domenica 24 aprile 2016

Monica Kristensen racconta l'esplorazione del Polo Nord



Gli Argonauti del ghiaccio Spedizioni. Hanno descritto viaggi in terre desolate e impervie. I protagonisti delle imprese polari vengono ancora ricordati come degli eroi, tra mito e realtà. Un’anticipazione della lectio magistralis che la glaciologa svedese terrà oggi al festival milanese «I boreali» Monica Kristensen Manifesto 23.4.2016, 0:06
Nella società odierna, troviamo l’eroe in quasi tutti gli aspetti della vita. Può sembrare che sappiamo esattamente cosa sia e come si debba comportare un eroe, e che tipo di etica preveda un appellativo del genere. La verità è che siamo inondati di presunti eroi nei film, in letteratura, nei media e nei discorsi di ogni giorno. Esiste, a quanto pare, una forte convinzione che noi esseri umani possiamo essere divisi in mortali «comuni» ed «eccezionali». Inoltre c’è la percezione che le qualità eroiche, benché innate, in qualche caso abbiano bisogno di sfide particolari per essere risvegliate. Gli eroi, perciò, non possono essere identificati per il loro aspetto, e un atteggiamento modesto può spesso mascherare caratteristiche e schemi di comportamento che più tardi renderanno quella persona visibile come eroe.
Tra tutte le specie di eroi, un’aura speciale circonda gli eroi polari. A nessun altro è stata dedicata tanta ammirazione ed entusiasmo, a parte forse agli astronauti negli anni Sessanta e Settanta. È pur vero che esistono molti punti in comune tra le due categorie: entrambi hanno lottato contro condizioni naturali ostili e affrontato prove estreme in ambienti pericolosi e al tempo stesso bellissimi e affascinanti. Per loro natura, gli eroi polari si muovono in un territorio di confine tra mito e realtà, tra il regno dei vivi e quello dei morti. Le loro imprese possono essere paragonate in più di un senso ai miti greci che descrivevano i viaggi fantastici di Ercole, Ulisse, Giasone gli Argonauti.
Lo spazio dimenticato
L’epoca d’oro degli eroi polari si colloca tra l’inizio del secolo scorso e gli anni Sessanta, un periodo che è stato definito in seguito l’età dell’eroismo e che ha visto la fine quando l’uomo ha cominciato a spingersi in un ambiente ancora più pericoloso: lo spazio. L’ammirazione della gente per le grandi spedizioni polari cominciò a impallidire quando i nuovi eroi, gli astronauti, divennero oggetto di un entusiasmo che sfiorava l’isteria. Uno degli ultimi esploratori polari, sir Walter – Wally – Herbert, ne fece l’esperienza il 6 aprile 1969, quando, con tre compagni, raggiunse dopo fatiche inumane il polo nord. I quattro uomini avevano percorso più di seimila chilometri attraverso il mare ghiacciato: da Alert, in Alaska, fino all’isola Vesle Tavleøya nelle Svalbard, portando a termine una delle spedizioni polari più lunghe e difficili della storia.
L’evento avrebbe meritato le prime pagine dei giornali e l’ammirazione dei media di tutto il mondo, sennonché erano in corso i preparativi del primo sbarco umano sulla luna con l’astronave americana Apollo 11. Herbert non fu il solo a subire questo genere di avversità. Perfino il più grande degli eroi polari, l’uomo che raggiunse i risultati più straordinari sia a nord che a sud – l’esploratore polare Roald Amundsen – morì deluso e sull’orlo della bancarotta.
Da giovane, Roald Amundsen assisté al trionfo straordinario che accolse Fridtjof Nansen nell’estate 1889, al suo ritorno in Norvegia dopo la traversata della Groenlandia sugli sci, insieme a cinque compagni. È lo stesso Amundsen, nel libro La mia vita da esploratore polare, a descrivere l’entusiasmo che circondò l’arrivo di Nansen al porto di Oslo come un’esperienza talmente forte, per lui, da fargli decidere in quello stesso istante di diventare a sua volta esploratore nelle regioni polari. Conclusi gli studi di medicina, ottenne il brevetto di capitano e cominciò i laboriosi preparativi della sua futura carriera di eroe.
