domenica 3 aprile 2016

Verso l'ipertesto

Risultati immagini per ipertestoIl libro senza il libro 

Negli Usa un editore sperimenta opere definite non stampabili, impossibili da immaginare su carta reperibili online e che utilizzano app e Google Street View Ma quali sono le caratteristiche e gli aspetti di contenuto di questi volumi digitali? Stando alle intenzioni, dovrebbero coniugare qualità narrative e visive, cercando un equilibrio fra l’interattività e il flusso della storia Parlano gli autori che si cimentano con la nuova piattaforma

RICHARD LEA Restampa 3 4 2016
L’editrice Anna Gerber non sta cercando di dare il colpo di grazia al libro stampato: vuole solo farci passare un po’ più di tempo sul nostro cellulare. «Il problema, secondo noi, non è cambiare il nostro modo di leggere», dice, «ma ci piace tentare di immergere i lettori nei libri sui loro cellulari». Gerber si è spinta ai confini della pagina stampata da quando lei e Britt Iversen, nel 2010, fondarono la Visual Editions, una casa editrice che pubblica libri fuori dagli schemi come Tree of Codes di Jonathan Safran Foer e Composition No 1 di Marc Saporta. Ora la Visual Editions si è unita al Google Creative Lab per creare Editions at Play, al tempo stesso progetto editoriale e libreria online che vende libri che «non si possono stampare», disponibili su Google Play.
«Stiamo cercando di fare dei libri molto piacevoli, sorprendenti e totalmente non pubblicabili», dice Gerber. Non sono dei giochi e nemmeno delle app — sono tutti scritti in HTML — ma ognuno di essi è impossibile da immaginare su carta».
I primi due titoli sono The Truth About Cats and Dogs, racconto bifronte di un tentativo di collaborazione poetica in cui si salta tra i capitoli di due scrittori, Sam Riviere e Joe Dunthorne; e Entrances & Exits, una love story scritta da Reif Larsen in cui una chiave, trovata in una libreria abbandonata, apre a un viaggio che il lettore può seguire usando Google Street View.
«La gente dice che i libri di carta hanno delle qualità che non è possibile trasferire ai libri digitali», dice Iversen. «Ma noi vogliamo far vedere che i libri digitali possono avere delle qualità narrative e visive che promuovono la scrittura e tuttavia non possono essere trasferite alla stampa. Vi leggereste un libro seduti alla scrivania? È più probabile che vi mettiate comodi sul divano o su una poltrona a leggere un libro — ma questo lo potete fare sul vostro cellulare con la stessa facilità con cui lo fate con un libro tascabile».
L’equilibrio tra interattività e flusso narrativo è uno dei punti più discussi, spiega Tom Uglow del Google Creative Lab, il cui team è sempre diffidente rispetto a ogni elemento interattivo che si mette in mezzo alla storia.
«A volte questo significa lavorare in un modo circolare e apparentemente illogico », dice Uglow, «con gli scrittori che fanno delle modifiche sulla base di un’esperienza di lettura che si muove interattivamente e non solo su una base narrativa, mentre programmatori e disegnatori fanno dei cambiamenti con un impatto sulla leggibilità e su ciò che si può fare da un punto di vista tecnico. Ma è in questi punti circolari delicati che si sviluppa la maggior parte della magia ».
Al di là dello stereotipo dello scrittore come creatore solitario, per lo scrittore Reif Larsen questa rete di collaborazioni non è molto diversa dal processo di produzione di un romanzo tradizionale. Le sue ultime opere — The Selected Works of TS Spivet e I Am Radar — sono entrambe piene di illustrazioni e note a margine di ogni genere, spiega, e accanto al lavoro editoriale c’è stato «un grande lavorio su problemi di progettazione piccoli e grandi. Mi piace questo lavorio, è utile a un processo creativo più forte».
