mercoledì 20 aprile 2016

Lo sciacallo liberale capelluto che scriveva sul Manifesto sostiene il golpe statunitense in Brasile

Risultati immagini per riotta manifesto
Dilma domani all’Onu denuncia il golpe istituzionale
Brasile. Attesa per la decisione della Corte costituzionale sul ruolo di Lula di Geraldina Colotti il manifesto 21.4.16
Al momento per noi di andare in stampa, non era ancora arrivata la decisione del Supremo tribunale federale, la Corte costituzionale brasiliana, sulla nomina a capo di Gabinetto dell’ex presidente Lula, sospesa dalla magistratura il 16 marzo scorso, su denuncia delle opposizioni secondo le quali si sarebbe così sottratto all’arresto.
Si insedierà invece il prossimo 26 aprile la commissione speciale del Senato – composta da 21 titolari e altrettanti supplenti, scelti in maniera proporzionale tra le forze politiche – che dovrà decidere se archiviare o trasmettere al Senato la procedura di impeachment contro la presidente Dilma Rousseff.
Entro 10 giorni, la commissione deve decidere: se approva l’impeachment, Dilma sarà sospesa dalle funzioni per un periodo massimo di 180 giorni, durante i quali il vice presidente Michel Temer assumerà l’interim e la presidente dovrà difendersi dalle accuse, esaminate da presidente della Corte costituzionale, Ricardo Lewandowski. Poi, gli 81 senatori voteranno di nuovo a maggioranza dei 2/3 il 17 maggio. Se per Dilma va male, Temer sarà il nuovo presidente. Domani, Rousseff denuncerà la situazione alla sessione straordinaria delle Nazioni unite.

Dilma al contrattacco: «Indignata e vittima di un’ingiustizia» Brasile. Tre giornalisti che hanno reso pubblico lo scandalo del Datagate portato in luce da Snowden - Glenn Greenwald, Andrew Fishman e David Miranda – hanno denunciato il viaggio di tre giorni negli Usa compiuto da senatori di opposizione come Aloysio Nunes, del Psdb subito dopo il voto d’impeachment. Nunes si è incontrato con vari funzionari Usa, alcuni dei quali molto vicini a Hillary Clinton. Nunes è una figura molto importante di opposizione
di Geraldina Colotti il manifesto 20.4.16
«Sono indignata. Mi sento vittima di una grande ingiustizia. Continuerò a lottare come ho fatto per tutta la vita».
Con queste parole, la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha parlato ai giornalisti dopo il via libera all’impeachment dato dalla Camera domenica con i 2/3 dei voti. Entro 48 ore, la Commissione speciale del Senato, nominata ieri, dovrà scegliere il presidente e il relatore.
Una decisione attesa per la prossima settimana, considerando che il 21 è giorno di ferie. Dopo, la Commissione avrà tempo 10 giorni per analizzare il procedimento contro Rousseff e elaborare un rapporto che verrà discusso e sottoposto a voto durante la plenaria del Senato, il quale deciderà – a maggioranza semplice – se archiviare o mandare avanti il processo.
Se il procedimento viene accolto dal Senato, la presidente sarà sospesa dall’incarico per 180 giorni e sostituita dal vicepresidente Michel Temer, anch’egli sotto impeachment per aver presumibilmente truccato il bilancio governativo per renderlo accettabile a livello elettorale. Se Dilma perde anche in Commissione, le sessioni del Senato deputate a decidere (con maggioranza dei 2/3) verranno dirette dal presidente del Supremo Tribunale Federale. «Temer rappresenta il ritorno della disuguaglianza in Brasile», ha detto il leader dei Sem Terra, Joao Pedro Stedile.
Da giorni, la sinistra e i movimenti si mobilitano contro «il golpe istituzionale» messo in moto dai poteri forti a uso di una destra screditata e corrotta.
Il presidente del parlamento, Eduardo Cunha, che ha messo in moto l’impeachment è sotto inchiesta per sottrazione di soldi pubblici e malaffare, ed è finora riuscito a evitare il carcere grazie all’immunità parlamentare.
