giovedì 7 aprile 2016

"Forme di capitale", di Pierre Bourdieu

Pierre Bourdieu: Forme di capitale, Armando editore

Risvolto

Il saggio è tra i contributi fondamentali di Bourdieu alla teoria sociale. In esso viene presentata la teoria delle forme di capitale che costituisce uno dei capisaldi della teoria del mondo sociale del sociologo francese - esito tra i più lucidi e proficui di quel progetto di integrazione tra Marx, Weber e Durkheim (e non solo) in una nuova sintesi teorica che costituisce la cifra della prestazione intellettuale di Bourdieu.






Lo scambio ineguale che regola la vita in società 

Saggi . «Forme di capitale» di Pierre Bourdieu per Armando editore. Una tassonomia costruita per mettere in evidenza la tensione tra dominio e libertà 

Andrea Girometti Manifesto 7.4.2016, 0:02 
«Il mondo sociale è storia accumulata», irriducibile a una sequenza lineare di situazioni di equilibrio, «meccaniche e di breve vita», nelle quali gli agenti sociali sarebbero semplici «particelle intercambiabili». Tale riduzione può essere evitata, in particolar modo, se si assume come centrale il concetto di capitale inteso come «lavoro accumulato (nella sua forma materiale o nella sua forma incorporata) che, se appropriato in forma esclusiva o privata da singoli o gruppi, rende possibile anche appropriarsi di energia sociale in forma di lavoro oggettivato o umano». 
Pierre Bourdieu apre così Forme di capitale (a cura di Marco Santoro, Armando Editore, pp. 127), saggio apparso prima in lingua tedesca (1983), poi, parzialmente rimaneggiato, in inglese (1986). La categoria di capitale, dispositivo teorico correlato con quelli di campo (in cui s’identifica un principio epistemologico chiave come quello di relazionalità) e habitus – tutti coessenziali nella proposta di Bourdieu di costruzione di una teoria della conoscenza sociologica, non di una teoria della società –, svolge un ruolo preminente nell’elaborazione del sociologo francese e attraversa la sua intera opera a partire dagli studi sulla società berbera algerina, dunque di un contesto pre-capitalistico che già, in quanto tale, segna un differente approccio rispetto alla teoria economica dominante (inclusa quella che Santoro definisce, in modo opinabile, la «variante marxista»). 
Anche per questo è positiva questa traduzione, dato che consente – grazie all’introduzione di Santoro – di testare il carattere multidimensionale del concetto di capitale proposto dal sociologo contestualizzandolo sia nel percorso teorico dell’autore, sia nel campo teorico in cui è situato. Già il titolo rinchiude in sé un pluriverso sociologico: l’oggetto sembra rinviare direttamente a Marx, mentre la nozione di forme richiama Durkheim, quando in realtà il contenuto assume un’inclinazione fortemente weberiana. 
L’economia del disinteresse 
Per Bourdieu non c’è un unico tipo di capitale identificabile con quello economico, anche se quest’ultimo ne rappresenta una forma certamente basilare. Se con capitale s’intende tutto ciò che si possiede/dispone e conferisce potere agli agenti sociali, l’affermazione della società borghese, con il suo marcato processo di differenziazione sociale, ha posto una demarcazione tra la sfera economica, in cui sarebbe l’interesse a dominare e in cui le scienze economiche sono diventate «pura scienza delle relazioni di mercato» che assumono come scontati i fondamenti che intendono analizzare (proprietà privata, profitto, lavoro salariale), e una sfera che si presume pura, prioritariamente culturale e artistica, in cui regnerebbero attività connotate dal disinteresse. 
Tale distinzione, secondo Bourdieu, non consente di evidenziare i modi di produzione specifici di forme di capitale diverse da quello economico, in primis il capitale sociale (l’insieme di relazioni e obblighi sociali di cui l’autore ha dato una prima teorizzazione ampiamente disconosciuta) e il capitale culturale (incorporato, oggettivato e infine istituzionalizzato in titoli di studio), che contribuiscono a riprodurre e legittimare la stratificazione sociale. Se i diversi tipi di capitale sono tra loro convertibili (con relativi «tassi si cambio») ed è il capitale simbolico a giocare un ruolo di meta-capitale, nel contempo sono le dinamiche di accumulazione, competizione ed esclusione a risultare dirimenti. D’altra parte, la riduzione delle scienze economiche al solo campo economico, non consente «la costruzione di una scienza generale dell’economia delle pratiche» (obiettivo comune e mancato dallo stesso materialismo storico) e non coglie quanto specifiche forme d’interesse, incentrate su determinate poste in gioco, muovano gli agenti sociali nei diversi campi che a loro volta sono sempre connotati da rapporti di potere. 
Per Bourdieu la nozione d’interesse, di agente interessato nella sua tensione verso un profitto non ricalca affatto una mitica scelta razionale e trasparente, bensì risulta tacito e sociale, non esplicito e individuale.
Se esso rinvia, in effetti, a disposizioni sociali prodotte, seppure non meccanicamente, dagli habitus, e a motivazioni conformi all’«interesse oggettivo del campo» in cui il calcolo cinicamente individuale risulta fuorviante per capire le stesse dinamiche economiche, nondimeno, ciò che succede nei campi artistici e culturali (ma anche religiosi), in cui è proprio la distinzione come rinuncia ad ogni interesse e tipo di calcolo a essere premiata dalla logica del campo, evidenzia un particolare tipo d’investimento e d’interesse – l’interesse al disinteresse – all’opera. 
Questione di agonismo 
Nasce proprio qui l’accusa anti-utilitarista di economicismo alla prospettiva bourdieusiana, in cui si tende a travisare l’operazione del sociologo intenta a sottrarre alla teoria economica il concetto di capitale per piegarlo ad un’analisi critica, ed empiricamente messa alla prova, di un mondo sociale strutturato in forme di dominio e di «agonismo». L’intento, dunque, era – come suggerisce Santoro – quello di «sviluppare una teoria delle pratiche, di cui quelle economiche fossero un modello ed un caso particolare». E ciò è ancora più chiaro se si confronta l’approccio di Bourdieu con coloro che hanno tentato un’operazione simile, ma di segno opposto – «i teoretici del capitale umano» oggi ampiamente in voga – intenti a ridurre il capitale scolastico agli investimenti esprimibili in termini monetari, occultando quanto la trasmissione diseguale del capitale culturale (autentica scoperta di Bourdieu insieme al collega Jean-Claude Passeron) avvenga innanzitutto in famiglia.

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