Per il suo libro Entrances & Exits, pubblicato con Editions at Play, Larsen aveva inizialmente immaginato un processo di avanti e indietro, uno scambio di prototipi e idee tra lui e i programmatori; una visione impossibile, considerando quanto tempo può richiedere la codifica. Invece, Larsen ha prima scritto una bozza completa, immaginando «come potesse funzionare sullo schermo, quanto avrebbe funzionato il ritmo tra il testo e l’immagine, quanto dovessero essere brevi i portali di testo».
«Siamo soliti leggere dei libri stampati quando sappiamo di avere una quantità di tempo relativamente grande per farlo», dice Russell Quinn, che con lo scrittore Eli Horowitz ha dato vita a Sudden Oak, creando delle app narrative già premiate. Tra i titoli pubblicati da Sudden Oak c’è The Silent History, che si svolge in un mondo in cui i bambini nascono incapaci di imparare il linguaggio, e The Pickle Index, il racconto di una sgangherata troupe di un circo che organizza un’evasione dal carcere. «Quello spazio è di solito piuttosto controllato e le interruzioni che ci si può aspettare sono minime, tanto se ci troviamo a casa che sull’autobus. Le app sono di solito delle esperienze molto fuggevoli — la gente salta da un’app all’altra, è interrotta da notifiche, naviga su vari siti mentre è in attesa nell’ufficio postale. Devi offrire una serie di esperienze a bocconcini e rendere facile riprendere il punto e andare avanti».
Pears aveva solo una «vaga nozione» di un racconto quando ha commissionato un software per gestire i rapporti tra blocchi di testo indipendenti e poi ha cominciato a scrivere. La complessa avventura che ne è emersa, Arcadia, si muove tra un paradiso agrario, una tecnocrazia repressiva e la Oxford degli anni Sessanta in piccoli brani, ognuno dei quali, nell’app, appare come un’unità separata.
«Ho cominciato a scrivere per piccole scene », spiega Pears. «Mentre prima ero solito scrivere capitoli molto più lunghi, scene molto più lunghe, qui ogni blocco di testo dell’app era un piccolo blocco di testo sul mio schermo. Dato che le storie erano molto più separate in questo strumento di scrittura su misura, hanno cominciato a separarsi... nello stile e nel genere, molto più di quanto mi aspettassi».
Non avendo letto molta letteratura interattiva prima di imbarcarsi in Arcadia, Pears si è trovato in difficoltà con i fan della narrativa interattiva «perché non ne sapevo nulla. Mi interessava tentare di risolvere il problema, più che dare il mio contributo in un ambito preesistente», dice. «A me non importava se era una soluzione nuova, mi importava solo che funzionasse».
Quando in una stanza c’è un programmatore, uno scrittore e un editore, chi ha l’ultima parola? «Credo di averla avuta io», dice Reif Larsen. «Ma forse è più corretto dire che è stata del libro. Il libro, in realtà, ci ha detto di che cosa aveva bisogno. Un paio di volte Google ha avuto l’ultima parola, quando hanno detto “impossibile”. Un paio di volte sono tornato alla carica per dire: “Il libro ha davvero bisogno di questo. Bisogna trovare un modo per renderlo possibile”. Probabilmente mi avranno odiato, ma sono tornati nella loro caverna magica e lo hanno reso possibile». Conquistare l’attenzione in un mondo digitale in cui i lettori semplicemente «si muovono in modo ampio e superficiale» è la sfida per gli autori, dice Larsen, il quale vorrebbe che i lettori consumassero le sue opere «singolarmente e profondamente».
«Chi racconta delle storie brama la vostra attenzione», dice. «Abbiamo bisogno della vostra attenzione. È la sola cosa che abbiamo. Quindi dobbiamo essere intelligenti, credo: non si tratta di banalizzare le nostre storie, ma di conoscere il nostro mezzo e la piattaforma che abbiamo. Alla fine si tratta sempre di rendere grande il racconto, di far sì che non si possa più posare il libro, usando tutti i vecchi trucchi: grandi personaggi, misteri, amori, drammi, informazioni taciute. Ma bisogna anche lasciare che la piattaforma guidi un po’ la storia. Non stai scrivendo nel vuoto».