Tre giornalisti che hanno reso pubblico lo scandalo del Datagate portato in luce da Snowden – Glenn Greenwald, Andrew Fishman e David Miranda – hanno denunciato il viaggio di tre giorni negli Usa compiuto da senatori di opposizione come Aloysio Nunes, del Psdb subito dopo il voto d’impeachment. Nunes si è incontrato con vari funzionari Usa, alcuni dei quali molto vicini a Hillary Clinton. Nunes è una figura molto importante di opposizione.
Candidato alla presidenza nel 2014 per il Psdb contro Rousseff, ora sta tessendo le fila dell’impeachment al senato. Greenwald ricorda il conflitto sostenuto da Dilma durante il Datagate, quando venne fuori che la Nsa aveva spiato sia lei che l’impresa petrolifera di Stato, Petrobras.
E si sa che Washington non considera il Brasile un posto sicuro per i suoi capitali: men che meno se, per il 2018, tornasse alla presidenza Lula da Silva, che Dilma ha nominato capo di Gabinetto, ma che i giudici hanno bloccato.
D’altro canto – ricordano i tre giornalisti – gli Usa hanno una lunga storia di ingerenze e destabilizzazione in America latina, proseguita anche dopo il colpo di stato militare in Brasile del 1964, che le destre rimpiangono: nel 2002 contro Hugo Chavez, poi ad Haiti contro Jean-Bertrand Aristide.
E il sostegno dell’allora segretaria di Stato, Hillary Clinton al golpe contro Manuel Zelaya in Honduras, fu determinante, come lei stessa ammette. Contro Rousseff, si sta mettendo in opera una procedura simile a quella che, nel 2012, ha destituito l’ex vescovo Fernando Lugo in Paraguay: anche in quell’occasione, fu il vicepresidente Federico Franco a chiudere la breve parentesi progressista, riportando a destra il paese.

Dilma in bilico Il Brasile cerca un altro futuro 
Gianni Riotta Busiarda 19 4 2016
L’Italia farà scuola in politica. Il repubblicano Trump è paragonato a Berlusconi, il democratico Sanders propone come modello la nostra sanità pubblica (ebbene sì).
E Sergio Moro, il giudice federale che, a 42 anni sta mettendo sotto processo la classe dirigente brasiliana, si ispira all’inchiesta Mani pulite e ai magistrati di Milano. In un saggio titolato «Riflessioni sul caso Mani Pulite, Mãos Limpas», malgrado l’errore in bibliografia «Gionvanni Falcone», Moro si dichiara erede dei nostri giudici http://goo.gl/jEaqbB e, con tale investitura, procede nell’indagine sul caso della compagnia petrolifera Petrobas, tre miliardi di euro di mazzette ai politici in cambio di contratti e favori. Moro non ha esitato a coinvolgere l’ex presidente e padre della patria dei poveri, Luiz Iñacio Lula, e ora, con la Camera ad aver votato la messa sotto accusa della presidente Dilma Rousseff e in attesa della conferma del Senato, può portare alla caduta del governo e a nuove elezioni. Il lettore riconoscerebbe tante immagini italiane nell’inchiesta Lava Jato, autolavaggio, la delação premiada, premio alla delazione che scagiona chi accusa davanti ai giudici i complici, la prisão cautelar, la carcerazione preventiva per spezzare la resistenza degli accusati che non confessano, il mensalão, l’assegno mensile di 12.000 euro versato in nero ai parlamentari il cui voto serve al governo per non andare sotto. E poi le intercettazioni tra Lula e la Dilma, la protetta di cui l’ex presidente si lagna adesso «è come una figlia: dice di volermi bene e non fa mai quel che le dico», rivelate alla stampa per evitare che una nomina sottraesse l’ex presidente ai magistrati con l’immunità. Sinistra e destra si accusano a vicenda sui giornali amici di «Colpo di stato», i corrispondenti esteri si schierano con passione militante, la Borsa sale e scende seguendo gli scoop.
Nominando il giudice Moro tra i leader più influenti al mondo per la rivista «Forbes», l’economista Moises Naim non ha dubbi «La coesistenza passiva con la corruzione, da sempre endemica in America Latina, può diventare residuo del passato».