Nel magnifico volume Immagini di eroi polari norvegesi dal 1888 al 1928, pubblicato in Norvegia nel 2011, gli autori Harald Østergaard Lund e Siv Frøydis Berg mostrano come la fotografia abbia aiutato a creare l’immagine dell’eroe polare, e come gli esploratori polari abbiano a loro volta collaborato a questa costruzione. Molte di quelle immagini iconiche sono state scattate in condizioni molto ardue nei luoghi che descrivono.
Le foto di Scott e Amundsen della tenda al polo sud nel 1911 e nel 1912 sono tra le più celebri della storia delle esplorazioni polari, specialmente perché esprimono in maniera esemplare la differenza tra le due spedizioni e annunciano le sofferenze che aspettavano gli inglesi.
Con mia grande sorpresa, mi sono trovata anch’io raffigurata nel libro, in un’illustre galleria di ritratti, accolta in una sezione molto esclusiva consistente in tre iconiche immagini incappucciate. Eccomi qui, con un sorriso timido, tra Robert E. Peary nel 1909 e Roald Amundsen in Alaska nel 1920. A quanto vedo sono l’unica ancora in vita tra i personaggi ritratti, e perciò la sola in grado di raccontare le circostanze in cui la mia foto, opera di Lord Snowdon, è stata realizzata: le sue premesse e motivazioni, la messa in scena e il suo destino successivo. Non conoscevo la rivista «Vogue», che aveva commissionato la foto. Non avevo idea di chi fosse la donna austera che mi volteggiava intorno, cercando di dare al mio trucco un’aria «naturale». Era Anna Wintour, mi hanno detto più tardi. Ho dovuto indossare un enorme pastrano in pelle di renna, prestata per l’occasione da un museo di Londra, che puzzava in modo insopportabile di grasso rancido e polvere stantia. Mi hanno piantato in testa un cappuccio adeguato al ruolo e sulla spalla un pesante rotolo di corda recuperato in tutta fretta da un cantiere nelle vicinanze. Sdraiato ai miei piedi, un anziano cane da slitta ansimava per il calore estivo.
Lord Snowdon era un uomo gradevole e affascinante e un fotografo esperto. La foto venne bene, naturalmente, e anche molto più che bene. Divenne un’immagine iconica. Ma non aveva nulla a che vedere con la spedizione al polo sud per cui saremmo partiti di lì a poco. Avevo posato per quella foto perché mi pagavano bene e avevo bisogno di denaro per la spedizione.
Per quanto ne so, Roald Amundsen e Robert Peary non commentarono mai i loro ritratti. Un uomo del calibro di Amundsen doveva aver trovato piuttosto umiliante posare nella neve e nel ghiaccio del Bunnefjord, poco fuori Oslo, con indosso una giacca di pelle che sarebbe stata troppo pesante perfino al polo sud. Possiamo solo immaginare cosa abbia spinto i due eroi a posare per quelle foto, quali fossero le loro intenzioni e le loro speranze. Sulla base della mia esperienza con Lord Snowdon in quello studio di Londra, suppongo avessero a che fare con il timore di veder fallire le proprie ambizioni, con il desiderio di successo e di una vita all’altezza di quell’immagine eroica.
Soffi di eternità

Ma più di tutto credo che la pressione dei vari addetti alle pubbliche relazioni avesse un motivo economico. Mostrarsi al pubblico come un vero eroe polare doveva fare parte delle incombenze professionali, degli obblighi inevitabili, anche per loro. Roald Amundsen scomparve presso l’Isola degli Orsi il 18 giugno 1928, durante una ricerca aerea dell’eroe polare italiano e suo rivale Umberto Nobile. Questa è la conclusione del bel discorso che Fridtjof Nansen tenne in sua memoria: «E così, completato il lavoro, tornò alle distese del Mare artico, dov’era l’opera della sua vita. Trovò una tomba sconosciuta sotto il cielo puro del mondo dei ghiacci, e il sussurro delle ali divenne il soffio dell’eternità.
