Etruschi Le parole svelate La stele rinvenuta a Poggio Colla
mercoledì 6 aprile 2016
La stele Etrusca di Poggio Colla
Etruschi Le parole svelate La stele rinvenuta a Poggio Colla
Ritrovata nel sito di Poggio Colla ( 20 km a nord-est di Firenze) dagli archeologi americani del Mugello Valley Archaeological Project, nelle mura di un antico tempio etrusco
La stele risale probabilmente al 500- 550 a. C.
Pesa circa duecento chili ed è alta poco più di un metro: la stele dissotterrata all’interno di un tempio sacro da un team di archeologi americani vicino a Firenze è stata paragonata a quella di Rosetta degli egizi. Il numero di vocaboli e i segni di punteggiatura ne fanno lo scritto più articolato mai ritrovato finora
Ecco perché con la sua scoperta potremmo riuscire a decifrare la cultura e la lingua di questo antico (e misterioso) popolo
di Silvia Bencivelli Repubblica 4.4.16
È
una stele di arenaria di più di duecento chili, alta un metro e
qualcosa. Ed è una stele parlante etrusco. È emersa nel verde sito di
Poggio Colla, una ventina di chilometri a nord est di Firenze, tra le
mani degli archeologi americani del Mugello Valley Archaeological
Project. Adesso, ventisei secoli dopo essere stata incisa e venerata,
ventitré secoli dopo essere stata dimenticata e sepolta dalla terra, si
spera che riacquisti la sua voce e che ci racconti qualcosa di nuovo
sulla cultura e sulla lingua del suo popolo.
Questa stele,
infatti, ha due caratteristiche interessanti: è incisa con i caratteri
dell’alfabeto etrusco, ed è stata trovata all’interno degli scavi di un
luogo sacro. Qualcuno, forzando un po’ la mano, l’ha paragonata alla
stele di Rosetta degli antichi egizi grazie alla quale gli archeologi
riuscirono a decifrare la scrittura geroglifica. Ma stavolta la
situazione è diversa: in primo luogo, perché siamo nelle fondamenta di
un tempio di 2500 anni fa. Poi, la stele è scritta in una lingua sola.
Infine, perché, in realtà, nonostante il perdurante mito del “segreto
degli etruschi”, sono già leggibili settanta, ottanta dei caratteri con
cui è incisa, punteggiatura inclusa. La ragione per cui il rinvenimento è
importante è dunque più sottile.
Come spiegano gli esperti,
infatti, iscrizioni etrusche ne abbiamo tante: «circa tredici o
quattordicimila e ogni anno se ne trovano due o trecento nuove», spiega
Enrico Benelli, etruscologo del Cnr di Roma. Ma «anche se sono
praticamente tutte leggibili, contengono un lessico limitato». Poche
parole, cioè, sempre le stesse. «Perché provengono quasi sempre dalle
necropoli o comunque contengono formule sempre uguali: qui giace Tizio
figlio di Caio. Oppure: questo vaso è di Tizio». La ragione è
principalmente una: «le iscrizioni delle tombe si sono conservate
meglio, perché le tombe degli etruschi erano camere sotterranee. Mentre
tutto ciò che è stato all’aperto è sopravvissuto peggio, o non è
sopravvissuto affatto», prosegue Benelli. Questo non è un problema
soltanto degli etruschi: la scrittura quotidiana dei popoli antichi si
faceva su lino, papiro, tavolette cerate. E l’abbiamo persa quasi
sempre.
Se per il greco e il latino questo non ci ha impedito di
avere comunque un’approfondita conoscenza della lingua, la ragione è
anche un’altra: «Greco e latino si sono continuati a usare, non sono mai
state lingue morte. Mentre gli etruschi, molto probabilmente, non hanno
fatto in tempo a produrre una propria letteratura». Non dovremmo
stupirci visto che anche i romani hanno sviluppato la loro molto tardi,
«quando già dominavano mezzo mondo, cioè più o meno nel terzo secolo
avanti Cristo», precisa Benelli. Quello che invece gli etruschi avevano
era una letteratura religiosa: veri e propri manuali che riguardavano
l’arte dei fulmini e dell’aruspicina, cioè l’arte divinatoria basata
sulla lettura delle viscere degli animali. «Ma a un certo punto è stato
tutto tradotto in latino e, per leggere, non c’è stato più bisogno di
imparare l’etrusco o di conservare gli originali».
