domenica 24 aprile 2016

Il "Vade mecum" di Giovanni di Rupescissa


Giovanni di Rupescissa: Vade mecum in tribulatione, a cura di Elena Tealdi, Vita e Pensiero, pp. 330, euro 30

Risvolto
Il Vade mecum in tribulatione è l’opera più celebre del profeta Giovanni di Rupescissa, il frate minore alvergnate che, arrestato nel 1349 e inizialmente detenuto in un carcere dell’ordine francescano, fu poi trasferito in una prigione papale ad Avignone e liberato solo alla vigilia della morte (1366). Nelle sue prigioni Giovanni viene progressivamente a conoscenza dell’intero patrimonio dei testi profetici medievali, che trascrive e interpreta per costruire un sistema previsionale dei tempi finali unitario e coerente. Nei venti brevi capitoli (chiamati “intenzioni”) del Vade mecum, il frate fissa i tratti delle imminenti tribolazioni e i modi per non esserne travolti, in attesa del successivo inizio dei mille anni di pace preconizzati nel libro dell’Apocalisse, e riporta attese apocalittiche e profili messianici entro un lessico profetico originale, destinato a notevole fortuna nei secoli successivi, come dimostra la rapida diffusione dell’opera in tutta Europa, sia nella versione originale latina sia nei volgarizzamenti prodotti in sette lingue.
Il volume offre la prima edizione critica del testo latino del Vade mecum, allestita da Elena Tealdi sulla base dei 46 manoscritti superstiti, la maggior parte dei quali venuti per la prima volta alla luce in questo lavoro. Il commento della curatrice e le ampie introduzioni di Robert E. Lerner e di Gian Luca Potestà permettono di scorgere in controluce le tensioni spirituali e le attese riformatrici diffuse in ampi settori della Chiesa alla vigilia del Grande Scisma.

Istruzioni per resistere in attesa dell’Anticristo
Libero 24 Apr 2016
CLAUDIAGUALDANA RIPRODUZIONE RISERVATA
Far tesoro della prigionia: solo un uomo di fede può davvero riuscirci. Così è stato per il frate francescano alvergnate Giovanni di Rupescissa. Fu arrestato per motivi poco chiari nel 1349 e contò i suoi giorni in un carcere papale ad Avignone fin quasi alla morte, avvenuta nel 1366. La sua permanenza in prigione è scandita probabilmente da preghiere e meditazioni di cui non abbiamo notizia; e di libri, tanti libri, tra quelli letti, studiati e, soprattutto, scritti. Il più importante è il Vade mecum in tribulatione, pubblicato a cura di Elena Tealdi (Vita e Pensiero, pp. 330, euro 30) per la prima volta in edizione critica sulla base dei 46 manoscritti superstiti.
L’intento del frate è fissare il profilo delle tribolazioni imminenti in attesa dell’Anticristo, indicando strategie per non essere travolti dai tempi grami, per assistere infine all’avvio del millennio di quiete che precede l’Apocalisse. A suo tempo, l’opera fu un bestseller in tutta Europa. Oggi è forse un libro per pochi, ma la dice lunga sulla prospettiva messianica che attraversa il cristianesimo medievale, in una costante attesa del male destinato alla sconfitta finale.
Il Redentore e la sua Chiesa trionferanno su Satana, ma questi intende conquistare il mondo e c’è da combattere. Largo dunque alle numerose variazioni sul tema, alle quali Giovanni, nei venti brevi capitoli chiamati «intenzioni», aggiunge un lessico profetico e un’interpretazione originale. Egli si sente un profeta, nella misura in cui questi è colui il quale porta alla luce il mistero della storia cristica attraverso l’interpretazione delle Scritture. Prevede addirittura l’avvento di due Anticristi, quello d’Occidente e quello d’Oriente, inserendosi nella storia dell’epoca per individuarne i tratti negli uomini di potere avversi alla Chiesa. Costoro sono novelli Nerone, persecutori ed eretici senza timore di Dio: i ghibellini. Il male assoluto è Federico II, quindi la sua discendenza è da temere. Troviamo nelle sue pagine l’imperatore Ludovico il Bavaro e Ludovico d’Aragona, sovrano di Sicilia, più tardi il suo coetaneo Pietro di Castiglia. Gli ultimi tempi prima del millennio di pace sono alle porte: l’infuriare del male si concluderà nel 1370. L’avvento di Cristo nella storia ha dato inizio alla redenzione e posto fine alla barbarie, perciò Rupescissa è nella storia, quella imminente, che vede il martirio dei giusti e il trionfo finale del bene.
Nel Vade Mecum compare infatti la figura del reparator, un pontefice francescano «destinato a restaurare la Chiesa in senso evangelico e a convertire giudei e infedeli, operando in stretta armonia con il sovrano francese destinato ad assumere la guida della cristianità». Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per capire la mentalità del Trecento, nel cuore di una delle crisi più profonde attraversate dal Papato, tra scismi e attese messianiche.

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