Ma nel silenzio bianco il suo nome risplenderà insieme all’aurora boreale, nei secoli, per la gioventù norvegese. Sono uomini come lui, con il suo coraggio, la sua volontà e la sua forza, a darci speranza per la nostra specie e fiducia nel futuro. Un mondo che dà vita a questi figli è un mondo ancora giovane». Nessuno può negare allo scritto commemorativo di Fridtjof Nansen la sua forza seduttiva e mitopoietica. Ma non è veritiero. Prima di morire, Roald Amundsen aveva lottato per anni contro le difficoltà economiche, gli attacchi personali sulla stampa, contro un senso di fallimento nonostante tante gloriose spedizioni coronate dal successo. Lo sappiamo perché abbiamo le lettere spedite all’amico, il farmacista Zapffe.
In esse leggiamo che affrontava cicli di conferenze poco frequentate perché Umberto Nobile, collega dall’aura molto più esotica in Norvegia, era stato negli stessi posti prima di lui; o di come l’eroe polare raccogliesse le mele nella sua proprietà di Svartskog per venderle al mercato di Oslo. Ma nemmeno questo commercio era particolarmente redditizio: quell’anno, infatti, era stato particolarmente buono per le mele, e tutti avevano in giardino un albero carico di frutti.
Frammenti prosaici di una vita comune. Nulla che ispiri ammirazione o possa far nascere un culto. Solo quando scomparve nel bianco deserto dell’Artico, Roald Amundsen ritrovò la via per il mondo gelido e scintillante del mito e divenne un eroe. (traduzione di Maria Valeria D’Avino)
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Il secco orientamento di un’esploratrice Nata in Svezia nel 1950 e cresciuta in Norvegia, Monica Kristensen è glaciologa, matematica, fisica e da qualche anno scrittrice. Sulle tracce dei viaggi di Amundsen ha guidato diverse spedizioni in Artide e Antartide e a oggi è una delle più note esploratrici polari del nord Europa. È stata la prima donna a ricevere la medaglia d’oro della Royal Geographical Society. Per la casa editrice Iperborea ha pubblicato due romanzi : «Operazione Fritham» (2015) e «La leggenda del sesto uomo» (2013), entrambi ambientati nelle isole Svalbard dove Kristensen ha trascorso due anni a osservare le aurore boreali. Le sue descrizioni di una natura polare impietosa e che raccontano piccole città minerarie disabitate che si dipanano, insieme alle vite di chi le abita, in trame affascinanti, hanno conquistato lettori e lettrici di tutta Europa.
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L’ultima giornata del festival «I Boreali» Alla sua seconda edizione, il Festival milanese «I Boreali» (cominciato il 20 per concludersi oggi) è interamente dedicato a letteratura, cinema, musica, cibo, performance, corsi e workshop.
Nato all’interno della recente esperienza della casa editrice Iperborea che ha all’attivo l’ideazione e l’organizzazione di altri festival dedicati alla cultura nordica (Caffè Amsterdam, 2010. Caffè Copenaghen, 2012. Caffè Stoccolma, 2013. Caffè Helsinki, 2014). «I Boreali» è ideato e organizzato da Iperborea in collaborazione con il Teatro Franco Parenti. È ricca di incontri anche la giornata conclusiva del festival «I Boreali», in collaborazione con il Teatro Franco Parenti. Insieme alla lectio di Monica Kristensen dedicata a «I grandi esploratori del Nord», oggi è la volta anche della scrittrice finlandese Minna Lindgren che ha appena pubblicato per Sonzogno il secondo episodio della sua fortunata trilogia, «Fuga da Villa del Lieto Tramonto». All’incontro parteciperà Rosa Terruzzi. La serata sarà dedicata infine alla proiezione del film «Miss Julie», della attrice bergmaniana e ora regista Liv Ullmann. Inoltre un viaggio enogastronomico in compagnia di esperti di cucina scandinava, alla scoperta di cibi nordeuropei.

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