lunedì 11 aprile 2016

Studiare il latino oggi

Nasce a Milano il certificato sulla conoscenza del latino “Tante aziende lo richiedono” 
Viene rilasciato dopo un esame, sul modello del “Cambridge” inglese La consulta universitaria che ha promosso l’iniziativa: “La lingua di Cicerone può fare la differenza in un curriculum”. Soprattutto all’estero
LUCA DE VITO Restampa 28 4 2016
MILANO
Un certificato che attesta la conoscenza del latino, con quattro diversi livelli di competenza. Qualcosa di molto simile agli esami “Cambridge Esol” per l’inglese o al Delf per il francese, ma che in questo caso attesta la conoscenza della lingua di Cicerone. L’iniziativa è promossa dalla Cusl, la consulta universitaria per gli studi latini che sulla base di un accordo con il provveditorato agli studi e alcuni atenei, ieri ha organizzato il test in dieci sedi della Lombardia. Si sono presentati in 750 per valutare il proprio livello: «Un numero destinato a crescere — dice Guido Milanese, uno dei due responsabili nazionali della Cusl e professore alla facoltà di scienze linguistiche della Cattolica — anche perché può essere un elemento spendibile a livello di curriculum. Ci sono aziende, in particolare all’estero, che tengono in considerazione la conoscenza del latino».
Ad essere convinti dell’utilità di una certificazione di questo tipo, dunque, è anche il mondo imprenditoriale: «In un mercato del lavoro che è molto dinamico il latino è la disciplina che per eccellenza denota capacità di ragionare e di logica — conferma Giuseppe Bruno, general manager di Info Jobs, portale di ricerca lavoro specializzato — fa capire a un’azienda può investire su un candidato perché è una cartina di tornasole che indica le sue potenziali capacità».
E così davanti ai licei milanesi — cinque di questi sono stati sede delle prova ieri — si sono presentati in tanti. Soprattutto studenti delle superiori, anche se il test era aperto a tutti. Valeria Monti, 18 anni, fa la quinta dal liceo scientifico Iris Versari di Cesano Maderno. «Secondo me nel curriculum conta, io sono qui per questo — ha spiegato — non ho ancora idee precise su cosa andrò a fare, ma sicuramente mi piacerebbe studiare Lettere o qualcosa di simile».
Il modello su cui si basa il test è molto lontano dalla classica valutazione delle competenze di latino che solitamente si fa nei licei. Niente traduzione né vocabolario per i primi tre livelli: i ragazzi si sono cimentati in esercizi che servivano a dimostrare se avessero capito o meno il testo presentato. Quindi trasformazioni delle frasi da una forma linguistica a un’altra, domande con risposta vero o falso, buchi di un testo da riempire con le parole giuste. Diverso invece il discorso per il quarto livello, più avanzato, in cui gli studenti si sono trovati davanti anche un testo da tradurre. «C’è sicuramente una componente di educazione linguistica, in questa iniziativa — spiega ancora Milanese — secondo me bisogna insistere non tanto sul latino chiuso nel mondo classico, quanto piuttosto su tutta la cultura europea, fino al romanticismo. Basti pensare agli scritti di Vico, Cartesio o Spinoza. Pensi che lo scorso anno a Londra, durante un seminario, mi sono divertito presentando un quiz a dei ragazzi inglesi. Ho messo davanti a loro un testo in latino, chiedendo chi fosse l’autore. Nessuno ha indovinato che si trattava di Newton».
Per sostenere la prova, gli iscritti non hanno pagato nulla e tutto si è basato sul lavoro volontario dei professori delle varie scuole e dei dirigenti scolastici che hanno messo a disposizione gli spazi. Come Ilaria Torzi, docente del liceo Vittorio Veneto e membro della commissione che correggerà le prove: «Lo facciamo perché siamo convinti dell’utilità del latino: è la base linguistica e culturale dell’Europa, qualcosa di molto importante se si pensa alla crisi di valori che stiamo attraversando come cittadini europei ». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

L’imputato Tacito si alzi 
Polemiche culturali. Il dibattito sullo studio del latino e greco prosegue, con toni sempre più accesi. Ora per tentare di orientarsi c'è anche un libro appena uscito per il Mulino: «Processo al liceo classico», a cura di Ugo Cardinale e Alberto Sinigaglia
Federico Condello Manifesto 8.6.2016, 19:12 
«In Inghilterra i ragazzi delle scuole bevono ogni mattina mezzo litro di latte. In Italia bevono latino», si lagnava il liberal-socialista Guido Calogero nel 1955. Di lì a poco il latino sarebbe stato ridotto e poi azzerato alle medie inferiori. E si narra che il banditore comunale di una città sarda annunciasse la bella nuova così: «il latino è morto, Deo gratias!». Se non è vero, è indovinato. 
L’istruzione classica italiana è ormai unica nel mondo. All’estero ce la invidiano, ma in Italia periodicamente la si attacca. E fruga fruga, dietro ogni attacco c’è l’argomento del «mezzo litro di latte»: l’utile contro l’inutile, il pratico contro il teorico. Lo dimostra l’odierno dibattito sul liceo classico, innescato da un preoccupante calo di iscrizioni: dal 10% del 2008 al 6% di oggi. Specie al Centro-Nord ci si converte allo scientifico o ai nuovi licei del carnet Gelmini. Crisi passeggera o svolta epocale? Occorre rassegnarsi o rilanciare? Calogero, sessant’anni fa, se la prendeva con la versione in latino a favore della versione dal latino, e della lettura dei testi originali. Sono i consigli che i nostri licei hanno seguito, con beneficio di tutti. Oggi i critici del classico vanno ben oltre, e fingendo che nella didattica nulla sia cambiato invocano l’abolizione della versione o un suo ridimensionamento drastico: testi più brevi, da scegliersi in una rosa come si fa con i temi, e corredati da domande di cultura generale. 
Dato che la maturità è prossima, immaginiamoci la scena. Cinque versioni a scelta: come comporrà la cinquina il Miur per garantire prove equipollenti? Bel grattacapo. E come sceglierà la sua prova lo studente? Sulla fiducia, perché si sa che Cesare e Senofonte sono facili, Tacito e Tucidide difficili? O traducendo a tentoni le prime righe di cinque testi? O verificando la disponibilità delle soluzioni su Studenti.it? E le domande a corredo? Due le forme possibili, una peggio dell’altra: il desolante quiz, o il commento libero, che a sua volta o è chiacchiera, o è una prova di dottorato. 
Ma vedremo: delle proposte concrete si discuterà quando arriveranno. Per ora nel dibattito prevalgono gli slogan. C’è chi ripete la solfa «il liceo classico è di classe», scuola figlia del fascismo, per figli di papà; e allora la deduzione ovvia sarebbe: facciamo di ogni scuola un liceo classico, come ha proposto provocatoriamente Paola Mastrocola. C’è chi prescrive più cultura, meno grammatica: che è come proporre meno numeri, più equazioni; «levatemi di torno la grammatica!», diceva il «signor Stolto» di Goethe. C’è chi difende l’umanesimo come valore sempiterno: e siamo alla solita classicità culla della democrazia, della filosofia e di tante altre cose belle (non anche del razzismo, dello schiavismo, del sessismo?). Il dibattito è acceso, ma stagna un po’, fra argomenti triti di cui sarebbe facile tracciare la monotona storia. 
Come vaccino contro gli stereotipi si può consigliare il Processo al liceo classico, a cura di Ugo Cardinale e Alberto Sinigaglia (il Mulino, pp.168, euro 15). Tocca qui ad Andrea Ichino sostenere il ruolo dell’accusa e imputare al liceo classico la sua iniquità di classe. Bel paradosso: «Gracco che si lamenta dei disordini», direbbe Giovenale, essendo ben noto l’egualitarismo di Ichino. L’economista sciorina dati: i diplomati del classico crollano al test di scienze della Normale di Pisa e al test di medicina dell’università di Bologna. Peccato che a Ichino dia una bella lezione di statistica Gabriele Lolli, matematico alla Normale, denunciando l’uso grossolano di dati parziali. Si può aggiungere che a Bologna i diplomati del classico iscritti a Medicina battono i colleghi dello scientifico per media di voti, voto di laurea e addirittura regolarità di studi. Come mai? 
Ma a Ichino rispondono fra gli altri Umberto Eco (a lui il libro è dedicato), Luciano Canfora, Ivano Dionigi. Eco insiste sull’ideale di un classico-scientifico a tutto tondo, che integri senza dimidiare. Canfora difende la traduzione come pratica insostituibile, «non una penitenza fondata sul difficile raggiungimento di una traduzione unica e vera, ma un divertimento problematico». Dionigi deride lo sciocco teorema del latino di destra, dell’inglese di sinistra, e loda l’alleanza di scienze e studi umanistici in nome del comune metodo; di più: del comune impegno civile. Non meno istruttivo l’intervento di Adolfo Scotto di Luzio, che ricorda «agli sprovveduti di studi storici» quanto fu avversata in seno al fascismo la riforma Gentile, e quanto sia fascista l’istituzione della ’scuola del lavoro’, il cui più caloroso elogio recente, contro il liceo tutto, dobbiamo al ministro Profumo. 
Ma testimonianze preziose, affidate al dossier iniziale, vengono da decine di licei italiani. Come ci ricorda Cardinale, è la riforma Gelmini che ha radicalizzato la polarità classico-scientifico. È la riforma Gelmini che ha cancellato le sperimentazioni matematico-scientifiche e ha ridotto di fatto le potenzialità formative dei licei classici. Riflettiamoci. Un liceo classico non di classe, e magari anticlassista per vocazione, riparte di qui: da esperienze didattiche concrete, coraggiose e fruttuose. Altrimenti rimarranno solo le sparate demagogiche e le riforme improvvisate; rimarrà solo l’argomento del «mezzo litro di latte»: da servirsi oggi, preferibilmente, con i biscotti.

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