mercoledì 27 aprile 2016

Traffici culturali nel deep web: da sempre la pirateria anarchica sperimenta e anticipa le modernizzazioni capitalistiche

Quei corsari della letteratura nel mare agitato del dark web 

Nell’Internet dei traffici clandestini nascono anche riviste culturali

STEFANIA PARMEGGIANI Restampa 27 4 2016
Noi siamo anonimi. Siamo cultura… Gli utenti senza volto che si muovono nel dark web sono stanchi di essere considerati dei criminali. Mercanti di droga, di armi, di informazioni rubate. Peggio ancora, pedofili e terroristi. Nell’Internet profondo, quello che sfugge ai normali motori di ricerca, ci sono persone che credono nel diritto di scrivere, ma soprattutto di leggere in modo anonimo. Discutono di sorveglianza, copyright, arte digitale, libertà creativa. E lanciano progetti di resistenza culturale come “The Torist”, la prima rivista letteraria, in inglese, del dark web.
Il debutto è stato a gennaio, una settimana fa l’annuncio del secondo numero: si cercano opere di saggistica, narrativa, poesia e arte visiva. Nel frattempo è nata in Francia una rivista gemella. Editori e autori diversi, ma stesso nome e stesso ambiente di pubblicazione: la rete Tor, creata nel 1996 dai laboratori della Marina statunitense per proteggere le comunicazioni del governo, oggi utilizzata da chiunque voglia navigare nell’anonimato. A quelle profondità le acque sono agitate: i mercati neri nascono e muoiono, gli indirizzi cambiano all’improvviso, i forum affondano per attacchi informatici, azioni di polizia o emergenze improvvise. Non è l’ambiente ideale dove leggere racconti o poesie, ma può essere stimolante.
«L’idea è nata nei giorni in cui frequentavo Galaxy, un social network anonimo», spiega Robert W. Gehl, professore dell’università dello Utah specializzato in tecnologie della comunicazione, il volto pubblico della rivista. Tra i suoi contatti persone con cui parlava di politica, cultura e libertà digitali. Tra questi Gmh, un utente che ha scelto il suo pseudonimo come omaggio al poeta inglese Gerard Manley Hopkins.
Dopo un anno e mezzo di lavoro è uscito il primo numero di
The Torist: può essere scaricato gratuitamente, ma il link si apre solo con il browser Tor. «È stato un esperimento. Ci piaceva l’idea di una letteratura esclusiva del dark web e volevamo sfidare i pregiudizi di chi pensa che nell’anonimato si muovano solo criminali».
Cinquantuno pagine, foto in bianco e nero, grafica raffinata e contenuti insoliti: racconti, poesie, saggi... C’è un saggio di KairUs (Linda Kronman e Andreas Zingerle), collettivo di artisti che denuncia le frodi online e i rischi di un consumo inconsapevole della tecnologia. «Riviste come The Torist — raccontano — inviano un messaggio politico per il solo fatto di essere pubblicate in uno spazio meno controllato: i lettori non vengono registrati come consumatori ». Sostenere la rivista per KairUs significa spingere i lettori a superare le proprie abitudini di navigazione: «È più emozionante fare uno sforzo per trovare lavori interessanti che consegnarsi a un elenco manipolato da algoritmi che offrono qualcosa in base ai comportamenti precedenti ».
C’è poi un racconto distopico di J.M. Porup, scrittore e giornalista. Lo abbiamo incontrato su Signal, l’app di messaggistica che protegge le comunicazioni usando di default la crittografia
end- to- end, la stessa usata ogni giorno da Edward Snowden, da hacker e attivisti. «La cultura può prosperare solo in una società libera — spiega — ma noi non viviamo in una società libera. Noi viviamo in Internet, vale a dire uno stato di sorveglianza totale. La polizia segreta esiste per rafforzare lo status quo e sopprimere il dissenso. Questi governi criminali considerano ogni deviazione dalle norme sociali come una minaccia e così scrittori, artisti, musicisti finiscono sotto sorveglianza, proprio come i criminali, gli spacciatori e i terroristi».
Chi ha contribuito al primo numero però si è firmato con il suo vero nome, all’anagrafe o
de plume. «Ci sono molte persone che vogliono parlare o esprimersi nell’anonimato. È possibile che The Torist li aiuti a farlo», spiega Gehl che ha riflettuto a lungo prima di uscire allo scoperto. «Uso il mio nome come una specie di liason con il clear web. Con la mia identità posso accedere facilmente alle reti accademiche e creative, ma se
The Torist decolla potrei smettere di usarla in modo che Gmh sia libero di sottolineare gli aspetti anonimi del progetto». Che investono, prima di tutto, i lettori. «In passato, sulla carta, tutti leggevano in forma anonima — riflette Porup — . Se vogliamo evitare un brutale futuro da incubo, uno stivale che calpesta un volto umano per sempre, come ha scritto Orwell, allora abbiamo bisogno di costruire un mondo in cui la lettura è ancora una volta anonima».
Data la linea editoriale, Gehl e Gmh hanno deciso di pubblicare la rivista con una licenza Creative Commons: chiunque può condividere e sviluppare la loro idea. E infatti poche settimane fa è nata una versione francese. In questo caso il volto pubblico è quello del giornalista Thomas Deslogis. Entrambe le riviste sono risalite in superficie, aprendo un account su Twitter «per dire al mondo che noi esistiamo». La reazione è stata immediata. Tra i retweet anche quello di William Gibson, l’autore cult di Neuromante. Al pari degli artisti e degli scrittori che ospitano, gli editori possono essere considerati artivisti: creano operazioni culturali per fare riflettere sulle condizioni della società in cui viviamo.
La tendenza è diffusa anche tra le figure storiche di Internet, gli utopisti della rete libera e i protagonisti del dibattito sul diritto d’autore. Peter Sunde, uno dei fondatori di The Pirate bay, il più famoso sito di peer-to-peer, dopo aver passato sei mesi in carcere ed essere stato condannato a risarcire milioni di euro alle major dell’industria discografica, ha deciso di cambiare strategia. Oggi comunica le sue idee tenendo conferenze e creando opere d’arte. La sua Kopymachin, un computer che cancella e copia all’infinito la canzone Crazy degli Gnarls Barkley mentre un contatore mostra il denaro che starebbe rubando, si inserisce in una ricca tradizione di “furti artistici”. Dalle azioni pirata degli “01.org”, che hanno duplicato e manipolato di tutto, compreso il sito del Vaticano, al manifesto plagiarista dell’artista californiana Amy Alexander, che dal 1998 si genere automaticamente grazie a un programma che remixa frasi copiate qua e là.
Cultura di nicchia? Forse, ma non è il caso di ignorarla: a volte l’arte pirata dalle profondità del web sale in superficie e sfida il potere. Lo sanno bene gli islandesi che in autunno potrebbero scegliere come premier Birgitta Jónsdóttir, sostenitrice di Wiki-Leaks e poetessa. Dopo le dimissioni del primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson per lo scandalo Panama Papers, il partito pirata ha aumentato in modo vertiginoso la sua popolarità e una intellettuale outsider come Jónsdóttir, potrebbe rendere più vago il confine tra sogno e realtà. In fondo è a questo — ha scritto Quentin Girard in un ritratto di Sunde su Libération — che servono i pirati.

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