Che il miracolo economico brasiliano finisse così presto rottamato pochi lo aspettavano. Il Nobel per l’economia Paul Krugman dichiarava nel 2012 a San Paolo: «Il vostro Paese è il cocco dei mercati finanziari», il «Financial Times» brindava alla «Brazilmania», ma non appena il prezzo delle materie prime, dal ferro al petrolio, è sceso, e l’imponente domanda dalla Cina ha rallentato, il modello di sviluppo distorto che Lula a sinistra, e le oligarchie a destra, hanno imposto allo sterminato Paese ha ceduto. Dilma, come tutti chiamano la presidente, ha oscillato dal primo al secondo mandato presidenziale tra ricette di «austerity» care al Fondo monetario e populismi alla Chavez in Venezuela, spesa pubblica senza ritorno di crescita per i poveri del Nordeste, sua base elettorale. Una manovra che ricorda quella della vecchia Democrazia cristiana nel nostro Sud, fondi a pioggia in cambio di voti, scarso sviluppo industriale, economico, sociale.
A 108 giorni dalla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici a Rio De Janeiro, con la zanzara Zika che spaventa con la sua epidemia di febbre i turisti, davanti a manifestazioni di piazza enormi - per ora più grandi quelle contro il governo, perché i militanti sindacali sono disgustati - la Rousseff annaspa. Quando la televisione ha mostrato in diretta, voto dopo voto, la Camera sul suo rinvio a giudizio, milioni di brasiliani sono rimasti sconvolti per la mediocrità volgare di una classe politica, che parla pomposa di ideali dopo gli anni dolorosi della dittatura militare, ma cerca solo di salvare la pelle dagli scandali, con il capo accusatore, Eduardo Cunha a sua volta travolto da processi per corruzione e riciclaggio di danaro sporco. Il popolare umorista Helio de la Pena mastica amaro «La Camera è come un ristorante, meglio non vedere cosa succede in cucina…», «Propongo fondi per trapianto di capelli ai deputati calvi…», i suoi due milioni di followers su twitter @helio ridono incavolati. Lo studioso marxista Perry Anderson, in uno sterminato saggio sulla rivista «The London Review of Books», paragona in negativo gli esiti politici di Mani pulite a quelli possibili di Mãos Limpas, e anticipa ulteriore caos http://goo.gl/f3VNiV . Su «Foreign Affairs» invece Moises Costa scommette che il Senato confermerà l’impeachment per la Rousseff, e prevede o elezioni anticipate o un governo del vicepresidente Michel Temer, del conservatore partito Pmdb, sempre che Moro non colpisca anche lui. La Casa Bianca preferirebbe che Temer stabilizzasse il Paese con altre riforme, raffreddando la crisi e, con una gaffe studiata a tavolino, il vicepresidente ha anticipato «per errore» via WhatsApp la sua manovra economica in un messaggio radio. Giubilo della Borsa e Dilma a rispolverare gli slogan di un tempo, quando era guerrigliera e scontò anni di galera: «Cospirazione!» visto che nei sondaggi Temer ha appena l’1% di consensi. Povero, grande Brasile, altro che 7 a 1 contro la Germania…
L’Italia farà scuola in politica. Il repubblicano Trump è paragonato a Berlusconi, il democratico Sanders propone come modello la nostra sanità pubblica (ebbene sì).
E Sergio Moro, il giudice federale che, a 42 anni sta mettendo sotto processo la classe dirigente brasiliana, si ispira all’inchiesta Mani pulite e ai magistrati di Milano. In un saggio titolato «Riflessioni sul caso Mani Pulite, Mãos Limpas», malgrado l’errore in bibliografia «Gionvanni Falcone», Moro si dichiara erede dei nostri giudici http://goo.gl/jEaqbB e, con tale investitura, procede nell’indagine sul caso della compagnia petrolifera Petrobas, tre miliardi di euro di mazzette ai politici in cambio di contratti e favori. Moro non ha esitato a coinvolgere l’ex presidente e padre della patria dei poveri, Luiz Iñacio Lula, e ora, con la Camera ad aver votato la messa sotto accusa della presidente Dilma Rousseff e in attesa della conferma del Senato, può portare alla caduta del governo e a nuove elezioni. Il lettore riconoscerebbe tante immagini italiane nell’inchiesta Lava Jato, autolavaggio, la delação premiada, premio alla delazione che scagiona chi accusa davanti ai giudici i complici, la prisão cautelar, la carcerazione preventiva per spezzare la resistenza degli accusati che non confessano, il mensalão, l’assegno mensile di 12.000 euro versato in nero ai parlamentari il cui voto serve al governo per non andare sotto. E poi le intercettazioni tra Lula e la Dilma, la protetta di cui l’ex presidente si lagna adesso «è come una figlia: dice di volermi bene e non fa mai quel che le dico», rivelate alla stampa per evitare che una nomina sottraesse l’ex presidente ai magistrati con l’immunità. Sinistra e destra si accusano a vicenda sui giornali amici di «Colpo di stato», i corrispondenti esteri si schierano con passione militante, la Borsa sale e scende seguendo gli scoop.
