mercoledì 6 aprile 2016

Le origini della globalizzazione economica e culturale secondo Sassoon. Imperialismo questo sconosciuto

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Il villaggio globale è come i Balcani 

Lo studioso britannico inaugura oggi a Milano la rassegna genovese «La storia in Piazza». Ecco un estratto della sua lectio Demografia e istruzione, urbanizzazione e longevità: la lunga incubazione della svolta digitale Precursori Tutto cominciò da tre rivoluzioni: la radio, la registrazione del suono e l’immagine in movimento 

5 apr 2016  Corriere della Sera Di Donald Sassoon © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Tra il 1880 e il 1920 tre innovazioni cambiano per sempre i mercati culturali. La prima è la possibilità di comunicare a distanza. Di qui la nascita della radio. Non è più necessario uscire di casa per ascoltare musica, notizie e storie. La seconda è la possibilità di registrare il suono e ciò è all’origine dell’industria musicale. Da ora in poi, sarà sufficiente comprare il fonografo (o, come diremmo oggi, l’hardware) e poi il disco, ovvero il software. La terza è l’immagine in movimento, il cinema ovvero i movies, come li chiamano gli americani.  
Per questo l’Europa del XX secolo importò cultura americana in modo massiccio (fino a quel momento piuttosto sconosciuta nel Vecchio continente). In particolare ebbero fortuna due formati specifici: la musica popolare (a sua volta un ibrido di molti ritmi e suoni tra cui una notevole influenza africana, grazie agli ex schiavi) e i film. 
Il cinema, infatti, pur essendo nato in Europa, era passato ben presto (19101911) sotto il dominio della produzione americana e, in seguito, gli Stati Uniti esporteranno fiction televisiva, nonché una molteplicità di generi televisivi, come per esempio i giochi. 
Quali sono le cause principali del dominio americano? 
1. I nuovi metodi di diffusione culturale (grammofono e record, cinema, radio, trasmissioni televisive e, in seguito, specifici generi di stampa, come i fumetti) necessitavano di imprese di grandi dimensioni e di stampo capitalista come quelle che si stavano sviluppando negli Stati Uniti. 
2. La dimensione del mercato americano era molto maggiore di quella dei vari mercati europei. Il mercato interno bastava a coprire i costi e ciò consentiva poi di procedere e competere sui mercati esteri partendo da una posizione di forza. 
3. Ma l’elemento determinante fu che negli Stati Uniti non esisteva una cultura nazionale d’élite come quella che si era sviluppata nel corso del XIX secolo in Europa. Infatti, i consumatori culturali americani erano immigrati relativamente recenti; per avere successo nel mercato statunitense occorreva soddisfare i gusti più disparati, quelli di immigrati provenienti da diversi Paesi: bisognava vendere agli irlandesi così come ai polacchi, agli ebrei così come agli italiani. Il prodotto di successo era, dunque, già un prodotto transnazionale, molto più adatto a competere sul mercato mondiale che quello dei vari Stati europei. 
È evidente che la circolazione transnazionale dei prodotti culturali, lungi dall’impoverire le cosiddette culture nazionali (comunque di recente formazione), contribuisce alla loro ulteriore espansione e al loro sviluppo. Tale circolazione dei prodotti culturali fu ulteriormente rafforzata da una serie di variabili che hanno reso l’Occidente un formidabile consumatore e produttore di cultura: 
1. La crescita demografica accompagnata da un costante aumento della prosperità, due elementi che hanno messo l’acquisto di beni culturali alla portata di tutti, perfino dei meno abbienti. Basti ricordare che un tipico romanzo di inizio Ottocento, per esempio un romanzo di Walter Scott, costava una sterlina e mezzo e lo stipendio medio di un domestico era di dieci sterline l’anno. Oggi, possiamo acquistare una radio a meno di quattro euro, meno di quello che si guadagna in un’ora. 
