sabato 2 aprile 2016

Tazieff in Camerun

L’enigma del lago rosso
Frank Westerman: L’enigma del lago rosso, Iperborea

Risvolto
La notte del 21 agosto 1986 tutta la vita della valle di Nyos, in Camerun, è spazzata via: polli, zebù e uccelli cadono a terra morti insieme a quasi duemila persone. Nessun danno materiale, capanne e palme sono intatte. Si parla di un’esplosione, di uno strano odore, di un lago vicino che si è tinto di rosso, la notizia fa subito il giro del mondo, ma cos’è successo in uno dei disastri naturali più clamorosi del XX secolo? Una filtrazione gassosa? Un’arma chimica o una bomba atomica testata da americani, israeliani o francesi? Un intrigo del presidente Biya per sterminare le etnie oppositrici? Un segno divino? A più di 25 anni dalla catastrofe, Westerman torna in Camerun per recuperare tutti i tasselli del puzzle che è cresciuto intorno al mistero: dalla contesa tra l’audace Tazieff, il prudente Sigurðsson e i maggiori geologi del pianeta per far «vincere» la propria tesi, agli interessi postcoloniali dietro la voce della scienza, dallo choc dei testimoni al «perché io?» che ha cambiato la vita ai sopravvissuti, dalla reazione dei missionari alle convinzioni delle tribù animiste, cristiane e islamiche. L’uomo ha bisogno di risposte, e dove non arrivano i fatti osano le «storie», quelle che in tutte le culture, ieri come oggi, si alzano sopra la confusione del mondo e con il tempo diventano miti. Scienza, religione, antropologia, complotto politico e un caleidoscopio di varia umanità si confrontano in un’indagine appassionata e rigorosa tra romanzo e reportage che dal Camerun si allarga a Europa e Stati Uniti, per trovare nell’Africa globalizzata di oggi risposte sorprendentemente vicine alle domande del nostro Occidente. 

Tazieff L’uomo che sussurrava ai vulcani
Lo scrittore Frank Westerman ricostruisce la vita avventurosa dello studioso che sfidò la comunità scientifica, calandosi nei crateri
FRANK WESTERMAN Restampa 2 4 2016
Se fosse ancora in vita, il giocatore di scacchi lampo, pugile dilettante, speleologo, rugbista e vulcanologo Haroun Tazieff (Varsavia, 1914 – Parigi, 1998) avrebbe oggi centodue anni. Il filosofo Régis Debray definisce il “caso Tazieff” una “lezione di filosofia scientifica”. Quale, però? Le bacheche di Gigean, paesino nel Sud della Francia, ne sono tappezzate: locandine gialle e arancioni di vulcani in eruzione. Fanno pensare all’arrivo
di un circo di mangiatori di fuoco. Si tratta invece dell’annuncio delle Journées Haroun Tazieff, la cui attrazione principale è un intervento del “figlio di Tazieff”. Frédéric Lavachery (messo al mondo nel 1945 da Tazieff senior) si installerà con una mostra itinerante sul padre biologico nella palestra di fronte alla caserma dei pompieri. Tazieff: scienziato o avventuriero? è il titolo della conferenza che Tazieff jr terrà per l’occasione. È la madre di tutte le domande. Per un’intera vita tumultuosa Haroun Tazieff si era battuto contro le roccaforti universitarie, Sorbona in testa. La fama mondiale da vulcanologo se l’era conquistata facendosi calare con paranchi meccanici all’interno di un vulcano attivo nel Congo Belga. Avvolto in una tuta di alluminio stava sospeso imbrigliato sopra il lago di lava del Nyaragongo, filmando tutto quanto. Les rendez- vous du diable si intitolava quel suo documentario del 1959, con il quale conquistò tutta la Francia. No, gli accademici dall’alto delle loro cattedre continuarono a prendere posizione contro di lui. Alla sua morte nel 1998 (a 83 anni), un docente della Sorbona finse di non aver mai sentito parlare di lui.
«Ah, intende dire quel cineasta», rispose sprezzante a un giornalista che si era azzardato a definire Tazieff un “vulcanologo”.
Con quel suo orecchio sinistro a sventola e il portamento piegato in avanti, Tazieff jr sembra schiacciato dal peso della somiglianza col padre.
Fu solo nel 2006, quando Frédéric Lavachery aveva sessant’anni, che si presentò per la prima volta alla Francia come il mai riconosciuto “figlio di”, con la sua fisionomia come unica prova. Nonostante Frédéric sia cresciuto nella famiglia della madre, Tazieff si è occupato della sua educazione nel ruolo di “amico di famiglia”. «Mia madre Betty morì nel 1964. L’amavo con tutta l’anima, ma non osai piangere. Pensai: se adesso piango, Tazieff mi giudicherà un debole. Uno smidollato».
La sera per la conferenza si raduna nella palestra un pubblico di una cinquantina di ascoltatori. Gli aneddoti spinosi non vengono menzionati, il discorso al pubblico di Frédéric è talmente osannante da rasentare l’agiografia, ripercorre disinvolto la carriera del padre, mostra le sue fotografie (giocatore di rugby, ciclista, segretario di Stato)… «Come ha fatto Tazieff a entrare in un vulcano attivo?» Frédéric lancia la domanda come un giocoliere. Due secondi dopo la raccoglie lui stesso: «Esattamente come stava su un ring. Se ti colpiscono, non chiudere mai gli occhi. Qualsiasi cosa accada, continua a guardare! ». Haroun viene cresciuto dalla madre, la comunista russo-polacca Zenitta. Passando per Pietrogrado, Tblisi e Parigi, negli anni ‘20 finiscono a Bruxelles, dove “Garouk” a scuola viene preso in giro per via dell’accento russo. Durante la guerra fanno base a Liegi, dove Tazieff si iscrive a ingegneria mineraria. Gli studi gli servono da copertura per atti di sabotaggio notturni. È attivo nella resistenza e si nasconde regolarmente a casa di Betty Limbosch, con cui genera il suo unico figlio Frédéric nei mesi della liberazione. Sembra una costante della sua vita: Tazieff preferisce guardare dentro il cratere di un vulcano, piuttosto che gettare uno sguardo introspettivo alle proprie motivazioni. Aveva diciotto anni quando si era arrabbiato per la prima volta, «e oggi», scrive nel 1991, «non passa giorno senza che io sia preda di attacchi di collera». Che cosa lo fa arrabbiare? Il non riconoscimento. Non da parte del grande pubblico (che lo porta in palmo di mano) ma del mondo accademico. Personalmente lui stesso si considera il fondatore della vulcanologia moderna. Con le sue intuizioni sulle fosse tettoniche della Rift Valley all’inizio degli anni Settanta si guadagna le colonne di
Science e Nature. Ma la reazione dei colleghi è gelida. Tazieff è un autodidatta privo di titoli che non rappresenta alcun istituto. È a capo di una sua équipe di seguaci con ottime qualifiche accademiche, che però vengono screditati dai colleghi in quanto “sherpa di Tazieff”. Tutta la frustrazione in merito esplode in occasione della crisi de La Soufrière nel 1976, che deve il suo nome al vulcano di La Soufrière in Guadalupa. Quell’estate, Tazieff non ritiene necessaria l’evacuazione di 60.000 sudditi francesi invocata dai vulcanologi. Il loro superiore, Claude Allègre, gli dà della “Madame Soleil della vulcanologia”, il cui unico strumento di misurazione «è il suo dito bagnato». Quando però l’eruzione magmatica prevista non accade e la popolazione può fare ritorno dopo mesi alle sue case intatte, il vento torna a soffiare in suo favore. Tazieff considera le università delle istituzioni chiuse, in cui il pensiero originale viene soffocato. Tazieff è inorridito dal “disprezzo intellettuale” e dalla “presunta superiorità” dei professori: i cattedratici sono conformisti di mestiere, si spalleggiano, temono i ricercatori indipendenti a caccia della pura verità.
La sua popolarità cresce: negli anni Novanta entra ogni anno nella classifica dei primi dieci “francesi viventi più amati” del
Journal de Dimanche. Nel 1985 si guadagna, in quanto segretario di Stato incaricato della prevenzione di catastrofi naturali sotto Mitterrand, una statua di cera tutta per lui: nella posa del
Pensatore di Rodin.
Poi avviene la catastrofe del Nyos: una sera di agosto del 1986 quasi duemila esseri umani e seimila capi di bestiame cadono morti stecchiti sul fondo di una sperduta valle del Camerun, senza che vi sia alcuna traccia di devastazione. Tazieff fa perdere le staffe alla comunità mondiale annunciandone per primo, ancora a Parigi, la causa: uomini e animali sono soffocati in una nube di CO2 emanata da un’esplosione di vapore nel vicino lago vulcanico di Nyos. È l’inizio dell’interminabile caso Nyos, che vedrà Tazieff sconfitto dall’islandese Sigurdsson, la cui teoria conferma la presenza di CO2, ma non l’eruzione vulcanica. Dopo una serie di attacchi sferrati a voce e per iscritto, Tazieff finisce per gettare la spugna: a partire dal 1990 boicotta tutte le discussioni sulla catastrofe del Nyos. Il suo motto: la storia mi darà di colpo ragione non appena si verificherà una nuova eruzione del vulcano del Nyos. Quando Tazieff, nel corso degli anni Novanta si ritira dalla linea del fronte della vulcanologia, svaniscono anche le sue ultime briciole di autorità, nei dibattiti televisivi cerca sistematicamente solo la controversia.
Durante lo smontaggio della mostra nel pomeriggio seguente, Frédéric racconta che pubblicherà una nuova biografia del padre, chi prenota in anticipo il libro riceverà anche il testo in pdf prima della pubblicazione. Mesi dopo, quando apro il pdf che mi è stato spedito, appare il titolo: Un volcan nommé Haroun Tazieff.
La prefazione è della mano di uno scrittore di teatro, autore della pièce: La sessualità dei vulcani; un omaggio esplosivo ad Haroun Tazieff. Quando gli chiedo come mai la prefazione non sia stata scritta da un vulcanologo, Frédéric mi fa sapere: «Nessuno degli scienziati a cui ho rivolto la richiesta si è nemmeno degnato di rispondere».
Traduzione di Olga Amagliani © Frank Westerman ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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