevista giovedì sera dopo l’incontro con Ciudadanos e Psoe, Pablo Iglesias e i suoi si sono riuniti ieri mattina in parlamento con tutto il gruppo parlamentare e con gli alleati galiziani di En marea e quelli catalani di En comú podem. E hanno reso pubblico quello che tutti si aspettavano: il patto a tre, il «199» come lo chiama Pedro Sánchez riferendosi al numero di seggi corrispondente alla somma di Psoe, Ciudadanos e Podemos, è impossibile.
Ma Podemos non ci sta a prendersi la colpa. E rilancia: vogliamo essere «molto chiari e onesti con i cittadini spagnoli», ha detto. Per questo sottoporrà ai suoi 400mila militanti due domande vincolanti: una maniera abile per schivare l’accusa di aver fatto saltare l’accordo. «Vuoi un governo basato sul patto Rivera-Sánchez?» e «Sei d’accordo con la proposta di governo del cambiamento difesa da Podemos – En marea – En comú podem?». Iglesias ha detto che appoggia una risposta negativa alla prima domanda e una positiva alla seconda, e che se i militanti la pensassero in modo diverso ne «assumerà le responsabilità politiche».
In realtà le cose non sono cambiate dal 20 dicembre. Il Partito socialista aveva due opzioni davanti: lavorare con Ciudadanos e il Pp da un lato per una specie di Grosse Koalition iberica, appoggiata direttamente o indirettamente dal Pp; o una soluzione portoghese, inevitabilmente appoggiata indirettamente anche dai partiti indipendentisti o da Ciudadanos con una astensione tecnica. Ma invece di tentare un accordo a sinistra per poi trovare il modo di convincere Ciudadanos e qualcun altro ad astenersi, Sánchez, con le mani legate dall’ampio settore immobilista e centralista del partito, ha scelto di fare prima un patto con Ciudadanos, che aggiungeva solo 40 seggi ai suoi 90, per poi cercare di costringere Podemos ad accettarlo. Una possibilità che Podemos non ha mai preso in considerazione.
D’altra parte, Podemos è stato subito molto aggressivo con i socialisti, dando loro l’alibi perfetto per iniziare le negoziazioni a destra invece che a sinistra, nella disperazione di Izquierda Unida e dei valenziani di Compromís, che hanno cercato in tutti i modi di far sedere allo stesso tavolo Podemos e Psoe. La sceneggiata dell’incontro pubblico fra Iglesias e Sánchez alla fine c’è stata subito dopo Pasqua, ma fuori tempo massimo.
Dati i colpi di scena di queste settimane ancora tutto è possibile. Ma sembra che ormai il copione sia stato scritto. Tra giovedì e sabato i militanti di Podemos rigetteranno il governo rosso-arancione, il che implica che si dovrà tornare a votare nonostante i sondaggi prevedano uno stallo bis (a meno che stavolta il Podemos non accetti di allearsi con Izquierda Unida a livello nazionale, nel qual caso la legge elettorale potrebbe consentire il sorpasso sul Psoe).
Iglesias ha chiesto polemicamente al Psoe di essere altrettanto chiaro coi suoi militanti, a cui invece aveva sottoposto una domanda molto generica. «Magari il Psoe chiedesse ai suoi militanti se preferiscono un’alleanza con Podemos o Ciudadanos, sarebbe bellissimo», ha detto.
Per il sempre più probabile voto a giugno, ancora una volta la Catalogna sarà chiave. Pur avendo messo da parte nei negoziati degli ultimi giorni la questione referendum, Podemos (assieme a Iu) rimane pur sempre l’unico partito nazionale a difendere il diritto all’autodeterminazione. E nell’incontro di ieri fra Iglesias e il presidente catalano Puigdemont inevitabilmente uno dei temi sul tappeto è stato proprio questo.

Spagna, verso nuove elezioni il 26 giugno
Spagna. Possibile un accordo politico tra Podemos e Izquierda Unida
Podemos in parlamento
Luca Tancredi Barone BARCELLONA Edizione del
È iniziata ieri l’ultima settimana della legislatura più corta della democrazia spagnola. Dopo ben cinque mesi dalle elezioni, è ormai chiaro che i partiti spagnoli non sono stati in grado di raggiungere un accordo. La campagna elettorale è iniziata da molte settimane.
Il giorno 3 maggio scadranno i sessanta giorni dalla prima seduta di investitura del Congresso, giorno a partire dal quale scatta il conto alla rovescia per la formazione di un nuovo governo. E per la prima volta sarà dunque il re Filippo VI a sciogliere le camere, una funzione che in circostanze normali spetta sempre al presidente del governo. Le elezioni in questo caso saranno celebrate il giorno 26 giugno.