Nominando il giudice Moro tra i leader più influenti al mondo per la rivista «Forbes», l’economista Moises Naim non ha dubbi «La coesistenza passiva con la corruzione, da sempre endemica in America Latina, può diventare residuo del passato».
Che il miracolo economico brasiliano finisse così presto rottamato pochi lo aspettavano. Il Nobel per l’economia Paul Krugman dichiarava nel 2012 a San Paolo: «Il vostro Paese è il cocco dei mercati finanziari», il «Financial Times» brindava alla «Brazilmania», ma non appena il prezzo delle materie prime, dal ferro al petrolio, è sceso, e l’imponente domanda dalla Cina ha rallentato, il modello di sviluppo distorto che Lula a sinistra, e le oligarchie a destra, hanno imposto allo sterminato Paese ha ceduto. Dilma, come tutti chiamano la presidente, ha oscillato dal primo al secondo mandato presidenziale tra ricette di «austerity» care al Fondo monetario e populismi alla Chavez in Venezuela, spesa pubblica senza ritorno di crescita per i poveri del Nordeste, sua base elettorale. Una manovra che ricorda quella della vecchia Democrazia cristiana nel nostro Sud, fondi a pioggia in cambio di voti, scarso sviluppo industriale, economico, sociale.
A 108 giorni dalla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici a Rio De Janeiro, con la zanzara Zika che spaventa con la sua epidemia di febbre i turisti, davanti a manifestazioni di piazza enormi - per ora più grandi quelle contro il governo, perché i militanti sindacali sono disgustati - la Rousseff annaspa. Quando la televisione ha mostrato in diretta, voto dopo voto, la Camera sul suo rinvio a giudizio, milioni di brasiliani sono rimasti sconvolti per la mediocrità volgare di una classe politica, che parla pomposa di ideali dopo gli anni dolorosi della dittatura militare, ma cerca solo di salvare la pelle dagli scandali, con il capo accusatore, Eduardo Cunha a sua volta travolto da processi per corruzione e riciclaggio di danaro sporco. Il popolare umorista Helio de la Pena mastica amaro «La Camera è come un ristorante, meglio non vedere cosa succede in cucina…», «Propongo fondi per trapianto di capelli ai deputati calvi…», i suoi due milioni di followers su twitter @helio ridono incavolati. Lo studioso marxista Perry Anderson, in uno sterminato saggio sulla rivista «The London Review of Books», paragona in negativo gli esiti politici di Mani pulite a quelli possibili di Mãos Limpas, e anticipa ulteriore caos http://goo.gl/f3VNiV . Su «Foreign Affairs» invece Moises Costa scommette che il Senato confermerà l’impeachment per la Rousseff, e prevede o elezioni anticipate o un governo del vicepresidente Michel Temer, del conservatore partito Pmdb, sempre che Moro non colpisca anche lui. La Casa Bianca preferirebbe che Temer stabilizzasse il Paese con altre riforme, raffreddando la crisi e, con una gaffe studiata a tavolino, il vicepresidente ha anticipato «per errore» via WhatsApp la sua manovra economica in un messaggio radio. Giubilo della Borsa e Dilma a rispolverare gli slogan di un tempo, quando era guerrigliera e scontò anni di galera: «Cospirazione!» visto che nei sondaggi Temer ha appena l’1% di consensi. Povero, grande Brasile, altro che 7 a 1 contro la Germania…

Nessun commento: