domenica 24 aprile 2016

Memorie di una famiglia di ebrei italiani al tempo delle leggi razziali

Lettere e pagine di diario (1938-1946)Gualtiero Cividalli: Lettere e pagine di diario 1938- 1946, a cura di Sara Berger, Giuntina 2016

Risvolto
È l'affermarsi dell'antisemitismo in Italia nel 1938 a spingere il sionista e antifascista fiorentino Gualtiero Cividalli, insieme alla moglie Maria D'Ancona, a prendere nel giro di pochi mesi la decisione di emigrare in Eretz Israel, a Tel Aviv, per dare un futuro migliore ai cinque figli. Gualtiero comprende fin da subito la gravità delle Leggi razziali, come annota nel suo diario e nelle lettere a Maria durante i periodi di separazione. Con l'amore per il dettaglio descrive l'inserimento in quel "nuovo mondo", il focolare ebraico in Palestina, allora sotto mandato britannico. Con acute osservazioni e profonda umanità commenta gli sviluppi militari e politici della seconda guerra mondiale. Posa lo sguardo e il pensiero sul Vicino Oriente e sull'Africa - col terrore che i nazisti si avvicinino alla Palestina - senza mai dimenticarsi dell'Italia, dove vivono i familiari e gli amici. I legami sentimentali e le preoccupazioni per coloro che sono rimasti nella "vecchia patria" sono ancora più forti nel momento dell'occupazione nazista, soprattutto quando incominciano ad arrivare - attraverso la Svizzera - notizie su deportazioni e uccisioni di persone care. 
Esce il diario dei Cividalli dalle leggi razziali alla Brigata Ebraica

La libertà si tramanda di padre in figlio 
“Gli stessi italiani che volevano distruggerci ora cercavano ristoro a casa nostra, una casa di ebrei”

UMBERTO GENTILONI Restampa 23 4 2016
Eravamo una famiglia borghese, benestante come tante, ben inserita nel tessuto cittadino di Firenze. Mio padre era un ottimo ingegnere, il nonno Carlo era funzionario amministrativo alle ferrovie, la nonna, Gilda Contini era ferrarese. Anche lo zio Giorgio, fratello del babbo, era ingegnere, specializzato in ferrovie. I nonni materni erano proprietari terrieri». Parla come un fiume in piena Piero Cividalli con un impeccabile accento fiorentino.
«EClasse 1926, racconta in una tiepida serata romana la storia di una famiglia, a partire dalle pagine scritte da suo papà Gualtiero ( Lettere e pagine di diario 1938- 1946, a cura di Sara Berger, Giuntina 2016). E tra le note di allora e le parole di oggi scorre un pezzo del secolo scorso: le biografie dei singoli sullo sfondo dei grandi sconvolgimenti del Novecento. Il padre va via dall’Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali, mantenendo un legame affettivo profondo, uno sguardo continuo verso ciò che accade nella Penisola. Aveva servito la sua patria nei passaggi più difficili, al fronte durante la Prima guerra mondiale, sul Piave e a Vittorio Veneto come tenente in un reparto del genio telegrafisti.
Poi la scelta dell’antifascismo come dimensione esistenziale, senza tentennamenti. Radici lontane che vibrano nelle frasi che riavvolgono il nastro del passato: «Fra le nostre amicizie spiccava quella coi Rosselli. Mia madre, Maria, era stata compagna di classe di Nello al liceo classico Michelangelo. Mio padre, Gualtiero, una classe più avanti, aveva fondato con Nello verso la fine del 1916 un mensile»: frequentazioni interrotte dalla violenza squadrista. Gualtiero braccato dai fascisti sfugge a retate e arresti, quando l’assassinio dei fratelli Rosselli (giugno 1937) diventa un dramma familiare: «Un momento cruciale della nostra esistenza perché eravamo molto legati. I nostri genitori erano amici, la sera uscivamo spesso in automobile e si andava a cena da Nello e Maria, o da qualche altra parte. Passavamo le vacanze insieme. Erano gli amici più vicini che avessimo in quegli anni».
E da quel momento si aprono scenari imprevedibili. Con la legislazione antiebraica del 1938 vengono espulsi dalla scuola e Gualtiero decide di spostare il suo nucleo familiare nella Palestina mandataria, sotto il controllo inglese. Si muove per primo. Per gli altri (la moglie e cinque figli) prima un periodo in Svizzera e poi, una volta ottenuti i permessi, il viaggio verso il nuovo mondo. È in quel tornante di vita che Gualtiero comincia a scrivere il suo diario, mentre sviluppa una fitta corrispondenza con chi gli è allora lontano. Una trama di relazioni e informazioni che dal 1938 si spinge fino alla seconda guerra mondiale e ai suoi effetti. Elementi cruciali che tornano nelle pagine di Gualtiero e nei ricordi del figlio Piero: la natura del regime e la cesura profonda delle leggi del 1938, la sfida finale del conflitto, la posta in palio per gli ebrei perseguitati e per l’umanità tutta, la paura di un tempo difficile e la ricerca di una luce in fondo al tunnel senza cedere «alle delusioni, alla confusione spirituale che regna nel mondo, a questo senso di rilassamento, di sconforto, di scetticismo universale». L’ideale antifascista e l’impegno sionista convivono e si alimentano in famiglia; l’amore per l’Italia rimane un tratto costitutivo, nonostante tutto. Piero propone una spiegazione che investe le identità in cammino: «L’amore per il paese dove le famiglie avevano vissuto per generazioni era troppo grande per lasciare posto a un rancore che sarebbe stato ben giustificato. Dopotutto mio padre, un ragazzo del ’99 aveva rischiato la vita per l’Italia durante la grande guerra. Nel 1944, quando ormai la svolta della guerra era diventata determinante, molti soldati italiani catturati nella campagna del Nord Africa giravano per le strade di Tel Aviv. Durante le ore di libertà dai campi di prigionia, questi stessi italiani che cercavano di distruggerci venivano ora a farci visita e a trovare ristoro in una casa di ebrei italiani dove erano accolti come vecchi amici ». La loro casa diventa una sorta di rifugio per italiani mentre si attende il responso dai teatri di guerra. Gualtiero raccoglie informazioni dalle trasmissioni radio inglesi, scrive migliaia di pagine tra diario e corrispondenza, confida nella vittoria finale e disegna e colora con sorprendente tempismo mappe che descrivono l’inarrestabile avanzata dell’Union Jack e degli Alleati nei vari fronti. Lo sguardo cade sull’Italia divisa e colpita dalla guerra civile. Due figli, Paola e Piero, si mettono in gioco per contribuire alla vittoria finale: la prima nell’eserci- to britannico e il secondo da volontario nella Brigata Ebraica si muove in Italia, Belgio e Olanda tra il 1945 e il 1946 nell’ultimo scorcio di guerra. Piero sbarca in Puglia, la Brigata (costituita ufficialmente nel 1944) fu inquadrata nell’Ottava armata britannica mentre risaliva la penisola lungo il versante Adriatico.
Nelle parole del padre Gualtiero consegnate al Diario il viaggio del figlio è quasi un ritorno attraverso l’Europa in fiamme: «Ieri è partito Piero; per l’Egitto prima, l’Europa poi. Erano una cinquantina i ragazzi, tutti della Brigata Ebraica, che tornavano al loro campo dopo la licenza successiva al corso di addestramento, per raggiungere le loro unità al più presto possibile. È probabile che Piero arrivi in Italia fra due o tre settimane; non potrà subito correre a salutare i parenti, ma si può sperare che abbia il modo di incontrarsi con loro fra non molto. Per questo la partenza era diversa da quelle solite. Era insieme una partenza verso l’ignoto e un ritorno verso un caro e ben noto passato».
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