2. L’istruzione che ha allargato il mondo di lettori, e dunque il mercato del libro. 
3. L’urbanizzazione che ha portato la concentrazione di consumatori nei centri di produzione culturale. 
4. I progressi nutrizionali, ambientali e igienici hanno allungato la vita. Più a lungo si vive più è possibile consumare cultura. Aumenta anche il tempo libero. Oggi la maggior parte di chi abita in Paesi relativamente ricchi inizia a lavorare dopo i 20 anni (se riesce a trovare lavoro), va in pensione a circa 6065 anni e vive fino a 80. 
In Europa, l’intervento statale nella radiodiffusione (radio e poi televisione) ha dato luogo a una produzione di programmi che non sarebbe stata possibile soltanto con il sistema privato (basato sulla sola pubblicità) come negli Usa. L’intervento statale ha consolidato le lingue nazionali e ha creato una esperienza culturale nazionale unificatrice. Un’unificazione che ha resistito fino a poco tempo fa, poi, la molteplicità dei canali ha portato a una disintegrazione dell’audience. Il sistema di trasmissione è stato finanziato in gran parte attraverso una tassa sui possessori di riceventi (il cosiddetto canone di abbonamento) o attraverso la pubblicità. Sia l’uno che l’altro metodo (o una combinazione dei due come in Italia) annullano la relazione tra consumo e pagamento. A differenza della scelta di andare al cinema o di acquistare un libro, la decisione di guardare o ascoltare un programma è indipendente dalla capacità di pagare. 
Oggi, con internet, la possibilità di accedere a prodotti culturali senza pagare è aumentata enormemente. Utilizziamo Google senza pagare; in realtà questo succede perché il prodotto siamo noi: gli inserzionisti pagano per inoltrarci la loro pubblicità. L’origine di questo fenomeno si può trovare nella stampa del XIX secolo, quando i giornali si resero conto che la stampa era un doppio mercato: si vendevano i giornali ai lettori e i lettori agli inserzionisti (...). 
Il villaggio globale è antico. C’era una volta una cultura aristocratica internazionale comune: tutti gli appartenenti a questa alta cultura erano a conoscenza di un gamma molto limitata di testi e musica. Poi, nel XIX secolo, ci fu la cultura borghese. Nel XX secolo il cinema, musica registrata, la stampa popolare e la radio tascabile a buon mercato e soprattutto la televisione hanno creato una cultura di massa. 
Questo villaggio globale è stato dominato da un numero limitato di centri culturali, in un primo momento soprattutto europei e, in seguito, principalmente ma non esclusivamente americani. 
Il world wide web ha moltiplicato gli elementi comuni di questa nuova cultura internazionale, così come si sono moltiplicati i produttori che sono destinati a moltiplicarsi ulteriormente. Tutto ciò avrà ancora meno coerenza rispetto alle culture del passato. Ci sarà maggiore frammentazione, più pluralismo. Il villaggio globale da un lato si balcanizza, dall’altro si unifica. 
Non vi è motivo di lamentarsi per tale situazione come non vi era motivo di lamentarsi per il cosiddetto imperialismo culturale di un passato recentissimo. La fine di alcune esperienze culturali o alcuni temi o alcune forme può essere motivo di rimpianto, ma è già accaduto prima e il mondo è andato avanti, così come continuerà ad andare avanti, nel bene e nel male. 
Lascio i verdetti e i giudizi ai moralisti ai quali spetta il compito di decidere se la cultura di oggi è peggiore di quella che l’ha preceduta. L’attività degli storici è più complessa: si tratta di fare una mappa del passato, dando prospettiva al presente. Decidere quale cultura è bella o brutta è una questione che riguarda tutti gli esseri umani, una categoria che comprende gli storici, ma che non esclude nessuno. Tutto quello che so è che un mondo senza cultura, sia essa alta o popolare, senza Anna Karenina ma anche, oso dirlo, senza Cinquanta sfumature di grigio, sarebbe un mondo ancora più selvaggio di quello in cui viviamo ora.

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