venerdì 1 aprile 2016

In Francia, dove non c'è la CGIL, è ancora possibile scioperare


Francia, prova «muscolare» contro i manifestanti
I cortei contro la riforma del lavoro. Polizia scatenata. La denuncia dei corrispondenti Afp. Il sito di «Le Monde» elenca tutti i video delle aggressioni 
di Guido Caldiron il manifesto 1.4.16
Alla terza giornata di mobilitazione nazionale contro la nuova legge sul lavoro voluta dal governo socialista, l’ombra delle bavures poliziesche plana sulle manifestazioni francesi. «Sbavature» rispetto ad una corretta gestione dell’ordine pubblico, come le chiamano i media, o vere e proprie violenze ingiustificate, come denunciato dai collettivi degli studenti, hanno accompagnato i grandi cortei parigini, conclusisi con decine di fermi. E non è andata meglio in provincia, con scontri e incidenti a Rennes, Nantes, Tolosa, Rouen e Marsiglia.
Nelle due maggiori città della Bretagna, la polizia non si è limitata ad usare i lacrimogeni, ma per disperdere i gruppi di manifestanti ha utilizzato anche i cannoni ad acqua montati sui blindati. A Tolosa, come documentato anche da diversi video girati dai giovani e postati sui social network, i lacrimogeni, in versione spray, sono stati utilizzati dagli agenti anche su manifestanti pacifici seduti in mezzo alla strada.
Una situazione che già a metà pomeriggio appariva molto grave, con i corrispondenti Afp che parlavano della linea «muscolare» degli agenti, mentre il sito di Le Monde elencava «diversi video che circolano in rete e che danno conto di violenze da parte della polizia».
Il bilancio politico si annuncia perciò catastrofico per il presidente Hollande come per il premier Valls, ma quello dell’ordine pubblico potrebbe essere anche peggiore. Se oltre a condurre delle politiche giudicate come «anti-popolari» da buona parte del suo elettorato, un governo progressista si mette anche a menare le mani, rischia di rimanere davvero poco da recuperare. E le presidenziali del 2017 sono alle porte.
Ci si sarebbe aspettata maggiore cautela da parte dell’esecutivo che deve già fare i conti con un caso divenuto emblematico dell’atteggiamento violento delle forze dell’ordine, quello di uno studente del liceo Bergson, nel XIX arrondissement di Parigi, pestato dagli agenti in occasione della precedente giornata di mobilitazione nazionale del 24 marzo. In un video, girato con il telefonino da un compagno del ragazzo, e già visto da oltre 2 milioni di utenti in rete, si vede Danon, questo il nome del 15enne aggredito, a terra e circondato da tre poliziotti che gli intimano di alzarsi prima che uno di loro gli sferri un violento pugno sul volto mentre un altro lo tiene per le braccia. In quella stessa giornata, giovani e studenti erano stati picchiati da altri agenti in borghese, che indossavano o meno il bracciale di riconoscimento obbligatorio, o dagli uomini delle Bac, le Brigate anti-crimine utilizzate da anni nelle banlieue.
In seguito alle denunce presentate dalle famiglie di 5 ragazzi malmenati in quell’occasione dagli agenti, un ufficiale di polizia è da ieri sottoposto ad un’inchiesta interna. Forse troppo tardi visto che nuove immagini di violenza degli uomini in divisa stanno già facendo il giro della rete.

“Noi ultimo baluardo Hollande si è schierato con le aziende”


L’intervista. Parla Philippe Martinez, segretario della Cgt primo sindacato francese
di Anais Ginori Repubblica 1.4.16
PARIGI. «Non è distruggendo lo statuto dei lavoratori che si creano posti di lavoro». Philippe Martinez, segretario generale della Cgt, prima confederazione sindacale francese con 692mila tesserati, era in piazza contro la riforma del governo e promette che la mobilitazione continuerà. «Faremo un’opposizione radicale — annuncia — perché è legge che neanche Nicolas Sarkozy avrebbe avuto il coraggio di proporre». Il suo giudizio sulla sinistra al potere è definitivo: «Tra le imprese e i lavoratori, abbiamo capito chi ha scelto François Hollande», commenta Martinez, 54 anni, origini spagnole, dipendente di Renault, lunghi baffi a manubrio e l’aria di chi non è facile al compromesso.
