venerdì 1 aprile 2016

Traduzioni estreme

Traduzioni estremeFranco Nasi: Traduzioni estreme, Quodlibet pagg. 176, euro 18

Risvolto
Le traduzioni di testi con forti vincoli formali, come i giochi di parole, gli anagrammi, gli acrostici, sono estreme, come estremi sono lo sci alpinismo o il parapendio. Questi sport richiedono una preparazione accurata e, nello stesso tempo, una buona dose di coraggio e creatività. Il libro intende essere in primo luogo un osservatorio di traduzioni estreme: dai romanzi lipogrammatici di Perec e Dunn, alla poesia in anagrammi di Pereira, dai testi bidirezionali di Boccaccio, Boiardo, Hofstadter, all’acrostico alfabetico del Salmo 119, alle poesie per l’infanzia di Rodari e McGough.

Oltre alla descrizione delle metamorfosi traduttive, il libro riflette sulle intenzioni che hanno guidato i traduttori. L’obiettivo non è di segnalare, con l’indice puntato, che cosa sia andato perso nella traduzione né quale vincolo il traduttore abbia colpevolmente trascurato, ma di comprendere che cosa è avvenuto nel movimento.
Un modo per riflettere su questioni rilevanti della traduttologia, ma anche dell’ontologia del testo letterario e della sua natura olistica.
Una lettura aperta, critica, non pregiudicata di un’esperienza di traduzione, e una riflessione su quell’esperienza che possa sensatamente portare a qualche considerazione più generale sull’attività linguisticamente complessa, culturalmente problematica, eticamente impegnativa, ma sempre necessaria del tradurre.


Scommessa, inventiva e creatività perché la traduzione è lo sport estremo più pericoloso 
Il saggio di Franco Nasi ripercorre le avventure più curiose di un mestiere nato con il crollo della Torre di Babele Dall’antichità fino agli esperimenti linguistici di Georges Perec
VALERIO MAGRELLI Restampa 1 4 2016
L’attività della traduzione ha a che fare per definizione con la figura del prigioniero (dal latino
captivus), trasportato da un luogo all’altro nella stessa maniera in cui il testo è destinato a migrare di lingua in lingua. A sottolinearlo è Franco Nasi nel saggio Traduzioni estreme (Quodlibet). Parlando dell’ufficio traduzioni del tribunale, il luogo in cui ci si occupa di controllare e spostare i carcerati, la sua premessa cita un anagramma proposto da Stefano Bartezzaghi partendo dal termine “cattiveria” (anch’esso derivato da captivus). Ebbene, basta cambiare posto a poche lettere, per ottenere “creatività”. Siamo al cuore di questo libro, che ha come tema la creatività nelle traduzioni, e in particolare in quelle estreme.
Nata con l’uomo, o se si preferisce col crollo della Torre di Babele, considerata da un celebre critico «il più complesso genere di evento mai prodotto nell’evoluzione del cosmo», la traduzione è oggi diventata una disciplina di vastissima portata, da cui discendono ricerche specifiche quali la “traduttologia” e la “translatica”, più note con l’espressione Translation Studies. In un panorama tanto ampio il lavoro di Nasi si raccomanda per diverse ragioni, prima fra tutte la sua leggibilità. Lo si vede sin dalla curiosa titolazione dei capitoli, aperti da alcune pagine su Traduzioni estreme e sci fuori pista (sottotitolo: La gravità e la neve), per poi passare alle sezioni Lipogrammi, pangrammi e anagrammi o Acrostici alfabetici e inversi. Difficile immaginare un divario più ampio. Eppure il ricorso a codici tanto lontani fra loro quali appunto quelli di slalom e enigmistica (quest’ultima da intendersi come parente stretta della poesia) funziona a perfezione, consentendo a chiunque di comprendere il difficile meccanismo di alcuni strepitosi virtuosismi verbali.
Eccoci all’assunto del libro: l’incarico del traduttore, di per sé arduo, si fa addirittura inaudito di fronte a composizioni volutamente difficoltose, estreme. Questo aggettivo si riferisce a opere particolari, cioè formalmente vincolate (quelle che nello sci chiameremmo “piste nere”), scritte assumendo intenzionalmente restrizioni insolite. Prendiamo il lipogramma. Si tratta di una creazione letteraria realizzata secondo un particolare artificio: l’omissione di tutte le parole in cui compare una determinata lettera o un determinato gruppo di lettere. L’esempio più famoso è costituito dal romanzo di Georges Perec,
La disparition ( La scomparsa).
Uscito nel 1969 (in era pre-computer), il volume consta di oltre 300 pagine, oltre 70 mila parole e quasi 300 mila caratteri, nelle quali non viene mai impiegata la “e”. Scelta significativa, in quanto, essendo tale vocale la più utilizzata nel francese, sta a dimostrare come lo scrittore abbia voluto raccogliere la massima sfida – per continuare la metafora sciistica, basterebbe pensare allo slalom speciale. Ora, se scrivere un testo del genere ha dell’eccezionale, immaginate cosa significherà tradurlo… Una simile impresa (rendere in un’altra lingua il vincolo lipogrammatico) parrebbe impossibile, invece è riuscita a un gran numero di casi, tanto che La scomparsa è apparsa in turco, svedese, russo, olandese, rumeno o spagnolo (in quest’ultimo idioma con un lipogramma in “a” anziché in “e”).
Dunque anche una traduzione così estrema si rivela fattibile, sfruttando con creatività le possibilità ludiche e combinatorie degli alfabeti. Cosa succederebbe, tuttavia, se volessimo riprodurre il testo in una lingua che non ha un alfabeto fonetico, bensì idiogrammatico come il cinese? La risposta di Nasi dischiude nuovi orizzonti: «Qui la discesa, più che sulla neve fresca, sarebbe una discesa sull’acqua. Ma, come si sa, anche su quella, volendo, si riesce a sciare».
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