venerdì 15 aprile 2016

Papa Ciccio, capo della sinistra mondiale


Bernie Sanders in Vaticano con Morales e Correa

Santa Sede. Il convegno organizzato da Bergoglio

di Geraldina Colotti il manifesto 15.4.16
Oggi e domani, in Vaticano, si svolge un convegno celebrativo per i 25 anni della «Centesimus annus», organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze sociali alla Casina Pio IV. Insieme a sociologi ed economisti, vi saranno due capi di stato provenienti dal continente latinoamericano: Evo Morales, presidente della Bolivia e il suo omologo dell’Ecuador, Rafael Correa. Due rappresentanti di quell’America latina che si richiama al socialismo del XXI secolo e che dialoga con Bergoglio sui temi delle diseguaglianze, della crisi ambientale e della giustizia nel mondo, di cui si discuterà al convegno. Ma fra gli invitati vi sarà anche il senatore socialdemocratico Bernie Sanders, che compete con Hillary Clinton alle primarie Usa.
Dato l’atteggiamento fin qui tenuto dal papa argentino, si può pensare che non disdegni i discorsi – piuttosto arditi, per gli Usa -, pronunciati da Sanders contro la pena di morte, le basi militari, e le ingerenze (che sono state il pane quotidiano anche di Clinton quand’era segretaria di Stato, come orgogliosamente racconta nel suo libro di memorie, Hard Choices).
Per la verità, secondo la diplomazia vaticana, tra Sanders e Bergoglio non dovrebbe esserci nessun incontro ufficiale: “Non risulta in agenda”, ha tagliato corto il portavoce della santa Sede, Federico Lombardi, precisando che l’invito non è arrivato dal Vaticano ma dalla Pontificia Accademia, diretta da monsignor Marcelo Sanchez Sorondo (nato a Buenos Aires come il papa, di cui è amico e consigliere).
Sorondo, insieme al cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson (un progressista), ha organizzato l’incontro con le organizzazioni popolari, prima in Vaticano e poi in Bolivia, durante il viaggio compiuto da Bergoglio in alcuni paesi dell’America latina. In quel contesto, Morales gli ha regalato una croce a forma di falce e martello, scolpita da Luis Lucho Espinal, un gesuita che ha camminato a fianco dei marxisti e che è stato massacrato dalla dittatura militare nel 1980.
Le foto, diffuse in tutto il mondo, hanno mostrato l’espressione stupita di Bergoglio, ma non un rifiuto. Di certo, non l’aria accigliata che il papa ha ostentato durante la visita dell’attuale presidente argentino Mauricio Macri, neoliberista che sta piallando i diritti conquistati durante gli anni del kirchnerismo.
L’occasione attuale, però, ricorda un papa e un periodo di tutt’altro segno, il documento sociale di Giovanni Paolo II, che il papa guerriero amico di Reagan ha scritto all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Un pontefice che avrebbe ostracizzato non solo un Morales, ma anche un ben più moderato Sanders. Il senatore del Vermont è stato comunque “bacchettato”, sia dalla stampa del suo paese che da quella nostrana.
Appena ha saputo del convegno, si è detto, ha tampinato il Vaticano fino a provocare fastidio, intanto che si affrettava a dichiarare alla stampa di essere stato invitato dalla santa Sede: per attirare il voto cattolico, lui che cattolico non è. Ha protestato con la Pontificia Accademia anche il giuslavorista Pietro Ichino, che ha ritenuto dissonante “l’egualitarismo” di Sanders.
Ma il senatore socialdemocratico, dopo un affollato comizio a Washington Square e il duello con Hillary Clinton, è partito per Roma, dove si fermerà per meno di 24 ore, e dove spera comunque di incontrare Bergoglio: «Non mi perdo questa opportunità», ha dichiarato al Washington Post. Comunque vada, avrà una carta in più da giocare nell’importantissimo match di martedì a New York.
E d’altro canto, le vie del Vaticano, se non proprio infinite sono sufficientemente flessibili o contorte da accogliere nel proprio seno sia un cardinale come Turkson che un personaggio come l’honduregno Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga. Un uomo potente, che stava per diventare papa al posto di Bergoglio. Un salesiano nominato cardinale nel 2011 su indicazione di Wojtyla e un amico fidatissimo di Washington: “capace di esprimersi in maniera costruttiva su qualsiasi pecca o problema americano”, dicono i cablogrammi Usa. E infatti si è schierato con i golpisti che, su indicazione della Cia, hanno deposto in Honduras il presidente Zelaya, nel 2009.
Contro il cardinale – già denunciato per aver ricevuto un salario mensile di 5.000 dollari dal governo honduregno che ha preceduto Zelaya – è sceso in campo, fra gli altri, il premio Nobel argentino Adolfo Perez Esquivel. Ma già in un articolo sul Tiempo, pubblicato 21 gennaio del 1982, il sacerdote Fausto Milla denunciava Maradiaga per complicità con i militari, definendolo “più simile a un colonnello che a un pastore”. Oggi Mariadega, in versione ambientalista, è uno degli uomini più vicini a Bergoglio.