In Germania le riforme del mercato del lavoro hanno permesso di far diminuire la disoccupazione. Volete condannare la Francia all’immobilismo?
«In Germania le riforme hanno creato due classi di lavoratori: quelli delle grandi imprese con la copertura previdenziale e sociale, e poi tutti gli altri, spesso nelle piccole imprese, che non hanno nessuna tutela».
Il Jobs Act del governo Renzi ha creato posti di lavoro. Non le sembra un buon esempio?
«Finora si tratta di lavoro precario. È presto per capire se tutti i nuovi posti si tradurranno in contratti di durata indeterminata. Credo invece che sia l’ennesima tappa nel dumping sociale che prima è avvenuto al livello globale, poi europeo e ora all’interno dei singoli paesi».
Meglio la disoccupazione che un lavoro seppur precario?
«Trent’anni fa il capo del Medef (la Confindustria francese, ndr.), che era il papà dell’attuale presidente Pierre Gattaz, diceva già che i licenziamenti di oggi sarebbero stati le assunzioni di domani. È un concetto sbagliato».
Oggi l’85% dei nuovi contratti in Francia è a termine. Proteggete chi è già garantito e non chi entra sul mercato del lavoro?
«Non è aumentando la precarietà che tuteleremo i giovani. Se siamo tanto arcaici come dicono perché gli studenti manifestano con noi? La realtà è che ci sono sempre più lavoratori poveri che non arrivano a fine mese».
Non volete discutere neanche dei contributi sociali che pesano sul costo del lavoro?
«Se togliamo o diminuiamo i contributi, i lavoratori dovranno pagarsi cure, pensione? La Francia ha un modello sociale diverso che vogliamo proteggere».
Volete difendere a oltranza l’eccezione francese?
«Forse siamo l’ultima avanguardia o retroguardia d’Europa. Ci accusano di essere tardo- idealisti, ma non vedo esempi radiosi altrove».
Non dovreste fare qualcosa per diminuire la disoccupazione stabile sopra al 10%?
«Quest’anno registreremo il record di dividendi distribuiti agli azionisti. Quindi i soldi ci sono, è solo un problema di redistribuzione. Il governo ha regalato sgravi fiscali alle imprese senza che ci sia stato alcun impatto sull’occupazione. Infine, le assunzioni ci saranno se cresceranno i consumi e questo non dipende certo da noi».
Perché siete divisi tra sindacati?
«È il pluralismo francese. C’è chi, come la Cfdt, ha deciso di discutere per migliorare la riforma. Per noi non c’è trattativa possibile perché la riforma è concettualmente sbagliata: non si possono creare tanti statuti dei lavoratori quante sono le aziende».
Le 35 ore sono intoccabili?
«È una gigantesca ipocrisia. In Francia, attraverso le deroghe previste, l’orario medio di lavoro è di quasi 38 ore per operai, impiegati e di 44 ore per i quadri. Le imprese hanno preferito introdurre molte deroghe anziché creare posti di lavoro».
Il Front National sta prendendo il voto operaio. Non è un fallimento anche per voi?
«Gli elettori non fanno più differenza tra destra e sinistra: questa è la conseguenza. Un quarto dei nostri aderenti vota per il Fn. Noi siamo intransigenti: appena qualcuno del sindacato si presenta su una lista Fn viene radiato perché pensiamo sia un partito che divide, contrario ai nostri valori e che mente agli elettori. Ma non possiamo essere gli unici a condurre questa battaglia».
