martedì 12 aprile 2016

La Cina popolare ha compreso il ruolo del calcio nella costruzione del Soft Power



Notare il titolo razzista del Corriere [SGA].

Xi e l’armata di calciatori

La Cina vara un piano per costituire un «esercito» di 50 milioni di giocatori Obiettivo: conquistare la Coppa del Mondo nel 2030

di Guido Santevecchi Corriere 12.4.16
PECHINO La Repubblica popolare cinese si prepara a costituire un’armata di 50 milioni di giovani per conquistare il mondo. Lo ha annunciato ieri il governo. Ma prima di mettersi l’elmetto è meglio leggere il documento: i 50 milioni di reclute non dovranno studiare l’«Arte della Guerra» di Sun Tzu; ai dirigenti di Pechino basta che si dedichino anima e corpo al gioco del calcio. L’obiettivo è infatti quello di raggiungere la supremazia globale calcistica, entro il 2050.
Al momento la nazionale cinese è relegata all’81° posto nella classifica della Fifa, dietro Cipro, Burkina Faso e Benin. I rossi sono riusciti solo una volta a qualificarsi per la fase finale dei Mondiali, nel 2002, ma tornarono a casa con tre sconfitte di fila, 9 gol presi e nessuno segnato. Poi il buio, reso più triste da una serie di scandali per corruzione arbitrale e partite vendute scoperti nel campionato nazionale.
Ma ora siamo nell’era di Xi Jinping, il capo dello Stato è un tifoso e non ha nascosto le sue ambizioni: ospitare la Coppa del Mondo e vincerla. Non è quindi un caso che da quando Xi è arrivato al vertice del potere, a fine 2012, i più grandi gruppi industriali della Cina seconda economia del pianeta siano entrati massicciamente in quello che i vecchi maestri inglesi chiamano il «beautiful game». Grazie ai milioni messi a disposizione da sponsor come Jack Ma di Alibaba e Wang Jianlin di Wanda, lo scorso inverno i club della Super League cinese hanno battuto ogni record nella campagna acquisti, spendendo quasi 300 milioni di dollari, più della Premier League inglese e della Liga spagnola. Sono arrivati giocatori di gran nome e non solo vecchie glorie, compresi Guarin dall’Inter, Gervinho dalla Roma e diversi giovani brasiliani che erano stati inseguiti dai più famosi club europei.
Resta il problema della nazionale, così leggera da non essere riuscita a segnare nemmeno nel derby con Hong Kong (1,34 miliardi di cinesi continentali non trovano 11 giocatori capaci di superare i cugini di una City con solo 7,2 milioni di abitanti). La squadra del Dragone è passata miracolosamente al secondo turno delle qualificazioni per Russia 2018 grazie a un successo sul Qatar e alla vittoria delle Filippine con la Nord Corea.
Ecco perché Xi Jinping ha deciso di schierare il governo. Il progetto è serio: il documento pubblicato ieri si compone di 14 pagine ed è stato elaborato non solo dalla Federazione calcistica, ma anche dalla Commissione nazionale per la riforma e lo sviluppo, l’organo ministeriale che decide le linee guida per le politiche economiche del Paese. La Commissione di solito si occupa dei famosi Piani quinquennali della Cina che prevedono al dettaglio la crescita del Pil, i livelli di produzione industriale e dei consumi. Averla coinvolta significa che il supertifoso Xi pretende risultati in tempi certi. Il progetto prevede tappe precise: entro il 2020 ci saranno 50 milioni di calciatori praticanti, 30 milioni dei quali ragazzini delle elementari e studenti delle scuole medie (bisognerà sfuggire al marca-mento delle mamme cinesi che vogliono vedere i figli incollati sui libri di testo). Nei prossimi quattro anni saranno aperte 20 mila accademie calcistiche. Questa massa di giocatori dovrà fornire alla nazionale maschile gli elementi per fare della Cina entro il 2030 una delle prime forze dell’Asia. E alla fine della lunga marcia, nel 2050, l’esercito di portieri, centrocampisti, tornanti, fantasisti, punte e mezzepunte, dovrà innalzare la nazionale al rango di «superpotenza del football».
Finora i pianificatori cinesi sono riusciti a mantenere le loro promesse socio-economiche. Chi vivrà vedrà se anche il calcio darà ragione ai dirigisti di Pechino. 