Già nel Medioevo la parola non viaggiava solo con la scrittura 

ALBERTO MANGUEL
Fin dai tempi di Omero le storie si ascoltavano nei racconti orali E più tardi le vite dei santi venivano raffigurate su pannelli
Quando avevo circa dieci anni, il mio professore di tedesco mi disse che suo padre, docente di filosofia ad Heidelberg, era stato deportato in un campo di concentramento ed era morto laggiù. Fra i prigionieri, era conosciuto come «la biblioteca », perché si offriva di recitare i libri che conosceva a memoria, più o meno come gli eroici lettori di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Sulle labbra del vecchio professore, Socrate e i presocratici riprendevano vita non nella forma di parole su una pagina, ma nella forma di testo parlato, come all’epoca del pubblico di Platone. Il motto latino scripta manent, verba volant nello spazio infernale del lager assunse un altro significato: «Le parole scritte sono rinchiuse nel passato, le parole parlate spiccano il volo nel presente». Nell’atto del professore, l’invenzione di Gutenberg perdeva il suo prestigio e il testo tornava alla propria forma originale, come proclamato nel Vangelo di Giovanni: «In principio fu il verbo», la parola parlata.
Le nostre parole non sono mai esistite solo in un medium. Le società orali hanno la loro letteratura, come troppo spesso dimentichiamo, e nelle società del libro il testo, nell’arco di migliaia di anni, è migrato dalle tavolette di argilla a quelle elettroniche, e anche queste ultime sicuramente verranno sostituite da qualche altra forma più nuova. Che non significa migliore: quando si parla di tecnologia, le gerarchie dipendono dai valori che decidiamo di privilegiare.
Le tecnologie sono egoiste e arroganti. Gli utilizzatori dei rotoli di papiro si facevano beffe di quelli che leggevano le vecchie tavolette d’argilla, e giudicavano la loro tecnologia rozza.
Fra i primi titoli pubblicati dalla Visual Edition figurano un poema collaborativo scritto da due autori americani e un romanzo che usa la Street View di Google per seguire la trama. Non ho letto queste due opere degne di nota, ma dalla descrizione posso discernere le loro ascendenze.
Ai tempi di Omero, i bardi giravano per le case degli uomini ricchi e potenti a cantare, in gara fra loro, episodi tratti dalla Guerra di Troia. Queste tenzoni epiche erano parte di un’esibizione più complessa, che coinvolgeva musicisti, attori e danzatori, spesso nel quadro di una cerimonia religiosa. La studiosa francese Françoise Dupont, nel suo ammirevole saggio L’invention de la littérature, sottolinea che buona parte di quella che oggi leggiamo come letteratura greca e latina in realtà non è altro che il libretto di un’opera lirica senza musica, recitazione o scenografie, e che i nostri sforzi moderni per ricatturare il testo originale nella forma di un manoscritto o di un libro stampato adulterano o inventano qualcosa che non era mai stato concepito per essere letto.
Dagli inni e dai poemi di Omero alle poesie di Catullo, le opere che definiamo «letteratura antica » appartengono a una forma d’arte basata su una tecnologia che non era quella della carta e dell’inchiostro, ancorata a uno spazio tangibile, ma la tecnologia volatile del suono e del movimento, che esiste solo nel tempo.
Anche il romanzo itinerante che usa la Street View di Google ha i suoi predecessori. Per esempio, i pannelli medievali che raffigurano diversi episodi della vita di un santo costringono chi li guarda a seguire il tracciato iconografico prestabilito dal pittore, facendo emergere un testo dalla sequenza di eventi raffigurati: una storia letta senza un libro. Anche questa narrazione è «non stampabile».
C’è della sostanza in questi libri «non stampabili» dell’era elettronica, al di là del semplice piacere di un nuovo gadget? Ogni nuovo supporto di una storia, ogni nuovo aspetto tecnologico di un testo, in forma materiale o meno, si porta dietro un peso epistemologico e influenza il testo stesso. Come Pierre Menard ci ha insegnato, ogni lettura trasforma il testo, anche se le parole rimangono identiche, e dunque una poesia che esiste solo sul vostro iPhone non è identica alla stessa poesia stampata su una pagina. La questione non è se abbia più o meno valore, la questione è se abbia un valore diverso. Il Platone nelle pagine delle bellissime e onorate edizioni di Aldo Manuzio è diverso dallo stesso Platone sulle labbra del vecchio professore nel campo di concentramento. Tutti e due sono emblemi di sopravvivenza, tutti e due onorano la memoria del nostro passato comune: ma mentre il Platone aldino consentiva al lettore ordinario di far parte del pubblico eterno del filosofo greco, il Platone recitato dal professore era la prova di una fiamma, intimamente umana e necessaria, che nessun atto di ignoranza o malvagità ha potuto estinguere.

Nessun commento: