martedì 26 aprile 2016

Otto libri perduti da Byron a Benjamin e oltre

Storie di libri perdutiGiorgio van Straten: Storie di libri perduti, Laterza, pp. 130, euro 14

Risvolto
Un viaggio sulle tracce di otto libri perduti, libri mitici come le miniere nella corsa all’oro: tutti i cercatori sono sicuri che esistono e che saranno proprio loro a trovarle, ma nessuno in realtà ha prove certe e percorsi sicuri. I segni sono labili, le speranze di ritrovare quelle pagine sono scarse. Eppure il viaggio vale la pena.

Questo libro racconta la storia di altri libri che c’erano e non ci sono più: i libri perduti non sono libri dimenticati oppure libri pensati dall’autore e mai nati, sono quelli che l’autore ha scritto, che qualcuno ha visto, magari ha anche letto, e che poi sono stati distrutti o dei quali non si è saputo più niente. Libri bruciati, strappati, rubati, semplicemente scomparsi, ma che sono stati scritti, che sono sicuramenti esistiti.
La ricerca di una perfezione irraggiungibile, circostanze ambientali e storiche avverse, la censura e persino l’autocensura, la volontà degli eredi: i motivi che portano alla perdita dei libri sono i più diversi. Uno di questi libri Giorgio van Straten l’ha avuto nelle proprie mani, ma non è stato capace di salvarlo. È proprio da quella perdita che parte la sua ricerca di otto libri, il racconto di otto storie a giro per il mondo sulle tracce di pagine che non ci sono più, ma che si può sempre sperare di ritrovare. L’autore si fa viaggiatore, investigatore, spia, si attacca a indizi, informazioni attendibili o meno, ascolta amici ed esperti per avere qualche elemento in più.
Ogni libro perduto ha la sua storia che non assomiglia alle altre, se non per qualche particolare che stabilisce strane relazioni. Partendo dalla casa di Firenze di Romano Bilenchi per poi passare all’Inghilterra di Byron e di Sylvia Plath, alla Francia degli anni Venti dove ha vissuto Hemingway, attraverso la Russia di Gogol e la frontiera spagnola che Walter Benjamin cerca di superare per sfuggire al proprio destino, dalla Polonia occupata dai nazisti dove Bruno Schulz viene ucciso per un dispetto fra ufficiali tedeschi fino a un remoto paesino del Canada dove si è rifugiato Malcolm Lowry...
Perché magari un giorno, da qualche parte, uno di questi libri che sembra perduto per sempre potrebbe miracolosamente riemergere.

«Ogni volta che nella vita mi sono imbattuto in un libro perduto, ho provato la stessa sensazione che mi prendeva leggendo da piccolo certi romanzi che parlavano di giardini segreti, teleferiche misteriose, castelli abbandonati: l’occasione di una ricerca, il fascino di ciò che sfugge e la speranza di essere l’eroe capace di risolvere il mistero. In quei romanzi da ragazzi in effetti la soluzione arrivava verso la fine del libro, suggerita dall’autore ovviamente, anche se a me sembrava frutto della mia attenzione e della mia fantasia.»

Incendi, sesso, mogli distratte Quando lo scrittore perde il testo

I manoscritti di Hemingway, le frasi omo di Byron, l’incompiuta della Plath In un libro le opere scomparse, sottratte o mai pubblicate dei grandi autori