( © Lena, Leading European Newspaper Alliance)

Jobs Act, rivolta dei giovani francesi
Sindacati e studenti contro la riforma del lavoro. Scontri in molte città: 13 agenti feriti, centinaia di arresti La ministra El Khomri difende la legge: “Necessaria e giusta”. Battaglia in vista del dibattito in Parlamento

di A. G. Repubblica 1.4.16
PARIGI. Si prevede una primavera molto calda per il governo francese. Sindacati e studenti hanno organizzato ieri la seconda mobilitazione nazionale contro la riforma dello statuto dei lavoratori che dovrebbe inserire più flessibilità e favorire le assunzioni. Il premier Valls ha già emendato il testo presentato a inizio febbraio, facendo qualche concessione, ma per molti oppositori non è sufficiente.
Contro la legge El Khomri, dal nome della giovane ministra del Lavoro, il primo sindacato francese Cgt e alcune organizzazioni di studenti hanno deciso di scendere nuovamente in strada. In molti hanno risposto alla chiamata, anche se le cifre divergono: 1,2 milioni di manifestanti secondo gli organizzatori, 390mila per le autorità. Dati che mostrano comunque un aumento della mobilitazione rispetto ai primi cortei del 9 marzo. I dati convergono, invece, sui tafferugli che hanno macchiato la fine delle manifestazioni a Parigi, Rennes, Nantes, Tolosa e Grenoble: 13 poliziotti hanno riportato ferite per il lancio di sassi e altri oggetti, un centinaio di persone sono state fermate.
La protesta contro quello che è chiamato da molti il “Jobs Act alla francese” ha provocato forti disagi nel paese: 650 chilometri di code, con treni e metropolitane a singhiozzo. Bloccati i porti di Le Havre e Rouen, interrotto da manifestanti il ponte di Normandia che unisce Honfleur a Le Havre. Spenta e chiusa ai turisti anche la Tour Eiffel per l’agitazione del personale. Com’era accaduto in Italia, il governo di sinistra si ritrova ad affrontare l’opposizione di sindacati e di una parte del suo elettorato ostili alla riforma del mercato del lavoro, ma in questo caso sull’esecutivo pesa l’impopolarità record di Hollande che è anche a fine mandato: tra poco più di un anno si vota per le presidenziali. Dopo aver rinunciato mercoledì al progetto di revisione costituzionale sulla revoca della nazionalità per i terroristi, potrebbe essere costretto ad abbandonare anche questa riforma. Valls sembra irremovibile. Per il premier è una legge «intelligente, audace e necessaria». Se Cgt e la sigla più a sinistra Force Ouvrière continuano a chiedere di stralciare la legge El Khomri, la terza organizzazione più importante, Cfdt, non è più ostile dopo le modifiche apportate dal governo. L’Unef, principale associazione di studenti e liceali, ha proposto modifiche per ora rifiutate dal governo. «Sono all’ascolto delle preoccupazioni dei giovani — ha commentato la ministra Myriam El Khomri — ma questa è una legge necessaria e giusta».
A fine giornata, sindacati e studenti hanno annunciato un nuovo appuntamento in piazza per la settimana prossima. Il pressing rischia di aumentare in vista del dibattito in parlamento previsto il 3 maggio.

Parigi, si sveglia la protesta
Francia . Studenti in corteo contro governo e polizia. Nel mirino la riforma del lavoro, ma non solo. "Nuit Debout" prosegue a place de la République e in altre piazze francesi Anna Maria Merlo il manifesto 6.4.16
PARIGI La Cgt ha scelto per la manifestazione di ieri uno slogan eloquente: «Governo di merda». La Confederazione generale del lavoro, con l’Unione sindacale Solidaires, il sindacato degli studenti Unef e altre organizzazioni, ha sfilato nella seconda parte del corteo dei giovani parigini, l’ennesimo di contestazione della legge di riforma del Codice del lavoro, nel giorno in cui è cominciata in commissione all’Assemblea la discussione dei numerosi emendamenti.
Il clima era invece ben diverso in testa al corteo, con una presenza massiccia della polizia, che praticamente apriva la marcia, camminando all’indietro. Davanti agli agenti, uno striscione portato da studenti e liceali: «Di fronte allo stato di polizia, sfiducia legittima». Incidenti alla Gare de Lyon e un totale di 130 fermi. Qualche incidente anche in alcune città di provincia, a Levallois c’è stato un principio di incendio al liceo Léonard de Vinci e a Rennes la stazione è stata bloccata. Caos a Tolosa, dove a protestare – contro l’«uberizzazione» – c’erano anche i taxi.
Cosa cerca il governo? Ormai vive alla giornata. La legge El Khomri sembra destinata a fare la fine della riforma costituzionale (per introdurre nella Carta stato d’emergenza e privazione della nazionalità per i colpevoli di terrorismo), ormai definitivamente ritirata. Oggi, Manuel Valls riceve i sindacati degli studenti. Ma l’impressione è che il governo giochi l’ultima carta, quella di spaccare il movimento di protesta, esasperando gli animi e spingendo alla violenza, per scoraggiare la partecipazione dei più alle manifestazioni. Ma la protesta ormai va al di là della legge El Khomri.
«Social-traditori fuori» hanno scandito i giovani in testa al corteo di ieri, mentre nella parte calma della manifestazione i sindacati hanno fatto riferimento all’attualità: «I soldi ci sono nelle casse del padronato, nelle casse di Panama».
La presidenza Hollande vive la decadenza di fine regno. E ormai la delusione esplode, sotto varie forme. La più originale è l’appuntamento, ormai giunto alla quinta notte, di Nuit Debout (notte in piedi), in place de la République. Una ventina di città di provincia stanno seguendo. Nella piazza, luogo simbolico soprattutto dopo gli attentati, da una settimana si ritrovano alcune centinaia di persone, che passano lì alcune ore o tutta la notte. «Non c’è una posizione comune – spiega un giovane – alcuni sono qui per la legge sul lavoro, altri contro lo stato d’emergenza, è un’accumulazione, abbiamo voglia di altro, di parlare, di aprire un dialogo tra noi, ci sono molte proposte». C’è un embrione di organizzazione, commissioni varie per invitare alla discussione e logistica (per una mensa improvvisata, per dormire, pulizia, pronto soccorso ecc.).
La polizia è intervenuta ogni giorno all’alba, per sgomberare, finora in una calma relativa. Non ci sono leader di questo nuovo movimento. L’idea di incontrarsi è stata lanciata, tra gli altri, dal regista del film Merci patron, François Ruffin, fondatore della rivista Fakir, che è riuscito a prendere in trappola il miliardario Bernard Arnaud, direttore generale del gruppo di lusso Lvmh, messo di fronte al caso di una coppia di operai di una fabbrica Kenzo di Valenciennes, mandati sul lastrico dalla sua decisione di delocalizzare la produzione in Polonia. Per Ruffin, Nuit Debout vuole «ridare speranza in un momento in cui non ci si riconosce più in nessuna forza politica di sinistra, escludendo del resto che il Ps sia di sinistra». Alla sinistra della sinistra molti vorrebbero salire sul carro di Nuit Debout, a cominciare da Jean-Luc Mélenchon, che già pensa alle presidenziali del 2017.
Ma uno striscione in place de la République replica: «I nostri sogni non entrano nelle vostre urne».
L’economista Frédéric Lordon è uno dei pochi studiosi a venir citato sulla «convergenza delle lotte». Per il sociologo Michel Wieviorka, Nuit Debout è un «fenomeno importante, non politico, che sottolinea la crisi politica del potere di sinistra». Viene fatto un paragone con l’inizio di Podemos in Spagna, di Syriza in Grecia, con Occupy Wall Street. Per il momento «un fenomeno di liberazione della parola in Francia, dove a sinistra era congelata da qualche anno» secondo Wieviorka, nella fase di «rifiuto della politica» esistente, in transizione verso «una trasformazione della contestazione in movimento politico». Nuit Debout cresce nelle piazze, ma anche su Internet. Remy Buisine, un community manager di 25 anni, ha permesso a Nuit Debout in pochi giorni di essere conosciuto, grazie ai suoi video su Periscope e a Twitter. «È una fase di ebollizione – dice Wieviorka – dove tutto è mischiato, è troppo presto per dire come finirà, forse di spegnerà o ripartirà su altro. 


I ragazzi di Parigi 
Da una settimana sono accampati a Place de la République, per protestare contro la riforma del lavoro del governo Li chiamano i manifestanti delle “notti in piedi”, perché discutono e lottano fino all’alba. Così il movimento dei nuovi Indignati sta dilagando in tutta la Francia

ANAIS GINORI Restampa 7 4 2016
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE  PARIGI IN PLACE de la République è il 37 marzo, secondo il nuovo calendario dei ragazzi insonni che si preparano a un’altra interminabile notte di discussioni e lotte. Piove e fa freddo ma al tramonto c’è già la fila per iscriversi a parlare durante l’assemblea generale. Tutto è cominciato una settimana fa, con la manifestazione contro la legge El Khomri, la riforma dello statuto dei lavoratori varata dal governo socialista che sta coalizzando il malcontento ben al di là dei sindacati. Il corteo di protesta del 31 marzo non si è mai chiuso, trasferendosi nell’occupazione della piazza simbolo della capitale. «Non torniamocene a casa!» era scritto sul volantino del collettivo per la “Convergenza delle lotte” distribuito nelle strade con l’idea di modificare anche la misurazione del tempo.
La risposta è stata inaspettata, contagiosa, da Parigi si è allargata ad altre città, a Tolosa, Nantes, Rennes, Lione. Una mobilitazione che sembra avere parentele lontane con le adunate newyorchesi di Occupy e quelle a Puerta del Sol di Podemos, anche se per ora il movimento Nuit Debout, notte in piedi, è senza leader né portavoce, non sembra avere nessuno sbocco politico. I ragazzi di République sono seduti in cerchio accanto alla statua di Marianne, l’altare laico dedicato agli attentati del 2015 dove ci sono ancora fiori, messaggi, lumicini. L’11 gennaio di un anno fa place de la République aveva ospitato la più grande manifestazione francese del dopoguerra, breve simbolo di unità nazionale. «Volevano imbavagliarci con lo stato di emergenza, non ci sono riusciti» spiega Gaston, studente in legge di 19 anni, che si è portato il sacco a pelo. Nessuna commozione nel ricordo delle vittime. «Ho più possibilità di essere disoccupato che morire in un attacco terroristico». Annie, pensionata di 67 anni, è venuta a vedere lo spettacolo della contestazione. «Finalmente i giovani si sono svegliati».
È difficile dare un volto e un nome a questa mobilitazione “informale e cittadina”, tra le poche e vaghe definizioni accettate. Il momento clou è l’assemblea generale che si tiene a partire dalle 18 e va avanti ad oltranza. Uno dei primi argomenti è l’arresto di manifestanti durante gli scontri di martedì con la polizia. «Dobbiamo chiarire la nostra linea sull’uso della violenza » dice una ragazza. «La violenza è dello Stato» risponde un altro, insinuando che ci siano militanti dell’estrema destra infiltrati nel movimento. Non c’è ordine prestabilito, non c’è tempo di parola. Per approvare una mozione serve almeno l’ottanta per cento dei voti favorevoli, passano molti scrutini prima di arrivare finalmente a una decisione.