Infine,
esistono analoghi etruschi della stele di Rosetta, cioè testi bilingui
che sono stati molto importanti all’inizio dello studio della lingua
etrusca. Ma nemmeno loro ci hanno permesso di compilare un gran
vocabolario. «Per esempio ci sono le famose lamine di Pyrgi, in etrusco e
fenicio. Il problema è che non sono perfettamente bilingui perché non
dicono esattamente le stesse cose nelle due lingue», prosegue Benelli.
La
speranza è che la stele di Poggio Colla riveli un contenuto nuovo,
perché è un reperto fatto di tante parole a differenza delle molte frasi
laconiche che avevamo trovato finora. Non sarebbe il primo testo lungo
scritto in lingua etrusca, ma si aggiungerebbe a una breve lista di
reperti. Di questi il più importante è la cosiddetta mummia di Zagabria:
un manuale rituale scritto su una lunga striscia di lino, che
apparteneva a una comunità di etruschi residenti ad Alessandria
d’Egitto. Il testo è arrivato fino a noi perché fu riciclato come benda
per una mummia femminile di epoca tolemaica, e il clima secco del nord
Africa ne ha permesso la conservazione. Il suo contenuto è stato letto
per la prima volta nel 1892 e indica i riti da seguire giorno per
giorno. Oggi la mummia è conservata a Zagabria, ma proprio in questo
momento sia lei sia le lamine di Pyrgi sono esposte a Cortona, in
provincia di Arezzo, in una mostra sulla scrittura etrusca organizzata
da Museo del Louvre, Museo Henri Prades di Lattes, e Maec di Cortona.
Quanto alla stele di Poggio Colla, adesso si trova all’Università del
Massachusetts Amherst dove verrà ripuli- ta e presto letta dal più
importante esperto americano di scrittura etrusca. Il suo destino sarà
probabilmente un museo, come quello di Dicomano, che raccoglie gli altri
reperti trovati dagli archeologi del Mugello Valley Archaeological
Project.
In tutto questo, dunque, c’è ben poco di segreto: tra i
popoli italici antichi gli etruschi sono probabilmente quelli che
conosciamo meglio. Se siamo convinti dell’esistenza di un loro “mistero”
è anche per una leggenda cominciata nel XV secolo quando il mistico
francese Guillaume Postel attribuì agli etruschi (ma non soltanto)
l’idea di una cultura alternativa, resistente a quella dominante, greco-
romana. Leggenda poi propagatasi come tutte, a dispetto del lavoro
degli archeologi e degli epigrafisti. Chissà se il rinvenimento di
Poggio Colla ci aiuterà a metterci una stele sopra.
Michael L. Thomas “Un reperto unico per forma e contenuto”
intervista di S. B. Repubblica 4.4.16
«Non
solo la forma della scrittura, ma anche il contenuto e soprattutto il
contesto». Michael L. Thomas è archeologo, dirige il Centro per gli
studi sull’Italia antica all’Università di Austin, in Texas, ed è uno
dei due direttori del Mugello Valley Archaeological Project. Nel
raccontare la sua scoperta, elenca le ragioni per cui la stele di Poggio
Colla potrebbe rivelarsi davvero importante.
La principale?
«È
un reperto unico perché è un’iscrizione lunga, rinvenuta in un
santuario. Non è uno dei testi tipici a cui eravamo abituati. Perciò
speriamo sia capace di raccontarci qualcosa di nuovo sulle credenze del
popolo etrusco».
Dove è stata trovata esattamente?