Sanders punta alla Convention per fermare la corsa di Hillary

Il senatore non si ritira obbligando la rivale a spendere sino a 20 milioni al mese Il suo manager: Clinton avanti grazie ai superdelegati, faremo saltare la nomination

di Paolo Mastrolilli La Stampa 15.4.16
Le primarie di martedì a New York saranno un punto di svolta per le presidenziali nel campo democratico. Hillary Clinton punta ad una vittoria netta, per mettere fine all’insurrezione di Bernie Sanders che le sta costando 20 milioni di dollari al mese, oltre alle liti che scalfiscono la sua immagine e il suo consenso. Il senatore del Vermont invece conta di ottenere abbastanza delegati per non perdere contatto con la favorita, in modo da poter contestare la sua nomination alla Convention di Philadelphia e convincere i superdelegati a cambiare cavallo appoggiando lui.
La frustrazione di Hillary
La campagna di Hillary, secondo fonti interne, è molto frustrata perché lo scontro con Sanders si sta incattivendo. Ciò danneggia il Partito democratico, che invece grazie alla guerra civile in corso fra i repubblicani avrebbe ottime possibilità di vincere. A questo punto della campagna Clinton pensava di aver chiuso la partita, e potersi concentrare sul voto di novembre. Invece deve continuare a lottare contro Bernie, e questo le costa circa 20 milioni di dollari al mese, che invece avrebbe voluto risparmiare per lo scontro finale col candidato repubblicano. Secondo il manager della campagna di Hillary, Robby Mook, Sanders non ha possibilità matematiche di conquistare la nomination, perché da qui alla fine delle primarie sono in palio solo stati che assegnano i delegati col proporzionale. Quindi anche se Bernie li vincesse tutti, non riuscirebbe comunque a colmare lo svantaggio accumulato, che a questo punto è già superiore a quello di Clinton nel 2008 contro Obama. Mook comunque pensa di vincere alla grande a New York, e poi in Pennsylvania e New Jersey, chiudendo la partita prima del voto del 7 giugno in California.
Oggi in Vaticano
La campagna di Sanders è frustrata, perché dopo aver vinto otto delle ultime nove consultazioni sente di aver il consenso dalla sua parte. La visita di oggi in Vaticano per parlare alla conferenza della Pontificia accademia delle scienze sociali non verrà strumentalizzata a fini politici, ma di certo alzerà il suo profilo anche sul piano internazionale. Il senatore però sa che faticherà a tradurre questi risultati nella nomination, e quindi sta affondando i colpi. Al comizio di mercoledì sera nel cuore del Greenwich Village, dove oltre 27.000 persone hanno affollato Washington Square per appoggiare Bernie, un suo sostenitore ha accusato Hillary di essere una «prostituta» del grande business. Là abbiamo incontrato il manager della sua campagna, Jeff Weaver, che ha spiegato così la strategia: «Andremo fino alla Convention di Philadelphia, e convinceremo i superdelegati che il nostro candidato è la scelta migliore per il partito e il Paese». Tradotto dal politichese, significa che Sanders sa di non poter raggiungere la soglia di 2.383 delegati che renderebbe automatica la sua nomination, ma spera di conquistarne abbastanza per negare a Hillary di raggiungere questo traguardo, senza l’aiuto dei superdelegati scelti dal partito e quindi non eletti.
A quel punto potrebbe andare alla Convention per dire che Clinton non ha vinto il voto popolare, e i democratici dovrebbero ridiscutere la nomination, sollecitando i notabili a cambiare cavallo.
Le contromosse
Fonti interne alla campagna di Hillary escludono che questo possa avvenire, perché i superdelegati impegnati a sostenerla sono tutti membri del partito, amici e alleati, che non l’abbandoneranno mai. Il problema piuttosto è cosa offrire a Sanders per calmarlo e ottenere che appoggi la campagna di novembre, portando in dote i gruppi elettorali dove è più forte, a partire dai giovani. Bernie ha già chiarito che non vuole fare il vice, e nemmeno il ministro: qualcuno vicino, però, potrebbe entrare nell’amministrazione. Lui invece influenzerebbe l’agenda e otterrebbe un ruolo di primo piano alla Convention. Se i democratici riprendessero la maggioranza al Senato non potrebbe fare il leader, perché quel posto è stato già promesso a Charles Schumer di New York, ma avrebbe la presidenza di una importante commissione legata ai suoi temi preferiti. A patto però che non spinga Hillary troppo a sinistra, ostacolando poi la manovra per conquistare il «centro vitale» dove si vince la Casa Bianca. 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non è la Chiesa che è passata a sinistra ma il mondo che è diventato di destra

materialismostorico ha detto...

Parole santissime.