Con una mano usano il vecchio megafono per arringare la folla, con l’altra filmano in streaming sull’applicazione Periscope. Si passa dal diritto al velo delle donne musulmane che il premier Manuel Valls ha descritto come oppresse, ai Panama Papers, simbolo del «sistema predatorio capitalista». Marie, 27 anni, disoccupata, vuole mostrare ad altri amici il podcast di un’inchiesta televisiva sulle società offshore. La connessione funziona male. Un migrante si alza. «Stamattina è arrivata la polizia per evacuarci e non so più dove sono i miei amici » spiega. Pochi dormono davvero sulla piazza. I continui interventi delle forze dell’ordine stanno diventando un problema. Una ragazza che fa da moderatrice assicura: «Se ne occuperà la commissione serenità», eufemismo per parlare della sicurezza. Altri argomenti sono più consensuali. C’è la commissione animazione per spettacoli e concerti, quella sul clima che vorrebbe creare un orto in piazza. Gli appuntamenti tra i vari relatori sembrano messaggi cifrati: «Ci vediamo sotto al secondo lampione sulla destra, all’uscita del metrò».
Dopo una settimana s’intravede un embrione di organizzazione, concetto non gradito a molti. Nuit Debout è diventato un piccolo villaggio con un’infermeria, il punto per l’assistenza legale, una mensa a offerta libera. «Ieri abbiamo fatto couscous vegano. Con il freddo e la pioggia stasera ci sarà una minestra di zucca» spiega Sam, che di mestiere fa l’attore ma s’improvvisa nella distribuzione di circa duecento pasti.
Da poche ore esiste RadioDebout che trasmette online le assemblee, mentre si sta creando una televisione in streaming. «Qualcuno può darci una chiavetta 4G?» chiede uno dei promotori sul profilo Twitter. Sono in corso diversi atelier: una lotteria per eleggere rappresentanti democratici, la creazione di un “salario a vita”.
I neofiti devono imparare nuovi codici di comunicazione. Per esprimere il consenso niente applausi ma mani alzate che ruotano, braccia incrociate per segnalare il proprio disaccordo, mani sulla testa a forma di cappello quando il dibattito va fuori controllo e bisogna calmarsi.
Ieri Nuit Debout ha lanciato una petizione che non contiene «nessuna rivendicazione precisa » ma deve essere uno strumento per «contarsi» e «contare ». La protesta contro la riforme del Lavoro è solo la «goccia che ha rotto la diga», aprendo allo sfogo dell’indignazione contro il “neoliberismo”, «un sistema che è a fine corsa» e un governo impopolare. Non ci sono padrini. Neanche il regista e giornalista François Ruffin, vuole prendersi il merito. L’autore del documentario “Merci Patron”, che denuncia i metodi sindacali di Bernard Arnault, patron di Lvmh, è stato tra i primi a spingere per una contestazione popolare. «Il minimo comune denominatore tra i tanti che si uniscono al movimento è la delusione e la lontananza dai partiti» ha spiegato Ruffin che ha partecipato alla nascita del collettivo per la Convergenza delle Lotte. Ma quando il regista si è presentato in piazza molti non l’hanno riconosciuto.
È una piccola avanguardia che potrebbe scomparire in una notte: i numeri sono pochi, amplificati da media e social network. Molti aspettano di capire se sabato, quando è prevista la prossima manifestazione contro il governo, ci sarà un sussulto cittadino. O se invece tutti si sveglieranno vedendo che sono il 9 aprile e non il 40 marzo.
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Le notti di Parigi
In piedi fino all’alba: tra i ragazzi che (di nuovo) vogliono cambiare il mondo di Stefano Montefiori Corriere 26.4.16
PARIGI «Adesso che siamo insieme le cose vanno meglio», si legge sul pavimento della piazza. La frase del drammaturgo libano-canadese Wajdi Mouawad dice molto del perché dal 31 marzo a oggi tutte le sere centinaia di parigini si raccolgono in place de la République.