Libero 26 Apr 2016 DANIELEDELL’ORCO RIPRODUZIONE RISERVATA
La categoria degli scrittori rientra tra quelle divisibili in mille modi, tali e tante sono le peculiarità e le manie con cui ognuno di loro deve confrontarsi quando ha di fronte il foglio bianco. In modo sommario, però, si potrebbero dividere in due grandi sottocategorie: i narcisisti e gli insoddisfatti. I primi tendono a considerare sacra e intoccabile qualsiasi cosa producano. I secondi, come affetti da una crudele maledizione, non pubblicherebbero mai nulla che non reputino perfetto.
Tra questi ultimi c’è Nikolaj Gogol’, uno dei grandi della letteratura russa. Uno che, a 18 anni, pubblicò un poema su una rivista di Mosca che ricevette diverse stroncature. Così comprò tutte le copie pubblicate per poterle bruciare. Un autolesionismo che, anni dopo, nel 1852, portò Gogol’ a dare alle fiamme il seguito del suo Le anime morte, una sorta di Divina Commedia della steppa, divisa in tre parti, ma di cui solo la prima è presente in tutte le librerie. La maledizione di Gogol’, in quel caso, finì col negare all’umanità un’opera fondamentale.
Questa è una delle vicende che Giorgio van Straten (direttore dell’Istituto italiano di cultura a New York e uno dei direttori di Nuovi Argomenti) racconta nelle sue Storie di libri perduti (Laterza, pp. 130, euro 14) insieme ad altre sette di testi incompiuti, scomparsi, censurati. Libri che, però, a differenza di tanti altri di cui si favoleggia, sono esistiti di sicuro.
A cancellarli ci hanno pensato le eventualità più incredibili, come nel caso delle Memorie di George Byron, già consegnate all’editore per la pubblicazione, ma riscattate dopo la sua morte dalla sorellastra, dalla vedova e da alcuni amici, perché inopportune. Tra le righe lo sciupafemmine Byron dichiarava forse la sua omosessualità, che nella democratica Inghilterra fu depenalizzata solo nel 1967. Oppure ammetteva l’incesto avuto proprio con quella sorellastra così interessata a far sparire l’opera. Una scelta familiare, parecchio discutibile, come quella che portò la moglie di Romano Bilenchi a distruggere, dopo la morte del marito, Il viale, la storia di un amore extraconiugale destinato a sfociare in matrimonio, dove la vedova era appunto la protagonista.
Fu invece ancora il fuoco a cancellare In ballast to the White Sea di Malcolm Lowry, che sparì nel 1944 in un incendio della capanna della Columbia Britannica che l’autore aveva scelto come rifugio dal nazismo. Per sfuggire alla persecuzione, invece, Walter Benjamin decise di suicidarsi a Port Bou, in Catalogna, nel 1940, la sera prima di essere riconsegnato ai francesi di Vichy. In quella stanza d’albergo lo scrittore tedesco aveva una valigia nera con dentro, forse, il pezzo mancante dell’incompiuto lavoro sui Passages parigini.
Non riuscì a sfuggire alla furia nazista invece Bruno Schulz, ebreo polacco autore delle Botteghe color cannella, ucciso in una ripicca tra due ufficiali nazisti. Del suo Messia è sopravvissuta solo una frase: «Sai, mi disse una mattina mia madre, è arrivato il Messia, è già nel villaggio di Sambor». Dopo la caduta del Muro di Berlino il ministro degli Esteri polacco Bronislaw Geremek disse di essere stato avvicinato da un diplomatico svedese che era stato a sua volta accostato da un sedicente agente dell’ex Kgb, il quale gli aveva chiesto un riscatto per il romanzo di Schulz, conservato a suo dire negli archivi della polizia politica. Lo scritto, però, non saltò mai fuori. Un altro archivio, quello dell’Università della Georgia, che custodisce alcune carte di Sylvia Plath secretate fino al 2022, conserva forse il manoscritto di Double exposure, il romanzo che la poetessa suicida aveva dedicato alla crisi del suo matrimonio con Ted Hughes.
Molto più banale la disavventura di Hemigway. Nel 1922 la sua prima moglie, Hadley Richardson, smarrì alla Gare de Lyon una valigia con tutti i manoscritti del marito, ancora acerbo. Il suo vecchio amico Ezra Pound lo invitò a considerare quella perdita come un «atto divino», poiché tramite la memoria, «il miglior critico», avrebbe potuto recuperare il materiale davvero meritevole. Un colpo di sfortuna che forse, in questo caso, non ci ha fatto disprezzare Hemingway.

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