mercoledì 27 aprile 2016

Festorazzen prosegue la sua eroica battaglia solitaria contro Togliatti e il Pci

Tutti gli scheletri negli armadi degli Istituti della Resistenza
Lo storico Festorazzi rivela, grazie alle carte del «comandante Stefano», le complicità del Pci sulla morte di «Neri» e «Gianna», l’oro di Dongo e l’emarginazione di Gementi
Libero 27 Apr 2016 MARIO BERNARDI GUARDI RIPRODUZIONE RISERVATA
Nel sito dell’Anpi sono censite ben 3.107 personalità dell’antifascismo militante. Ma dalla grande famiglia della Resistenza sono esclusi Luigi Canali e Giuseppina Tuissi. Ovvero il «capitano Neri», carismatico leader della lotta partigiana nel Comasco, e la sua donna, la «Gianna», indomita staffetta garibaldina. Due protagonisti importanti, visto che Neri ebbe un ruolo centrale nel concitato epilogo mussoliniano e Gianna, con il compagno, fu la «contabile dell’oro di Dongo», sottratto al Duce e ai gerarchi .
Ebbene, lo storico Roberto Festorazzi nel suo ultimo saggio (Gli archivi del silenzio, Il Silicio, pp. 200, euro 25) mostra, memoriali e documenti alla mano, quanto i due eroici combattenti partigiani fossero ingombranti. Neri, infatti, «si era opposto non solo all’uccisione di Mussolini senza regolare processo, ma anche all’incameramento dell’oro di Dongo da parte del Pci» e lei aveva condiviso le scelte del suo uomo. Troppo nette per non mandare in bestia i dirigenti del partito a cui quella coppia, così ostica alla disciplina, stava da tempo sulle scatole. Tanto è vero che il 25 febbraio del 1945 li avevano condannati a morte per sospetto «vile compromesso col nemico nazifascista». Si diceva che i due, arrestati e torturati dalle Brigate Nere, se l’erano cavata denunciando i loro compagni. Non c’era uno straccio di prova e Neri aveva contrattaccato con un memoriale. Inutilmente. Tuttavia, in aprile, il capitano, venerato dai suoi partigiani, torna alla testa delle formazioni garibaldine.
Passa un mese e il 7 maggio viene fatto fuori da una squadraccia rossa; quanto alla Gianna, il 23 giugno viene trucidata e scaraventata giù dalla scogliera del Pizzo di Cernobbio. Perché? Perché sapevano troppo sui veri esecutori della fucilazione del Duce e sull’oro di Dongo finito nelle casse del Pci. Ma naturalmente queste sono cose che non si possono dire.
La ricerca di Festorazzi è un lungo elenco di silenzi e complicità, omertà e menzogne targati Pci. E più che mai aiuta a rendersi conto che la morte di Neri e Gianna è strettamente legata a quella di Mussolini e della Petacci. Quanto all’oro di Dongo, «chi l’ha visto?».
Ora, gli Istituti Storici della Resistenza non dovrebbero contribuire proprio a far luce su misteri e delitti del dopo Dongo? Non sarebbe questo il loro compito istituzionale, dato che sono stati costituiti con legge dello Stato, che sono finanziati pure con denari pubblici e che godono di sostegni indiretti, «garantiti attraverso l’avvio di personale insegnante regolarmente in ruolo, distolto dalle aule scolastiche e distaccato presso le sedi di questi 70 enti territoriali»?
In realtà, ci dice Festorazzi, questi istituti, che fanno capo all’Ismaili, sono «organi di propaganda politica». I loro «armadi nascosti» servono a custodire i documenti più scottanti: quelli che mostrano come i comunisti hanno egemonizzato le vicende della lotta partigiana, fabbricandone poi «una versione edulcorata e falsa».
«Armadi della vergogna» e «scheletri negli armadi». Meno male che di tanto in tanto si fa avanti qualche ex partigiano duro e puro, ma non ottuso, che è in grado di contestare le verità di comodo e di smascherare Anpi e Istituti resistenziali. È il caso del 93enne Mario Tonghini, protagonista della Resistenza lariana col nome di «comandante Stefano». Tonghini ha messo a disposizione dell’autore un intero archivio di carte inedite. Che, se contribuiscono a rafforzare l’immagine eroica di Neri e Gianna, consentono di far emergere casi clamorosi. Come l’oblio caduto sulla figura del «comandante Riccardo», Oreste Gementi, che con Neri condivise la leadership della Resistenza militare nel Comasco, ma che, dal punto di vista del Pci stalinista, ebbe un bel po’ di torti. Perché non si allineò alla verità di partito imposta sulla morte del Duce e si oppose con tutte le forze al terrore rosso scatenato contro i partigiani che avevano qualcosa da dire sull’oro di Dongo e delitti conseguenti. Ed è proprio perché è stato fatto fuori chi sapeva «troppo» che noi continuiamo a sapere troppo poco.

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