«Era
nelle mura di un tempio. La nostra idea è che sia stata scolpita tra il
550 e il 500 a.C. per il primo tempio di Poggio Colla, che era una
capanna, e quindi che sia coeva dei buccheri già rinvenuti nella zona. E
poi che la stele sia stata riutilizzata per il secondo tempio,
costruito con fondamenta e colonne di pietra. In particolare, che fosse
inserita nelle mura del podio del tempio, ben visibile. Ma perché questa
pietra, perché proprio lì?».
Come è fatto quel sito?
«Il
sito comprende quattro o cinque fasi di costruzioni diverse, avvenute
probabilmente tra il VI e il II secolo a.C., e per di più in ciascuna
fase sono stati riutilizzati i materiali delle precedenti. Quello che
sappiamo per certo è che c’era un tempio e che dal secondo secolo il
sito è stato abbandonato.
La civiltà che rifiutava l’immortalità letteraria
di Matteo Nucci Repubblica 4.4.16
Nel Fedro, Platone si affannò a spiegare il motivo per cui la scrittura debba essere condannata in favore dell’oralità.
Gli
scritti contengono parole immobili e sterili come pietre, perché non
sanno a chi si rivolgono e non sono capaci di rispondere. Le parole vive
invece possono offrire risposte e per questo penetrano l’anima di chi
ascolta e si rendono immortali. Anche Platone tuttavia sapeva bene che
la grande letteratura deve essere scritta perché possa seriamente
eternarsi.
Lo sapeva per sé, per quel che scriveva, e lo sapeva
perché i canti composti oralmente dagli aedi omerici, quei canti che
sarebbero diventati i più eterni fra i poemi epici dell’antichità,
vennero fermati dalla scrittura e permisero così ai due eroi
dell’Iliade, Ettore e Achille, di rimanere immortali, come essi stessi
avevano sognato andando incontro alla fine.
Fu dunque la battaglia
contro la morte attraverso la letteratura ciò che mancò agli Etruschi?
Difficile stabilirlo. Può darsi che le nuove acquisizioni chiariscano
qualcosa.
Per ora, di fronte all’immensa produzione letteraria di
Greci e Latini, è lecito supporre che gli Etruschi avessero messo da
parte quella speranza di immortalità letteraria e cercassero di
procurarsela solo attraverso il culto, la religione, la cura del morto e
tutto ciò che della loro civiltà ci resta con chiarezza. Ma può darsi
che ci sia anche altro. Può darsi che sospettassero già quella che è la
dannata disillusione raccontata dall’Odissea omerica attraverso le
parole di Achille, quando morto nell’Ade incontra Odisseo. Non importa
più al grande eroe quel che aveva sognato quando era in vita.
Non gli importa più che ci siano poeti che ne cantano la gloria.
Preferirebbe vivere la condizione peggiore, quella del servo, pur di vivere.
La letteratura dunque fallisce nel suo sogno di immortalità? Forse questo immaginavano gli Etruschi.
E
perciò scelsero di dedicarsi completamente a vivere questa vita e non
perder tempo negli inutili giochi della letteratura. Forse.
Un’unica
idea potrebbe confermare questa ipotesi che li rese così lontani dai
“vicini” Greci e Latini. Ossia la più sorprendente delle loro conquiste:
la condizione della donna. Aristotele dichiara con meraviglia che le
donne mangiavano assieme agli uomini e con essi dunque discutevano alla
pari. Teopompo ci racconta dello straordinario equilibrio che si
raggiunse in quella società così unica in cui la libertà sessuale e la
ricerca del piacere erano centro indiscusso. Forse gli Etruschi avevano
semplicemente capito come vivere bene questa vita. Ed eliminarono tutto
quello che non gli parve necessario, tra cui le più volatili illusioni
di immortalità, quelle della letteratura.
L’autore è uno
scrittore, grecista, studioso del pensiero antico. Ha pubblicato saggi
su Empedocle, Socrate e Platone. Il suo ultimo libro è Le lacrime degli
eroi ( Einaudi)
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