Ieri il monarca ha iniziato un terzo giro di consultazioni, dopo i primi due che culminarono con l’incarico al socialista Pedro Sánchez. Oggi il Borbone vedrà i quattro principali partiti. Il capo dello stato è intenzionato ad affidare un nuovo incarico solo nel caso esistano possibilità concrete di successo, cosa che al momento è da escludersi.
La prima ragione è che non c’è più tempo: per votare la fiducia entro martedì prossimo, la prima sessione andrebbe convocata al massimo venerdì di questa settimana, per votare la prima volta il giorno dopo (e qui ci vorrebbe la maggioranza assoluta dei voti); dopodiché, devono passare 48 ore, e si dovrebbe convocare la seconda seduta lunedì per votare martedì, e stavolta basterebbe una maggioranza di sì. Ma finora, nelle uniche due sedute di investitura, il conteggio dei seggi favorevoli si è fermato a 131.
Il secondo motivo è che Mariano Rajoy in queste settimane non si è mosso dalla sua posizione di attesa passiva. Nonostante il fallimento di Sánchez, che non è riuscito ad aggiungere che un solo voto ai 130 seggi garantiti dal suo partito e da Ciudadanos, Rajoy non ha saputo giocare le sue carte per salvare se non se stesso almeno il suo partito. E ha continuato a sperare in elezioni che, pensano, potrebbero ridare fiato al Pp, se non altro per un tasso d’astensione che si prevede alto, e magari rafforzare Ciudadanos, con cui non sarebbe difficile arrivare a un accordo.
Ma obiettivamente, c’è anche un altro grande sconfitto da queste settimane di negoziati infruttuosi: Pedro Sánchez, che non ha voluto – o non ha potuto – esplorare un’alleanza a sinistra verso cui in seguito spingere Ciudadanos. Per ragioni ideologiche, questo partito avrebbe avuto difficoltà a difendere davanti ai suoi elettori un voto che avrebbe spinto alle elezioni anticipate, mentre ora può sostenere di essere l’unico partito “responsabile”. Ma Sánchez aveva le mani legate dal suo stesso partito: meglio fallire, ma con Podemos (e l’astensione già promessa degli indipendentisti catalani e baschi) mai. Aver tentato la manovra opposta di spingere Podemos all’astensione, se mai qualcuno fra i socialisti avesse mai pensato ingenuamente che fosse realistica, è fallita miseramente. L’ultima disperata proposta per sbloccare la situazione l’ha fatta Ciudadanos, chiedendo una soluzione tecnica, un incarico a un Monti spagnolo. Sarebbe una decisione inedita per la giovane democrazia spagnola.
Ma forse l’obiettivo dei pesi massimi socialisti era proprio quello di bruciare Sánchez per spianare la strada a Susana Díaz, la potente, e assai più politicamente moderata, presidente andalusa, che è da sempre segretaria in pectore. D’altra parte, Sánchez invece sembra convinto che tanta visibilità e il framing narrativo su cui ha giocato di “aver fatto di tutto” per formare il governo gli gioveranno elettoralmente. E sarà bene per lui che sia così: perché invece stavolta – con buona pace di Rajoy – i risultati elettorali potrebbero essere molto diversi. Perché Podemos ha fatto marcia indietro rispetto a sei mesi fa, e sembra molto più vicino ad accettare un accordo con Izquierda Unida, unico partito che non esce penalizzato – stando ai sondaggi – da questi mesi di frustrazione.
Certamente per le qualità politiche e umane del portavoce Alberto Garzón, e per la delusione rispetto al partito di Pablo Iglesias, che ha gestito i negoziati in maniera poco lineare e con poca abilità. Ma la somma delle due liste a livello nazionale, come già avvenuto in Catalogna, Galizia e Valencia, potrebbe ottenere un risultato strabiliante, complice una legge elettorale che penalizza molto i partiti più piccoli diffusi a livello nazionale. Se anche gli elettori votassero esattamente nello stesso modo, IU+Podemos+ alleanze locali avrebbero 14 seggi in più (85 seggi invece degli attuali 69 + 2 di IU), e tre seggi in meno dei socialisti (che scenderebbero a 88). E soprattutto, il governo di sinistra sarebbe praticamente fatto (avrebbe 173 voti, a un passo dai 176 che segnano la maggioranza assoluta).
La speranza di Garzón e Iglesias è proprio il sorpasso del Psoe. Uno scenario per nulla fantascientifico, visto che Podemos + IU + alleanze locali hanno già mezzo milione di voti più del Psoe. Per ora i due partiti non confermano nulla, ma se il matrimonio si farà, il 27 giugno ne vedremo delle belle. 

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