«Nuit debout», notte in piedi, è un movimento che intanto cambia i nomi dei giorni — ieri non era il 25 aprile ma il 55 marzo —in attesa di trasformare il mondo: ci sono le commissioni «internazionale», «diritto», «serenità» (ovvero il servizio d’ordine), «digitale», «economia» e molte altre. Si discute di tutto, dalla solidarietà ai migranti alla lotta contro lo specismo (in virtù del quale gli uomini mangiano gli altri animali); si tengono seminari sulla differenza tra scheda bianca e astensione, sulla repressione in Egitto, si affronta la questione del femminismo in tre assemblee distinte: mista, riservata a donne e transessuali e alla comunità LGBT. Sui volantini è stampato una specie di manuale dei gesti utili durante i dibattiti: alzare e ruotare le mani indica approvazione, pugni chiusi e avambracci incrociati significano opposizione, pugni a mulinello sopra la testa vogliono dire «già detto, taglia corto». Accanto agli smartphone che grazie a Periscope rilanciano le assemblee in diretta su Twitter, ecco i vecchi megafoni per farsi sentire nella piazza tra i rumori del traffico e gli inevitabili suonatori di bongo.
«Tutti possono prendere la parola e si vota per alzata di mano, cerchiamo di informarci, capire e immaginare un futuro migliore senza farci intontire dalla tv e dagli altri media», dice Olivier Benchel, 23enne studente di sociologia, che è venuto qui il 31 marzo e non ha più mancato una notte in piedi. Tutto è nato dall’opposizione alla legge El Khomri, ovvero la riforma del codice del lavoro che vorrebbe rendere più facile l’accesso dei giovani al mercato, e che molti giovani combattono come il Male perché la trovano un’ennesima, pigra ripetizione dello schema neo-liberale abbracciato dal partito socialista: «Il governo tutela i padroni, i padroni chiudono le fabbriche, la disoccupazione aumenta, per farla diminuire il governo incentiva il precariato, le aziende continuano a non assumere e i disoccupati crescono ancora, e intanto decenni di lotte sindacali vanno in fumo», riassume Jean, trentenne furibondo con Hollande e la sua «sinistra traditrice».
La «Nuit debout» si sta allargando a molte città della Francia, soprattutto a Ovest (Nantes, Rennes, Tolosa), mentre a Parigi il movimento comincia a suscitare qualche irritazione. L’atmosfera in place de la République sa di fratellanza, ma anche senza contare gli incidenti (un’auto della polizia data alle fiamme, un uomo gravemente ferito cadendo dalla statua, qualche scontro con gli agenti), crescono i dubbi attorno a una mobilitazione che oscilla tra sogno di rinnovamento e grande happening dell’estrema sinistra eterna, tra venditori di falafel e birre, giocolieri, canzoni di Manu Chao e gesti situazionisti. Un paio di settimane fa qualche invasato del «ritorno alla terra» ha divelto le lastre del pavimento per piantare semi e fondare un orto urbano (place de République era stata da poco ristrutturata con una spesa per il Comune di 24 milioni di euro).
Il filosofo accusato di essere «neo-reazionario» Alain Finkielkraut una sera si è affacciato con la moglie, ed è stato cacciato in malo modo. Incidente prevedibile, che ha fatto male all’immagine del movimento. Se gli «Indignados» di Puerta del Sol a Madrid cercavano di allargare la partecipazione democratica rifiutando la divisione destra-sinistra, Nuit debout sembra scartare in partenza chi non è di sinistra, poi chi ha simpatie per la gauche al governo (quasi peggio), poi quanti non si riconoscono nella triade anticapitalismo-decrescita-antagonismo.
Il maître à penser non ufficiale ma sempre più riconosciuto è l’economista Frédéric Lordon, meno naif delle signore che ogni tanto arrivano sorridenti in piazza portando cibo e vestiti: «Non siamo qui per essere amici di tutti, non portiamo la pace, non abbiamo alcun progetto di unanimità democratica», dice duro Lordon. Ieri l’assemblea si è spostata al teatro dell’Odéon, in solidarietà con gli «intermittenti dello spettacolo» che lo occupano da due giorni. «I soldi ci sono! Costruiamo nuovi diritti!», si legge sullo striscione. La Nuit debout punta ora ad allearsi con i sindacati per organizzare un grande sciopero generale, rito bloccato non meno della società che vuole rinnovare. 

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