Da villaggio di pescatori a megalopoli La nuova Shenzhen nasce in Pakistan
Il progetto di Pechino: nuove infrastrutture per collegare la Cina con Gwadar, il porto del Belucistan che sbocca sul Mare Arabico in una posizione strategicadi Cecilia Attanasio Ghezzi La Stampa 12.4.16
Dalla Spagna del XVI secolo in poi, ogni grande Paese ha sognato «un regno su cui non tramonta mai il sole». E fin da tempi ancor più antichi si era ben consapevoli che una maggiore estensione geografica significava dover costruire una rete di infrastrutture che avrebbero permesso di trasportare velocemente le merci e allo stesso tempo di controllare militarmente il territorio. Questo è il momento della Repubblica popolare. E i suoi progetti non sono meno ambiziosi.
Una nuova geopolitica
Con la scusa della nuova via della seta terrestre e marittima, la convinzione che ingenti investimenti possono portare quel benessere minimo necessario a pacificare aree difficili del mondo e la disponibilità finanziaria della seconda economia mondiale, la Cina sta costruendo ovunque porti, strade e ferrovie cercando di spostare gli equilibri geopolitici a suo vantaggio. L’esempio più attuale sono gli oltre 40 miliardi di euro promessi per il cosiddetto «corridoio economico sino-pachistano».
Verso il Medio Oriente
Il piano è collegare la regione più occidentale della Cina al porto pachistano di Gwadar attraverso tremila chilometri di autostrade, ferrovie e oleodotti. Un accesso al mare che potrebbe accorciare le distanze tra Repubblica popolare, Medio Oriente e Europa. L’effetto sperato è trasformare una cittadina da 80 mila abitanti in una metropoli da due milioni nei prossimi 20 anni. Gwadar è attualmente quello che si usa definire un villaggio di pescatori in una posizione strategica, ovvero nel punto dove il Golfo Persico incontra il Mare Arabico. Ma si trova in Belucistan, una delle regioni più instabili al mondo. È l’area più povera del Pakistan, ma al tempo stesso è la più ricca di risorse naturali. I separatisti accusano il governo di sfruttare le risorse della regione senza dare niente in cambio alla popolazione locale. Ma il progetto cinese - spiega Andrew Small, autore di «The China–Pakistan Axis» (Oxford University Press, 2015) - potrebbe riuscire a pacificare l’area. «Oggi è protetta dalla Divisione speciale di sicurezza pachistana e bisogna chiudere al pubblico tutte le strade quando passano i cinesi. Ma se il porto diventerà realtà e porterà benefici economici alla popolazione locale, la pericolosità dell’area dovrebbe diminuire».
I simboli del boom
I più ottimisti parlano già di una «nuova Shenzhen» in riferimento alla località simbolo del boom cinese: un villaggio di pescatori trasformato in una ricca megalopoli in appena trent’anni. Secondo un comunicato stampa del vice ministro della Camera di commercio sino-pachistana Naveed, il nuovo porto sarà capace di «attrarre il cinque per cento dei cargo cinesi ovvero un traffico da sei miliardi all’anno, novemila nuove aziende e 400 mila nuovi posti di lavoro». Gli storici abitanti, per lo più pescatori che vivevano sulla punta più estrema dell’istmo, sono stati ricollocati a 40 chilometri di distanza e ci si aspetta che la popolazione della città quintuplichi già nei prossimi cinque anni.
Le questioni da risolvere
Ma i problemi sono ancora tanti, fa notare Small. «La città non ha accesso all’acqua per diversi periodi dell’anno ed è ancora poco connessa con l’interno del Paese. Certo ci sono esempi di città che sono esplose dal nulla e sono state quasi sempre in corrispondenza di porti. Ma bisognerà aspettare che i nuovi investimenti diano vita alla seconda parte del porto per avere un’idea di come andrà a finire». Nel 2013 l’azienda statale Chinese Overseas Ports Holding Company ci ha investito 675 milioni e ha ottenuto la gestione esclusiva per 40 anni dei 2300 acri della zona economica speciale. Ma gli interessi su Gwadar non sono solo economici. «Anche se non è menzionato in nessuno dei documenti ufficiali, non è un segreto che sia i cinesi sia i pachistani vorrebbero che il porto diventi anche un punto di riferimento per le rispettive marine militari», riflette ancora Small. Un’osservazione importante. Soprattutto se si pensa che a dicembre 2015 l’India ha firmato un memorandum d’intesa per un progetto gemello a Chabahar, appena 72 chilometri più a Nord. Ma in Iran. È evidente che gli equilibri geopolitici stanno cambiando. 

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